Attualità del “Manifesto degli intellettuali antifascisti”

Video preparato per la manifestazione tenutasi a Roma “In difesa della costituzione e dei diritti umani” – Verità è Libertà, ma non presentato.

Circa cent’anni fa all’inizio di un altro Ventennio, un cospicuo numeri di intellettuali e primo firmatario Benedetto Croce sottoscrisse il Manifesto degli Intellettuali Antifascisti.

Quel manifesto torna ad essere attuale di fronte all’instaurarsi di un regime che torna a violare i diritti umani, usando la pandemia come grimaldello per riaffermare il dogma neoliberale che tutto sacrifica alle leggi del Mercato trasferendo ogni potere alla grande finanza, concentrando profitti e ricchezza nelle mani di pochi, sacrificando la vita quotidiana del resto della popolazione. 

Con Croce e i firmatari di allora, gli intellettuali onesti di oggi sono chiamati a resistere:

“Per questa caotica e inafferrabile “religione” noi non ci sentiamo, … di abbandonare la nostra vecchia fede […] che si compose di amore alla verità, di aspirazione alla giustizia, di generoso senso umano e civile, di zelo per l’educazione intellettuale e morale, di sollecitudine per la libertà, forza e garanzia di ogni avanzamento”.

In un paese, l’Italia, che per quei principi di giustizia e libertà ha combattuto contro il Regime di allora, e su quei principi ha costruito la propria Costituzione e la democrazia, non possiamo accettare che si torni indietro.

L’introduzione di una tessera, un lasciapassare verde” che forse per vergogna storica e con evidente omologazione alla egemonia culturale globale si è voluto definire con parola inglese “Green Pass”, si configura come nuovo strumento di controllo sociale, discriminazione e violazione della libertà. Anche in aperta violazione della norma europea che esplicitamente sancisce che tale certificazione non deve comportare alcuna discriminazione

Uno strumento che in Italia ha un solo precedente: proprio quella tessera del partito fascista, senza la quale non si poteva lavorare. Oggi a chi non aderisce è preclusa ormai di fatto ogni attività sociale. 

Quella tessera verde, che ha reintrodotto nel nostro Paese un’ignobile apartheid, non è sostenibile sul piano scientifico, giacché ignora l’evidenza del contagio da parte delle persone vaccinate, e plurivaccinate. Non solo, i vaccinati abbassano la guardia favoriti dalle misure coercitive del governo, tese solo a penalizzare i vaccinati senza una solida logica di sanità pubblica. Così sono i non vaccinati a dover temere il contagio dai vaccinati che abbandonano ogni precauzione, non il contrario.

Mentre le imprese multinazionali del farmaco e i pochi gruppi finanziari da cui sono controllate, così come l’economia che gira intorno alla pandemia, continuano a fare profitti di migliaia di miliardi finanziati interamente con denaro pubblico, migliaia di operatori sanitari e dei servizi sociali, dipendenti pubblici e molti altri vengono sospesi e privati dei mezzi di sussistenza. L’economia del Paese è messa in ginocchio da misure che non si giustificano sul piano sanitario.

L’Oms, che pure ha grosse responsabilità nella promozione esclusiva dei vaccini a discapito delle cure precoci, possibili grazie a farmaci generici e a basso costo, ha appena dichiarato “inutili i richiami con i vaccini esistenti”.

Invece il Governo, con tutte le forze politiche conniventi, obbliga la cittadinanza a terze e quarte dosi, senza arrendersi di fronte alla evidenza dello svanire della già limitata efficacia dei cosiddetti “vaccini”, che non sono stati nemmeno progettati per contenere il contagio e sono in effetti terapie geniche che avevano un senso se somministrate a specifici gruppi a rischio anziani con comorbidità, certo non alla popolazione generale dove, possibilmente, hanno addirittura spinto la moltiplicazione delle varianti ed il cui impatto a lungo termine non è noto, mentre quello a breve termine è ampiamente sottostimato.

Chi si permette di contraddire la narrazione ufficiale della pandemia subisce la censura, moltitudinarie manifestazioni pacifiche sono state soppresse con violenza di regime, infiltrandole o lasciando libertà ai violenti per giustificare la repressione. Perfino i media sembrano rispondere alla parola d’ordine del regime oscurando o ridicolizzando l’espressione del dissenso.

 “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti” recita il primo articolo della Dichiarazione universale dei diritti umani. Tutti senza distinzione di alcun genere.

Oggi in Italia che purtroppo fa da guida alla scelta di altri Paesi, quel principio è violato.

È giunto il momento di unirci nella resistenza donne e uomini liberi, lavoratori e lavoratrici, autonomi o dipendenti, pubblici e privati, nonché disoccupati, pensionati, giovani e anziani in un rinnovato anelo transgenerazionale di libertà e uguaglianza, richiamandoci all’inderogabile dovere di solidarietà affermato dalla nostra Costituzione e nella riaffermazione di quegli inviolabili principi che essa sancisce, contro ogni discriminazione, per il bene comune.  

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Profilassi e trattamento della COVID 19: benefici, rischi e qualità dell’evidenza

Un documento frutto di un intenso e approfondito lavoro svolto da un gruppo di ricercatori, medici, accademici e addetti ai lavori, intrapreso e portato avanti al fine di contribuire al dibattito sulla attuale pandemia COVID-19 da un punto di vista interdisciplinare.

Il documento è propositivo e intende offrire possibili soluzioni in alternativa a interventi coercitivi, i quali, in quanto tali, finiscono per sancire il fallimento del legislatore e della scienza nel far fronte alle sfide poste dalla cosiddetta “società della conoscenza” (Trattato di Lisbona, 2009). A causa della pressione del succedersi degli eventi e della scarsa familiarità con gli strumenti scientifici utilizzati per affrontarla, i decisori politici non hanno avuto l’opportunità di vagliare adeguatamente l’attendibilità delle opinioni e evidenze offerte dagli esperti. In tali contesti il dissenso tra studiosi è un indice di salute che non va censurato, ma anzi utilizzato per il consolidamento delle ipotesi di lavoro. Ci preme anche sottolineare l’importanza di una visione complessa e dinamica del problema, caratterizzato da meccanismi epidemiologici e sociali ricchi di feedback negativi e di rinforzo, che possono vanificare soluzioni univoche o statiche. La letteratura del “mechanism design” (Börgers, 2015) ci insegna come la programmazione di politiche miranti ad influenzare il comportamento del cittadino mediante incentivi e deterrenti (ad esempio fiscali), sia compito altamente complesso e gremito di trappole. A volte lo strumento può sviluppare una cascata di effetti paradossali (opposti a quelli attesi), o controproducenti in ambiti inattesi, o fenomeni di feedback negativo (Lucas 1976), che ne neutralizzano l’efficacia (Hess e Martin, 2006).

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Elezioni in Nicaragua: Orteguismo ad perpetuum?

"la revolución perdida
en el actual régimen de terror y mentira
la familia ha deforestado el país 
indefensos en la globalización"

Ernesto Cardenal

Quando la incontrai a Managua nel 1999, Dora Maria Tellez, la ex comandante uno della Rivoluzione sandinista, fu durissima con Daniel Ortega: “Daniel non è uno che si mescola alla gente comune, non lo troverai mai a prendersi un raspado (una granita) per strada; non accetta nemmeno di essere un semplice deputato e di dover aspettare il suo turno per parlare…” “Daniel non può fare a meno del potere”. Anche Sergio Ramirez, lo scrittore ex vice presidente del primo governo rivoluzionario, quando lo visitai, calcò la mano sugli aspetti etici e condannò la direzione caudillista di Daniel Ortega.

Di quelle conversazioni raccontavo nel mio libro “Misa Campesina” che ora esce nella sua terza ristampa. Erano considerazioni profetiche che già delineavano il carattere di Daniel Ortega, loro compagno nell’impresa rivoluzionaria che aveva sconfitto la trentennale dittatura della famiglia Somoza, innescando poi quell’incredibile mobilitazione di solidarietà internazionale nel processo di ricostruzione cui avevo partecipato. La guerra sporca della controrivoluzione finanziata dagli Stati Uniti era riuscita ad interrompere quella esperienza, permettendo che si riaffermassero un governo e politiche neoliberali.

Dopo aver riconquistato la guida del paese nel 2006, mentre metteva in atto un’importante agenda sociale (assistenza sanitaria, educazione, lotta alla povertà), il comandante ha flirtato con la destra e il neoliberismo, ha sedotto gli uomini d’affari aprendo le porte a forti investimenti stranieri.

Ora l’orteguismo – ovvero il regime imposto dalla coppia presidenziale Daniel e sua moglie Rosario Murillo – vorrebbe perpetuarsi a vita con “il terrore e la menzogna”, come ha scritto il poeta Ernesto Cardenal, ex Ministro della cultura del primo governo rivoluzionario.

Eliminate le voci dissenzienti, tra cui proprio quella di Sergio Ramirez, costretto all’esilio, e di Dora Maria Tellez, in carcere, e con avversari solo quelli delle liste civetta (in Nicaragua li chiamano “zancudos”, zanzare, abituati a vivere fuori dal sistema in cambio della partecipazione come comparse) utili a giustificare il processo, le elezioni del 7 novembre scorso sono state un circo dal copione e risultato già scritto: la vittoria degli Ortega che si sono attribuiti con il 75% dei consensi, ma che ha visto l’80% di astensioni (secondo le organizzazioni semiclandestine d’opposizione). Dunque, quarto mandato per l’attuale capo di stato, con la moglie Rosario Murillo che da vice diventa co-presidente.

Paradossalmente, oggi – a quarant’anni dal trionfo della Rivoluzione sandinista – può assumere nuovo significato tornare a leggere il libro, per ritrovare i valori e le speranze di allora e infondere energia nelle nuove generazioni, perché la tristezza possa trasformarsi nuovamente in sorriso “cuando todos regresemos a la Misa Campesina”.

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Misa Campesina. Un médico italiano en la Nicaragua revolucionaria

Tercera edición en italiano a partir de octubre en las librerías.

La primera edición en español aqui

Una reinterpretación de su experiencia como médico en los primeros años de la revolución sandinista, que adquiere nueva relevancia en un momento de la historia en el que Nicaragua vuelve a vivir bajo el terror de la dictadura y a sufrir la represión del nuevo régimen dirigido por quienes en aquellos apasionantes años habían guiado el proceso revolucionario, para luego traicionar la ética revolucionaria y con ella a miles de jóvenes que llegaron de todo el mundo a echar una mano en la construcción de la utopía.

El libro transmite un mensaje: “Es posible emprender nuevos caminos, pero debemos estar preparados individual y colectivamente para enfrentarnos a obstáculos, traiciones y derrotas. Pero siempre dispuestos a volver a empezar sin perder de vista el objetivo que da sentido al camino recorrido y al que nos queda por delante. “Caminante no hay camino, se hace camino al andar”. Prepárate para una lectura fascinante.

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Rilettura a vent’anni dal G8 di Genova “Un fondo globale per la salute: il G8 mostra il suo volto umano ?”

Dopo essermi dimesso dall’incarico di presidente del Gruppo di esperti sanitari del G8 (lettera), partecipai al Global Social Forum di Genova e in un panel con Susan George e Angelo Stefanini, presentai il mio punto di vista sulla nascita di quelloo che sarebbe diventato il Fondo Globale per la lotta all’HIV/Aids, la tubercolosi e la malaria, perlatro lasciando da parte anche la prima ipotesi ancora tutta italiana di un Fondo globale per la salute. Di seguito il testo integrale del mio intervento del 17 luglio 2001 a Genova.

Ancora non sappiamo se sarà dedicato esclusivamente all’HIV/AIDS, ad un più ampio spettro di malattie trasmissibili o genericamente destinato all’assistenza sanitaria, ma un nuovo fondo globale è già stato annunciato, separatamente dal segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, e dalla presidenza italiana del G-8.
La proposta sembrerebbe riscontrare un ampio consenso non solo tra i membri del G8 e nell’ambito delle Nazioni Unite, ma anche tra i paesi in via di sviluppo, nel settore privato e tra i rappresentanti della società civile (un termine che oggigiorno sembra comprendere anche organizzazioni filantropiche come ad esempio la fondazione Bill & Melinda Gates).
Il fondo globale per l’HIV/AIDS e la salute (come sarà probabilmente chiamato il fondo) sarebbe la dimostrazione di come il G8 abbia effettivamente messo la salute al centro dell’agenda dello sviluppo globale e della particolare attenzione dedicata alla lotta contro la povertà. Dunque, non vi sarebbe nulla da obiettare.
Ma cerchiamo di capire meglio i principali aspetti della proposta in questione.


La principale ragione addotta per la costituzione di un nuovo fondo globale (esistono già diverse iniziative simili a quella proposta dal G8; GAVI, IAVI, MIM, TB drug fund etc.) è che alla necessità di fondi aggiuntivi per 10-20 miliardi di dollari l’anno per dieci anni, necessari per la lotta contro alcune delle principali malattie infettive (ma Kofi Annan parla di 7-10 miliardi di dollari l’anno per far fronte alla sola epidemia di HIV/AIDS), non si possa far fronte con il solo Aiuto Pubblico allo Sviluppo ed è dunque indispensabile una “nuova partnership“.

Il nuovo fondo globale verrebbe costituito sulla base di una donazione iniziale da parte del G8 di 500 milioni di dollari e donazioni per un ammontare equivalente da parte dei privati; a tal fine s’inviterebbero le maggiori multinazionali a contribuire ciascuna con 500 mila dollari.

In merito alla gestione del fondo, è curioso che proprio il segretario delle Nazioni Unite, Kofi Annan, nel promuovere l’idea di un Fondo globale per l’AIDS abbia sottolineato che esso “dovrebbe essere governato da un comitato indipendente” – e ci si potrebbe chiedere: indipendente da chi? – esterno alle Nazioni Unite “perché” – ci dice Kofi Annan – “io voglio chiamare altri ad unirsi alla lotta”.

E’ lo stesso Annan a ricordare in un suo scritto recentemente apparso sul quotidiano italiano “La Repubblica”, che più salute rappresenta un grande vantaggio anche per il business, perché significa più lavoratori e più consumatori. Questo è l’argomento di Kofi Annan per giustificare di fornte al mondo del business la creazione di un nuovo Fondo Globale.
Proprio perché “un ruolo cruciale dovrebbe essere giocato dai contributi provenienti dal settore privato e dalle ONG”, il modo migliore per ottenere un simile sostegno – si legge in un documento del G8 – sarebbe quello di “associare il settore privato nel sistema di governo del Genoa Trust Fund“.

Dunque, le multinazionali, e non solo quelle farmaceutiche – come si specifica nel documento G8 – siederebbero nel consiglio di amministrazione del fondo, assieme ai rappresentanti dei paesi donatori, delle organizzazioni delle Nazioni Unite (in particolare OMS, UNICEF, UNAIDS) e della Banca Mondiale.

Ciò sulla base del curioso principio enunciato nel documento dei G8, secondo il quale “Il Governo spetta a coloro che forniscono e usano i fondi”.

Sulla base dello stesso principio si potrebbe ipotizzare che, chiunque offra di partecipare con propri fondi al bilancio di uno stato, anche nel caso in cui si trattasse di un boss mafioso o del leader di un cartello di  narcotrafficanti, debba partecipare di diritto al Consiglio dei ministri!

Sottolineo che nel documento del G8 non c’è nessuna traccia di un’eventuale partecipazione dei paesi più poveri al consiglio di amministrazione.

Ma veniamo al dunque. Chi sarebbe chiamato ad amministrare il fondo, a stabilirne il piano d’azione, a curarne il bilancio, a valutarne e approvarne i programmi?

Ovviamente la Banca Mondiale. Non è forse la Banca Mondiale il leader globale in sanità?  Naturalmente la Banca Mondiale amministrerebbe il Fondo attraverso un Segretariato cui  parteciperebbe anche personale proveniente da UNAIDS, OMS ed UNICEF.


Permettiamoci alcune osservazioni.

1. Riguardo alle risorse.


Attualmente (2000) l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (flusso finanziario netto) ammonta a 53 miliardi di dollari, pari allo 0,22% del Prodotto Nazionale Lordo dei paesi OCSE. I 10-20 miliardi di dollari richiesti per la lotta alle malattie infettive rappresenterebbero solo una piccola frazione delle nuove risorse che si renderebbero disponibili qualora si rispettasse l’impegno, assunto decenni or sono, di portare l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo allo 0,7% del Prodotto Nazionale Lordo, ovvero moltiplicando per tre o per quattro gli attuali 53 miliardi di dollari.
Ovviamente, qualunque contributo aggiuntivo proveniente dal settore privato sarebbe il benvenuto. Onestamente, però, chiedere 500.000 dollari ad una multinazionale è come chiedere una piccola carità, offrendo in cambio un enorme ritorno d’immagine, in sostanza a costo zero, e gli ovvi vantaggi aggiuntivi derivanti dalla partecipazione alla gestione del Fondo. Con le conseguenze che è facile prevedere.

Piuttosto, si dovrebbe invitare il settore privato a contribuire allo sforzo globale riducendo il prezzo dei farmaci, delle tecnologie e di altri beni correlati alla salute, producendo in tal modo un notevole effetto moltiplicatore nella riduzione dei costi dei servizi sanitari. Di per sé, il pieno rispetto dei diritti umani da parte delle multinazionali, la garanzia di più elevati standard lavorativi e l’adozione di cicli produttivi che rispettano l’ambiente, produrrebbero un impatto sulla salute pubblica, superiore a qualsiasi donazione.
Il supporto logistico nella distribuzione di farmaci ed altri beni sanitari, è solo una delle tante ulteriori forme possibili di collaborazione con il settore privato.

Senza considerare il ricorso a meccanismi di prelievo fiscale internazionale, ivi inclusa la cosiddetta “Tobin tax” sulle transazioni finanziarie, che potrebbero garantire un enorme, costante, flusso di capitali e risorse da reinvestire nei servizi sanitari.

2. Riguardo alla gestione del fondo

Indipendentemente dalla provenienza dei fondi, per quale ragione le risorse non dovrebbero essere raccolte e amministrate, dalle esistenti organizzazioni delle Nazioni Unite? L’UNICEF, ad esempio, non è forse un Fondo con una lunga esperienza nell’attrarre e canalizzare anche contributi provenienti dal settore privato? Perché mai un comitato “indipendente” per decidere dell’utilizzazione di risorse per la salute pubblica globale, e non invece l’Organizzazione Mondiale della Sanità che ne ha il mandato e la legittimità? A chi risponderanno il nuovo Fondo Globale, ed i suoi organi di Governo? Non
esiste forse un evidente conflitto d’interessi tra la partecipazione dell’industria (soprattutto quella farmaceutica) ad un Comitato di Gestione che ha tra i suoi compiti la decisione di strategie di acquisto di farmaci?

Ancora, in un Comitato dove alcuni paesi membri dell’ONU sono autonomamente rappresentati, non verrebbe ad essere minata la legittimità delle Nazioni Unite quali rappresentanti di interessi collettivi della comunità internazionale?

Per avere una visione completa del processo interno al G8 e capire come da un iniziale approccio globale alla salute si sia giunti ad una proposta limitata alla costituzione di un Fondo Globale per la sanità, vi rimando alla lettura del paper che vi consegno in cui i passaggi più rilevanti sono sinteticamente descritti.

Comunque sia, quando si è persa la visione globale del diritto alla salute, per passare ad un approccio quasi commerciale della salute – soprattutto per il modo in cui ciò è avvenuto – mi sono sentito in dovere di presentare le mie dimissioni da Presidente del gruppo di esperti sanitari del G8 e ho deciso di portare avanti la battaglia insieme a voi. Continuando a lavorare “nel cervello del mostro” – come avrebbe raccomandato un mio collega argentino morto ammazzato sulle montagne della Bolivia nel 1967 – avrei corso il rischio di essere digerito io stesso dalle cellule killer del mostro.


[Nei Termini di Riferimento per la fase di consultazione preliminare sui temi sanitari, predisposti dalla Presidenza italiana e fatti circolare tra i partner nel mese di gennaio, si poneva l’accento su una serie di questioni di grande portata come la necessità di sistemi sanitari equi, efficienti ed efficaci; l’accesso ai servizi sanitari come punto centrale e la prevenzione come nodo fondamentale per “un approccio integrato allo sviluppo, che dia priorità al miglioramento delle condizioni di vita delle persone”; la rimozione dei fattori economici, commerciali, lavorativi, abitativi ed educativi, “che aumentano la vulnerabilità delle popolazioni alle malattie, e/o ne limitano l’accesso alla prevenzione e alla cura”; l’accesso ai farmaci e ad altri beni sanitari essenziali, e le questioni relative allo sviluppo delle capacità produttive locali e alla adozione di sistemi di prezzo differenziati; come pure la necessità di un maggiore coordinamento tra i partner istituzionali.

In quel primo documento “una cornice comune, a supporto del mandato e della direzione da parte di Organismi Internazionali, come l’OMS e di programmi specializzati delle Nazioni Unite” veniva presentata come una delle condizioni irrinunciabili.

La proposta del Fondo Globale è fu introdotta solo successivamente, in un documento intitolato “Oltre la cancellazione del debito” presentato nel mese di Febbraio alla riunione dei Ministri Finanziari del G7. Il Fondo globale divenne quindi il tema scottante del successivo incontro degli esperti sanitari del G8, tenutosi a Roma, nel mese di Marzo. In merito a quella proposta, nel corso di quell’incontro, emersero posizioni molto contrastanti tra gli esperti dei paesi membri; tuttavia, un elemento riscosse unanime consenso: non si sarebbe dovuta costituire nessuna nuova struttura o istituzione,  intesa come organizzazione messe in piedi per raccogliere o canalizzare fondi. Piuttosto si sarebbe dovuto ricondurre ad un’unica cornice le molteplici iniziative esistenti, e rinforzare le Istituzioni internazionali, promovendo meccanismi per accrescerne l’efficienza.

Circa un mese dopo, senza alcuna ulteriore consultazione tecnica, ogni altro tema relativo
alla salute venne cancellato dall’agenda del G8, e venne lanciata l’idea del “Genoa Trust Fund for Health Care”. La proposta prevedeva una nuova struttura, con un proprio comitato di governo, ed una quantità di questioni aperte.][1]

Probabilmente siamo tutti d’accordo sulla necessità di uno sforzo globale per colmare il crescente divario tra le risorse disponibili e i bisogni nella lotta per la salute e contro le malattie nei paesi più poveri, soprattutto nell’Africa Sub Sahariana. Ma anche con un fenomenale aumento delle disponibilità finanziarie, se non correggiamo prima di tutto i fattori strutturali d’iniquità che continuano a far crescere le disuguaglianze in salute, e non cerchiamo di evitare in ogni settore (economico, ambientale, educativo, etc.) le politiche che possano avere effetti secondari negativi sulla salute pubblica, la nostra battaglia per il diritto alla salute non avrà successo.


Servono maggiori risorse per far fronte alla drammatica situazione sanitaria in Africa e, possibilmente, procedure più efficienti per canalizzare quelle risorse verso i paesi più bisognosi. Dovremmo tuttavia essere molto cauti, evitando di sacrificare un consolidato diritto internazionale, valori ed organizzazioni già esistenti, in favore di nuove forse attraenti, ma molto discutibili partnership.

Di una partnership abbiamo certamente bisogno: una partnership veramente globale, tra tutti coloro che si battono affinché tutti siano cittadini del mondo.


[1] Il testo tra parentesi quadre è quello cui si rimanda nel discorso, contenuto nel paper, ma non pronunciato per esigenze di tempo.

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Rileggere le scelte del vertice G8 di Genova 20 anni dopo

Vent’anni fa il G8 a presidenza italiana decise di istituire il Fondo Globale per la lotta contro Hiv/Aids, tubercolosi e malaria. Ero stato il presidente del gruppo di esperti sanitari del G8 fino a quando rassegnai le dimissioni perché la presidenza italiana del G8 imponeva di adattare i verbali della riunione tecnica che avevo presieduto al progetto politico, piuttosto che riportare i risultati del nostro gruppo tecnico, che non erano favorevoli a quel progetto (spiegai le mie ragioni al Presidente del Consiglio in questa lettera di dimissioni dall’incarico. In una lettera al British Medical Journal scrissi “The Global Health Fund: a global bluff” Può essere interessante rileggerla vent’anni dopo. L’OMS sotto scacco mentre il filantrocapitalismo e i Partenariati Pubblico-Privato, come il Fondo Globale e l’alleanza GAVI la fanni da padroni. Nel libro “Geopolitica della salute. Covid-19, OMS e la sfida pandemica” scritto insieme a Nicoletta Dentico, parliamo anche di questo.

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No alla vaccinazione contro il Covid19 dei bambini.

Il 16 giugno 202i su invito del Sen. Armando Siri sono intervenuto in Senato per esporre le ragioni della Rete Sostenibilità e Salute e del suo Appello per la Moratoria alla vaccinazione anti covid-19 ai bambini.

Di seguito riporto i punti toccati nel mio intervento.

Riferimento all’Appello della Rete Sostenibilità e Salute per moratoria alla vaccinazione anti covid-19 ai bambin

L’appello è stato scritto e firmato da varie Associazioni mediche italiane, da medici e operatori sanitari impegnati in vari settori del Sistema Sanitario, nel campo della ricerca di base e universitaria, della prevenzione e della cura dei malati di COVID-19.

Non vogliamo essere assimilati a “no-vax” chiediamo un confronto aperto e basato sulle evidenze e su ricerche realizzate in assenza di conflitti di interesse

Non vi sono benefici diretti o indiretti

I bambini si infettano, ma di solito non si ammalano, se non con quadri clinici lievi e moderati.

Per i vaccini Covid-19, i potenziali benefici sono chiari per anziani e vulnerabili, non per i bambini;

Dati ISTAT-ISS: “Variazione dei decessi per il complesso delle cause, per genere, classe di età e ripartizione. Primo trimestre del 2021 vs 2015-2019” mostra per età 0-49 la riduzione della mortalità

I rischi derivanti dalla mancata vaccinazione dei bambini sono nulli.

La contagiosità dei bambini è molto bassa.

Si stima che sotto i 20 anni la suscettibilità all’infezione sia circa la metà rispetto a chi ha più di 20 anni.

Paesi che hanno tenuto aperte le scuole primarie mostrano il ruolo limitato dei bambini nel sostenere le trasmissioni e dagli screening effettuati nelle scuole sappiamo che esse sono uno dei luoghi più sicuri.

Immunità di gregge

È poco plausibile che si consegua l’immunità di gregge attraverso la sola vaccinazione di massa, perché:

I vaccini prevengono solo in parte la trasmissione del virus nella popolazione (e verso alcune varianti non pare vero neppure questo).

Viaviamo in una società globalizzata. Moltissimi paesi non sono nemmeno in grado di vaccinare la popolazione a maggior rischio. Vi sono signiifcative differenze di coipertura anche tra diverse aree di uno stesso Paese.

Emergono varianti, anche resistenti al vaccino, che si diffondono velocemente con gli spostamenti della popolazione.

Alti tassi di immunizzazione potrebbero creare una pressione selettiva che creerebbe un vantaggio per le varianti che quindi potrebbero infettare anche i vaccinati. Quanto più il virus si trova in un ambiente ostile (popolazione vaccinate) tanto più tendono ad affermarsi le varianti più virulente.

Conservare una parte di popolazione non a rischio (bambini e adolescenti) non vaccinata permette la circolazione del virus senza esercitare la pressione selettiva contribuendo alla naturale estinzione dell’epidemia.

Non sono ancora noti il livello e la durata della protezione fornita dal vaccino.

I vaccinati potrebbero essere spinti ad adottare un comportamento meno “attento” e trasformarsi nei principali diffusori del contagio.

Diverse specie animali (feline, primate, roditori) sono serbatoi del virus.

Potenziali conseguenze negative della vaccinazione

Ritardando l’età d’insorgenza di una infezione naturale, nei bambini quasi sempre lieve o asintomatica, si espongano gli individui, con l’avanzare dell’età, a infezioni da Sars-CoV-2 che comportano rischi maggiori e malattie progressivamente più gravi (Lavine J et al. BMJ 2021).   

I bambini sono più suscettibili a effetti avversi dei farmaci rispetto agli adulti, reagiscono in modo molto diverso nelle diverse età. Le sperimentazioni dovrebbero tenere conto di queste specificità, non applicare meccanicamente i criteri adottati per gli adulti. Nuove vaccinazioni nei calendari vaccinali potrebbero dare interazioni sconosciute anche con le vaccinazioni di routine.

Le stesse compagnie farmaceutiche considerano l’incognita effetti collaterali troppo rischiosa al punto che nei contratti con i governi hanno imposto la loro “non liability” declinando ogni responsabilità, trasferendola a istituzioni e operatori.

Sottostima degli eventi avversi

Reazioni anafilattiche, effetti gravi, ad esempio sulle piastrine o sulla pressione arteriosa (i vaccini, analogamente al coronavirus, esprimono la proteina spike e interferiscono con la regolazione di pressione arteriosa e flusso polmonare).

Vaccini realizzati con tecniche innovative possono avere effetti anche diversi da quelli finora riconosciuti.

Teorica possibilità di ADE (Antibody-Dependent Enhancement), con rischio di malattia polmonare più grave quando un vaccinato incontra i virus circolanti.

Non è chiaro se l’incidenza, oggi modestissima, della sindrome infiammatoria multisistemica correlata a COVID-19 (MIS-C) nei bambini sia prevenuta o possa invece persino aumentare con le vaccinazioni, esempi:

VAED (Vaccine-Associated immune-mediated Enhanced Disease), causata dall’interazione tra gli anticorpi indotti dal vaccino contro la Dengue e ceppi diversi del virus selvaggio, o

VAERD (Vaccine-Associated Enhanced Respiratory Disease), una reazione respiratoria grave manifestatasi nel 1967 con il vaccino contro il virus respiratorio sinciziale, il cui inoculo non produceva anticorpi protettivi verso un successivo contagio con il virus selvaggio.

Trombosi dei seni venosi cerebrali con trombocitopenia successivi alla vaccinazione

Rischio di reazioni autoimmuni attraverso un priming patogeno per somiglianza con proteine umane di quasi tutte le parti di antigene (epitopi) del virus SARS-CoV-2 a cui si legano gli anticorpi specifici immunogenici.

Incompleta sperimentazione

lo studio che ha portato all’approvazione dell’uso del vaccino Pfizer- BioNTech ha riguardato 2260 adolescenti, dei quali solo 1131 hanno ricevuto il vaccino, i restanti un placebo. Sono stati osservati per due mesi, eventi rari ma pericolosi si potranno presentare nel corso degli anni quando i vaccinati diventeranno milioni.

Con le vaccinazioni di massa negli adulti sono emersi i casi di trombosi dei seni venosi cerebrali con trombocitopenia successivi alla vaccinazione, soprattutto tra le donne, e stanno già emergendo segnalazioni di casi di miocardite e pericardite soprattutto tra maschi di giovane età.

Non dobbiamo fronteggiare una condizione grave o pericolosa per la vita dei bambini, e quindi: Nessun bambino deve essere esposto a rischi immediati e noti, seppur transitori, né a quelli a medio e lungo termine, ancora non emersi (principio di precauzione è imperativo etico)

È opportuno non autorizzare l’uso di emergenza dei vaccini, attendere le conclusioni di tutte le sperimentazioni, realizzare studi indipendenti e privi di conflitti d’interessi, tornare ad applicare tutte le misure cautelative e le procedure standard per gli interventi profilattici, realizzare ampi programmi di sorveglianza attiva.

In Italia la sorveglianza in atto è passiva, e questa sottostima in misura enorme gli effetti delle vaccinazioni, compresi quelli gravi.

L’esempio tedesco

Robert Koch Institut, consiglia la vaccinazione dei minori solo se obesi e portatori di alcune serie patologie (o contatti di soggetti ad alto rischio di Covid 19 grave che non si possano vaccinare), e la sconsiglia in tutti gli altri bambini e adolescenti.

Analoga posizione di altri stati europei

Aiutare davvero i bambini

Fronteggiare una pandemia gravissima: obesità. Con il corredo di malattie metaboliche, cardiovascolari, tumori, … 

Promuovere un’alimentazione sana e stili di vita adeguati a preservare le fisiologiche capacità difensive dell’organismo contro tutte le infezioni e anche contro le malattie croniche e degenerative.

Una vera transizione ecologica che richiede un forte impegno regolatorio e promotivo delle istituzioni.

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Rafforzare la prima linea. Farmaci generici nella lotta al Covid-19

Confezioni di Ivermectina
(farmaco generico non commercializzato in Italia)

Il 10 maggio scorso il ministro della sanità del piccolo stato indiano di Goa, Vishwajit Rane, ha annunciato che a tutti i cittadini sopra i 18 anni si somministrerà l’Ivermectina nel tentativo di abbattere la mortalità dovuta al Covid-19.

È immediatamente intervenuta l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ricordando che l’OMS è contraria all’uso dell’ivermectina nel Covid-19 e cita – stranamente – le linee guida di BigPharma.

Fin dall’inizio della pandemia di Covid-19 il maggiore impatto è stato sulle unità di terapia intensiva per far fronte all’insufficienza respiratoria acuta che sviluppava una percentuale elevata di pazienti ospedalizzati.

Nonostante una vasta ricerca e le crescenti evidenze circa la sicurezza e l’efficacia di diverse sostanze e farmaci generici, le autorità sanitarie nazionali e internazionali (EMA, OMS) hanno continuato a raccomandare solo “cure di supporto” e, come nel caso italiano “vigile attesa”, evitando altre terapie al di fuori di studi randomizzati controllati, di fatto sottovalutando e persino ostacolando la possibilità di fronteggiare l’epidemia a livello dell’assistenza di base, della medicina comunitaria e familiare.

La strategia di contenimento della pandemia fin dall’inizio è stata individuata nello sviluppo e poi nella somministrazione universale di vaccini, presentando questa soluzione per lo più come l’unica via percorribile per far “ripartire” l’economia e ritornare alla “normalità”, ivi incluso il superamento delle misure basiche di controllo come il mantenimento di una distanza fisica atta a limitare il contagio, il frequente lavaggio delle mani e l’igienizzazione delle superfici, l’uso delle mascherine e, naturalmente, l’isolamento delle persone positive al virus, nonché le misure di più ampio impatto sociale quali i diversi livelli di “lockdown”.

Non si mette in discussione l’utilità di vaccini efficaci e sicuri nella prevenzione di molte infezioni e quindi di possibili epidemie. Non si intende entrare nel merito della discussione, peraltro necessaria, sulla sicurezza e l’efficacia di vaccini il cui uso è stato autorizzato in emergenza, senza averne adeguatamente completato tutte le fasi di sperimentazione.  Ci si vuole piuttosto interrogare sulle ragioni della scarsa attenzione verso la ricerca e l’adozione di presidi terapeutici sicuri ed efficaci nel limitare la progressione della malattia verso condizioni che richiedono l’ospedalizzazione e spesso il sovraccarico delle unità di terapia intensiva, e quindi nel ridurre la fatalità del Covid-19. La ricerca di efficaci farmaci di prima linea dovrebbe essere stata la principale strategia di contenimento di quella crisi sanitaria presto trasformatasi in crisi sociale ed economica, invece a tutt’oggi le principali autorità sanitarie nazionali e globali sembrano ostacolare all’unisono la loro utilizzazione, in alcuni casi anche di fronte a crescenti, e in alcuni casi già solide evidenze circa la sicurezza ed efficacia di quei farmaci.

In particolare, sarebbe stato strategico rivolgere l’attenzione verso farmaci generici per i quali nel corso della pandemia si andava accumulando una significativa mole di letteratura a supporto della loro efficacia nella cura della Covid-19. I farmaci generici, molti dei quali sono inclusi nella lista dei farmaci essenziali della Oms, non sono soggetti a diritti di proprietà intellettuale, sono per lo più mondialmente disponibili e accessibili a basso costo, e la loro sicurezza è stata verificata dalle autorità sanitarie e comprovata da decenni di uso e spesso centinaia di milioni di utilizzatori.

Essi costituirebbero quindi il presidio terapeutico ideale per fronteggiare la malattia al suo esordio e le istituzioni pubbliche e filantropiche avrebbero dovuto assegnare la massima priorità al finanziamento di studi tesi a confermare la possibilità di un loro “repurposing” ovvero di una nuova indicazione per la profilassi e/o la cura della Covid-19. È evidente, peraltro, che le grandi imprese farmaceutiche non hanno alcun interesse a investire sulla ricerca di farmaci ormai fuori dalla copertura brevettuale e che quindi non possono garantire ritorni economici significativi; semmai hanno interesse ad ostacolare quella ricerca.

Invece, a livello nazionale e globale, il finanziamento pubblico e privato filantropico della ricerca sulla terapia della Covid-19 è stato incomparabilmente limitato se confrontato con quello destinato allo sviluppo di vaccini, la sperimentazione di farmaci ed in particolare di quelli generici è stata per lo più lasciata all’iniziativa di singoli ricercatori e istituti che ne hanno coperto gli oneri mediante risorse proprie, come mette in risalto un editoriale della rivista Nature.[1]

Il caso dell’Ivermectina appare come un caso paradigmatico.

Il 10 maggio scorso il ministro della sanità del piccolo stato indiano di Goa, Vishwajit Rane, ha annunciato che a tutti i cittadini sopra i 18 anni si somministrerà l’Ivermectina nel tentativo di abbattere la mortalità dovuta al Covid-19 considerando le evidenze prodotte dai numerosi studi pubblicati indicando una riduzione statisticamente significativa della mortalità, tempo di recupero e clearance virale in pazienti COVID-19 trattati con questo farmaco.[2]

È immediatamente intervenuta l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) con un tweet del direttore scientifico dell’Organizzazione, Soumya Swaminathan, mettendo in guardia contro l’uso indiscriminato di ivermectina, ricordando che l’OMS è contraria all’uso dell’ivermectina nel Covid-19 salvo in trial clinici.[3] Sorprendentemente, il tweet citato in molti mezzi di stampa e ripreso dalle reti sociali invece di rimandare alle linee guida della stessa Organizzazione,[4] indicava il link al parere dell’industria farmaceutica Merck l’antico detentore del brevetto sulla ivermectina (nome commerciale Mectizan), il cui uso è approvato da diversi decenni per numerose parassitosi umane oltre che per analoghi usi veterinari.[5] In particolare il Mectizan Donation Program, la partnership pubblico-privato che dal 1987 vede associate tra gli altri la stessa Merck e l’Oms nella campagna di eradicazione dell’oncocercosi ha realizzato 850 milioni di trattamenti, con l’impegno della Merck di donare il farmaco “nelle quantità necessarie per tutto il tempo necessario” fino al raggiungimento dell’eradicazione della malattia.[6]

Curiosamente, sulla pagina del citato responsabile scientifico della Oms il tweet originale non è più reperibile.[7] Nel documento del colosso farmaceutico si afferma: “Non crediamo che i dati disponibili supportino la sicurezza e l’efficacia dell’ivermectina oltre le dosi e le popolazioni indicate nelle informazioni di prescrizione approvate dalle agenzie di regolamentazione”.[8] Infatti dello stesso parere sono l’Agenzia Europea del Farmaco (EMA), che per trarre conclusioni ritiene necessari “ulteriori studi randomizzati e ben disegnati” [9] e lo statunitense National Institutes of Health (NIH) che però afferma. “Non ci sono dati sufficienti per il gruppo di esperti sulle linee guida per il trattamento della COVID-19 per raccomandare a favore o contro l’uso dell’ivermectina per il trattamento della COVID-19”, sottolineando peraltro che in genere il farmaco è ben tollerato.[10] Le citate linee guida dell’OMS, aggiornate al 31 di marzo, peraltro specificano che le medesime non riguardano l’uso profilattico del farmaco, sul quale quindi non si esprimono.[11]

Prima della decisione del ministro indiano e dell’intervento del direttore scientifico dell’Oms, che non poteva disconoscerne l’esistenza, erano già stati pubblicati i risultati di numerosi ed importanti studi di trattamento randomizzato e controllato (RCT) dell’ivermectina nella COVID-19.

Tra gli altri, una meta-analisi pubblicata il 22 aprile 2021 realizzata su 18 studi di trattamento randomizzato e controllato (RCT) dell’ivermectina nella COVID-19 pubblicata da Kory et al., riportava riduzioni ampie e statisticamente significative della mortalità, del tempo di recupero clinico e del tempo di eliminazione virale. Lo stesso articolo riferiva i risultati di numerosi studi di profilassi controllata che riportavano rischi significativamente ridotti di contrarre la COVID-19 con l’uso regolare di ivermectina. Aggiungeva inoltre, i numerosi esempi di campagne di distribuzione dell’ivermectina che hanno portato a una rapida diminuzione della morbilità e della mortalità in tutta la popolazione, a supporto dell’indicazione all’uso del farmaco. Infine, l’articolo riportava il verdetto del British Ivermectin Recommendation Development Panel che dopo aver analizzato  risultati della meta-analisi di 18 RCT di trattamento e di 3 RCT di profilassi che includevano più di 2500 pazienti insieme a una sintesi degli studi osservazionali e delle analisi epidemiologiche relative all’uso regionale dell’ivermectina, ha riconosciuto che la certezza delle prove degli effetti dell’ivermectina sulla sopravvivenza è forte e ne ha raccomandato l’adozione incondizionata per l’uso nella profilassi e nel trattamento della COVID-19.[12]

Un’altra revisione sistematica realizzata da Bryant et al., disponibile in pre-print fin dal 19 marzo, giunge ad un’analoga raccomandazione per l’uso precoce dell’ivermectina.[13]

Le morti giornaliere per Covid19 nello stato indiano di Goa precipitano a partire dal 10 maggio.

(Fonte: IHME)

Per diversi altri farmaci generici e sostanze con potenziale beneficio nella lotta contro la Covid-19 (esempio Vitamine C e D, idrossiclorochina, colchicina, ibruprofenato di sodio, … ) l’atteggiamento delle agenzie del farmaco e delle OMS è stato analogo, ignorando l’opportunità o esprimendosi contro il loro uso, per insufficienza di prove, ritenendo necessari ulteriori studi e approfondimenti.

Di fronte a una situazione di estrema urgenza e di fronte ormai a oltre tre milioni e mezzo di morti, non è etico ostacolare l’uso di sostanze e farmaci di provata sicurezza, ampia accessibilità e basso costo, sulla base di insufficienza di prove circa efficacia quando ne esistano seppur deboli e perfino solo aneddotiche. Piuttosto quelle prove ancora insufficienti per un’approvazione dovrebbero spingere a intensificare la ricerca sulle potenzialità individuate, assicurando i necessari finanziamenti ed eventualmente autorizzarne l’uso compassionevole.

Ma sarebbe ancora meno etico e probabilmente illegittimo ostacolare ad arte l’affermazione di un presidio terapeutico perché il riconoscimento di un farmaco efficace contro la Covid-19 potrebbe far decadere l’autorizzazione concessa alla utilizzazione d’emergenza dei vaccini intorno ai quali come è noto girano interessi economici miliardari. In questo senso, una lettura attenta del regolamento europeo relativo all’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata dei medicinali per uso umano potrebbe suggerire che il riconoscimento dell’esistenza di un farmaco efficace priverebbe di legittimità l’autorizzazione concessa ai vaccini in uso, laddove tra le condizioni per l’autorizzazione si legge che il medicinale (in questo caso i vaccini) per il quale si concede l’autorizzazione deve risponder a “esigenze mediche insoddisfatte” ovvero “una patologia per la quale non esiste un metodo soddisfacente di diagnosi, prevenzione o trattamento autorizzato”.[14]

Analogamente la Food and Drug Administration (FDA) l’agenzia regolatoria degli Stati Uniti d’America, sebbene in una raccomandazione non vincolante,  per l’autorizzazione all’uso di emergenza di vaccini per la prevenzione della Covid-19 richiede che “non esista un’alternativa adeguata, approvata e disponibile al prodotto per diagnosticare, prevenire o trattare la malattia o condizione”.[15]

Si tratta di interrogativi che richiedono urgenti risposte.

In ogni caso, bisogna riconoscere che anche vaccinando gran parte della popolazione contro la Covid-19 con gli attuali vaccini la popolazione vaccinata continuerà a contagiarsi e a contagiare, potrà essere suscettibile all’infezione di nuove varianti – peraltro favorite proprio dalla vaccinazione di massa in piena epidemia – e comunque un certo numero di persone continueranno ad ammalarsi. Pertanto, non verrà meno l’esigenza di disporre di un adeguato armamentario di farmaci di prima linea.

Chissà come mai un nuovo piano europeo anti-Covid, ora tutto concentrato sui farmaci anziché sui vaccini, è rimasto top-secret fino a poco tempo fa e solo ora si comincia a squarciare il velo della riservatezza. Si tratta di affidare alla Commissione europea la firma dei contratti con Big Pharma, trattando in rappresentanza dei 27 paesi dell’Unione per evitare accaparramenti. Fin qui una buona notizia. Ma su quali farmaci si punta? Su prodotti che in diversi casi sono ancora in fase sperimentale, dai costi altissimi come gli anticorpi monoclonali, per la cui ricerca e commercializzazione la Commissione avrebbe già stanziato 90 milioni di euro, certo non farmaci economici e fuori brevetto![16]

Infatti, la ricerca diretta allo sviluppo di nuove indicazioni per farmaci generici non è attrattiva per l’industria per l’assenza di protezione brevettuale e quindi di significativi ritorni sull’investimento.

È la stessa ragione per cui molti prodotti generici seppur promettenti rimangono inesplorati. È lecito interrogarsi perché siano tabù anche per le autorità nazionali e internazionali che avrebbero tutto l’interesse a individuare terapie efficaci e a basso costo. Ma forse per loro è più importante assicurare che l’economia ricominci a correre.


[1]  Nature, Funders, now is the time to invest big in COVID drugs. Vaccine development has been a resounding success. But the medicine cabinet should have been better stocked. Nature, 14/04/2021. https://www.nature.com/articles/d41586-021-00960-w

[2] First Post, Goa prescribes Ivermectin for all above 18 to fight COVID-19 even as experts flag concern: All you need to know, First Post, 11 May 2021. https://www.firstpost.com/health/goa-prescribes-ivermectin-for-all-above-18-to-fight-covid-19-as-experts-flag-concern-all-you-need-to-know-9611751.html

[3] Siladitya Ray, Indian State Will Offer Ivermectin To Entire Adult Population — Even As WHO Warns Against Its Use As Covid-19 Treatment, Forbes, 11/05/2021, https://www.forbes.com/sites/siladityaray/2021/05/11/indian-state-will-offer-ivermectin-to-entire-adult-population—even-as-who-warns-against-its-use-as-covid-19-treatment/?sh=294f0a886d9f

[4] WHO, Therapeutics and COVID-19: living guideline, 31 March 2021, https://www.who.int/publications/i/item/WHO-2019-nCoV-therapeutics-2021.1

[5] EMA, EMA raccomanda di non utilizzare ivermectina per la prevenzione o il trattamento di COVID-19 al di fuori degli studi clinici, 22/03/2021 https://www.aifa.gov.it/-/ema-raccomanda-di-non-utilizzare-ivermectina-per-la-prevenzione-o-il-trattamento-di-covid-19-al-di-fuori-degli-studi-clinici

[6] Mectizan.org

[7] https://twitter.com/doctorsoumya

[8] https://science.thewire.in/health/ivermectin-covid-19-merck-soumya-swaminathan-who/

[9] Merck, 4/02/2021 https://www.merck.com/news/merck-statement-on-ivermectin-use-during-the-covid-19-pandemic/

[10] NIH, Ivermectine, 11/02/2021, https://www.covid19treatmentguidelines.nih.gov/antiviral-therapy/ivermectin/

[11] WHO, Therapeutics and COVID-19: living guideline, op.cit.

[12] Kory et al., American Journal of Therapeutics 28, e299–e318 (2021)

[13] Andrew Bryant, Theresa A Lawrie, Therese Dowswell, Edmund Fordham, Scott Mitchell, Sarah Hill, Tony Tham, Ivermectin for Prevention and Treatment of COVID-19 Infection: a Systematic Review and Meta-analysis, Systematic Reviews (in consideration), DOI: 10.21203/rs.3.rs-317485/v1, posted 18/03/2021

[14]  REGOLAMENTO (CE) N. 507/2006 DELLA COMMISSIONE del 29 marzo 2006 relativo all’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata dei medicinali per uso umano che rientrano nel campo d’applicazione del regolamento (CE) n. 726/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio. L 92/6 Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, 30.3.2006

[15] Food and Drug Administration, Emergency Use Authorization for Vaccines to Prevent COVID-19. Guidance for Industry. Document issued on February 22, 2021

[16] Claudio Tito, Centrale unica anche per i farmaci. Il piano segreto Ue contro il virus, La Repubblica 29 maggio 2021, p.3

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Covid, moratoria para la vacuna en los niños

Más de un millar de profesionales de la salud se han sumado a la moratoria promovida por las asociaciones de la Red Sostenibilidad y Salud (RSS) -de la que forma parte la asociación saluteglobale.it de la cual soy miembro – pidiendo que no se ponga en marcha la vacunación anti-Covid para los niños. El llamado de la RSS sigue a otros similares de 93 médicos israelíes y 40 investigadores del Reino Unido.

En una entrevista al periódico ilFattoQuotidiano.it publicada el 26 de mayo he explicado por qué no se debe proceder a la vacunación anti-Covid-19 de los niños.

En la entrevista antes que todo recordé que cuando atendí a la población de Nicaragua -como médico voluntario en la cooperación internacional- también participé en campañas de vacunación (en la foto) y más tarde, como funcionario de Unicef promoví la vacunación infantil con esa organización. Así que cualquier sospecha de que yo pueda ser genéricamente un “no-vax” debe ser inmediatamente disipada.

Lo mismo se aplica a la Red de Sostenibilidad y Salud. Más que no-vax nos interesa examinar con rigor científico las principales cuestiones de salud pública: si acaso, en relación a las vacunas somos Info-vax.

Pedimos un debate científico abierto y libre, que actualmente está reprimido. Nos encontramos ante una actitud dogmática y unilateral con mucha ciencia que por diferentes motivos (¿narcisismo? ¿Conveniencia? ¿Carrera?) aparece de diferentes maneras asociada a la política (y quizás no sólo a la política, dados los múltiples conflictos de intereses que se individuan si se van a examinar las publicaciones científicas sobre ensayos de vacunas).

En cambio, debemos aprovechar la oportunidad, como nos dice Edgar Morin, “para comprender que la ciencia no tiene un repertorio de verdades absolutas” y que “las controversias, lejos de ser anomalías, son necesarias para el progreso de la ciencia”.

La RSS y los firmantes de la Moratoria piden que no se vacune a los niños por al menos tres razones:

Los niños tienen un riesgo mínimo de Covid, a partir de los 18 años el riesgo para los más pequeños es insignificante. Los datos del Istituto Superiore di Sanità (el Instituto nacional de salud píublica italiano) también lo demuestran.

– También sabemos que la vacuna protege de la enfermedad a quienes la reciben, y reduce pero no evita la infección y la posibilidad de infectar a otros.

– Los niños no son una fuente de contagio significativa para los adultos, es especialmente cierto lo contrario.

No son pocas las incógnitas sobre las vacunas Covid. Si se puede justificar la vacunación de las categorías de mayor riesgo, no se puede justificar la vacunación de masa y menos en edad pediátrica.

El riesgo de contraer Covid19 en los niños es decididamente reducido -como nos muestran las curvas epidémicas- frente a potenciales riesgos desconocidos, a largo plazo o a gran escala, derivados de la inoculación de productos transgénicos (además introducidos en el mercado sin haber completado la fase 3 de experimentación) en el organismo de los niños, que evoluciona rápidamente. El principio de precaución es más importante que nunca en la infancia.

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Global Health Determinants and Limits to the Sustainability of Sustainable Development Goal 3

Transitioning to Good Health and Well-Being

The Agenda 2030, signed by the Heads of State and Government in 2015, set out 17 Sustainable Development Goals (SDGs) and, for each of them, a number of targets to be reached within the next 15 years, with a total of 169 targets. SDG 3, “ensuring a healthy life and promoting well-being for all at all ages”, provides, among others, Goal 3.8 “achieving universal health coverage, including protection of financial risks, access to quality essential health care services and access to safe, effective, quality and affordable essential medicines and vaccines for all“.

Agenda 2030, unlike the global agenda for the previous fifteen years, which focused on the so-called Millennium Development Goals (MDGs), mainly concerning the poorest countries, involves and commits all governments to the adoption of “indivisible” and universal goals that will help to end poverty by 2030 “once and for all”, and also brings the issue of development back to a global dimension. The new agenda is not without contradictions. Among other things, it proposes, among its economic objectives, “sustainable, inclusive and sustained growth”, an oxymoron that was pointed out at the beginning of the 1970s, when the Club of Rome showed the “limits of growth” in a finite ecosystem. Thus, the challenge of sustainability is global and involves all national health systems. Using Universal Health Coverage, SDG 3’s target, which seems to attract most of the attention, as the main focus, the paper argues that SDG 3’s feasibility and sustainability is highly dependent on transnational determinants which, if left unregulated by appropriate global governance processes, may jeopardize its attainment. Global determinants (international macroeconomic policies, migration, climate change, market forces, technological innovation, etc.) affecting health system functions (stewardship, resources generation, financing and the provision of services) are identified, and their impact analyzed. The analysis provides suggestions for the identification of an urgent paradigmatic shift to ensure the effective sustainability of SDG 3 in general, and of universal health coverage (UHC) in particular (Read the full chapter)

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