Intervista a Eduardo Missoni, medico e scrittore

A cura di Marina Beccuti

Eduardo Missoni, medico romano, che ha scelto di prestare servizi sociali nei paesi meno sviluppati, per una speciale missione verso gente più bisognosa, ha da poco scritto un libro sulle sue esperienze di medico in trincea. Il libro “Misa Campesina” parla dei suoi anni trascorsi in Nicaragua, durante il periodo della guerra tra Sandinisti e Contras. La prefazione del libro è stata scritta da un personaggio molto speciale, Isabel Allende, figlia del compianto Salvador. Eduardo Missoni con massima disponibilità ha accettato di rispondere a qualche domanda per Peacelink, area latina.

 

Apriamo questa conversazione parlando ovviamente del tuo libro appena pubblicato “Misa campesina”. Ci puoi parlare del suo contenuto e perché è nata l’idea di scrivere un racconto sulle tue esperienze?

EM: poco dopo essermi laureato ed aver compiuto i necessari tirocinii, partii volontario per il Nicaragua. Il Paese era appena uscito da una lunga guerra civile contro una delle dittature più sanguinarie di quel continente e sotto la guida del “frente sandinista de Liberacion nacional” il Nicaragua aveva cominciato la sua ricostruzione. Eppure, per me allora il Nicaragua era un Paese povero come qualsiasi altro; io avevo scelto il terzo Mondo non la rivoluzione ed avrei preferito andare in Africa, ma le cose andarono in un altro modo. Fu il mio primo impatto con quelle realtà, i primi passi nella professione medica, in un contesto storico sorprendente, in mezzo a persone che sarebbero presto divenute "la mia gente". Scrivevo a casa, agli amici, raccontavo le mie esperienze umane e professionali, il Tropico, povertà estrema, la Rivoluzione, …i miei amici scout raccoglievano quelle lettere, una di loro le batteva pazientemente a macchina, le fotocopiava e le distribuiva al gruppo. Mia madre le ha conservate tutte, più di trecento; un materiale prezioso per assicurare la fedeltà del racconto alla realtà quotidiana di quegli anni.

 

In pratica il libro nasce da un epistolario delle tue esperienze sul posto.

EM: a più riprese ho lavorato su quelle lettere, ci sono voluti quasi dieci anni per scriverlo questo libro. All'inizio avrei voluto legare quell'esperienza al mio impegno attuale nella cooperazione allo sviluppo e nel sociale; poi sono tornato in Nicaragua, quasi vent'anni dopo quella prima esperienza e ho capito che bisognava raccontare l'entusiasmo di quegli anni - che il governo attuale vorrebbe cancellare dalla storia come "il decennio perduto" per comprendere le frustrazioni di oggi e …continuare a camminare verso l'orizzonte.

 

Oltre alle lettere scritte nei vari momenti vissuti, hai allargato l’orizzonte, facendo considerazioni attuali, con ricordi che sono riaffiorati, man mano che mettevi insieme le cronache delle tue lettere?

EM: allora evitai volutamente di raccontare alcuni episodi. Gli attacchi della contra, per esempio; avrebbero solo creato ansia nei parenti e gli amici lontani. Ricordo che una volta quando raggiunsi mia madre per telefono, mi chiese degli attacchi della contra. Io negai, dicendo che la stampa esagera sempre; proprio in quei giorni però dovetti ricomporre i cadaveri di tredici compas sandinisti uccisi dalla contra. Ricordi indelebili. Ho raccontato comunque i fatti così come li ricordo, la cronaca degli eventi, senza filtri. Rivisitare quei luoghi, ritrovare gli amici rimasti è stato invece lo spunto per una riflessione sulla storia di quel Paese, quella nota e quella meno nota.

 

Hai già presentato il libro o come pensi di farlo?

EM: lo scopo di questo libro è comunicare un Progetto in cui tutti possiamo impegnarci. Io ho percorso una strada, ma ce ne sono molte altre possibili. Per questo “presentare” il libro non è per me solo un evento editoriale. Per il momento ho cominciato nei quartieri romani dove sono più attivo, il prossimo incontro sarà in una parrocchia, con l’aiuto di Ettore Masina. A Milano il 17 maggio lo presenterò nell’ambito del corso di educazione allo sviluppo dell’UNICEF all’Università; poi c’è in programma una presentazione ad Avezzano insieme con l’associazione delle donne medico; il MLAL, l’associazione con cui partii volontario, mi ha proposto di organizzare un incontro a Verona…

….mi piacerebbe condividere questa esperienza con gruppi giovanili, associazioni culturali e di volontariato in tutta Italia…Peacelink potrebbe facilitare il contatto.

Da dove nasce la tua scelta, come medico, di dedicare il tuo tempo, la tua attività per missioni umanitarie?

 

EM: quando scelsi di fare il medico avevo in mente l'Africa e l'esperienza di Albert Schweizer, lo scoutismo mi aveva formato all'idea di "servizio" e la professione medica nel Terzo Mondo mi sembrava il percorso più coerente da seguire.

L'Italia ha l'attuale Presidenza del G8, tu ne presiedi il gruppo sanità, che cosa ci puoi dire di questa esperienza, pensi che possano essere poste delle basi per un futuro migliore sulla sanità pubblica nel mondo?

 

EM: il G8 è nato come gruppo consultivo e non direttivo; penso che tale debba restare. Purtroppo in clima di globalizzazione, organismi non elettivi come il G8, ma anche la Banca Mondiale o la Organizzazione Mondiale del Commercio, stanno prendendo il sopravvento per compiti che possono spettare solo alle Nazioni Unite, che - pur con i loro noti limiti di rappresentatività (basti pensare alla composizione del Consiglio di Sicurezza) - restano il luogo più democratico disponibile a livello globale. Dunque, non è il G8 a poter gettare le basi per un futuro migliore.

Quale ruolo può allora giocare il G8?

EM: il G8 potrebbe giocare un ruolo molto importante nel promuovere nelle sedi appropriate le scelte necessarie per un cambiamento di rotta. Ma il G8 rappresenta i potenti e i privilegiati del mondo; è difficile che possa farsi onesto interprete dei bisogni e delle aspirazioni di un'umanità dove un miliardo e mezzo di persone vive con meno di un dollaro al giorno. Ciò non toglie naturalmente che, assumendosi le proprie responsabilità i Paesi più ricchi del globo non possano contribuire alla ricerca ed alla messa in atto di soluzioni adeguate. Per quanto concerne il gruppo di esperti sanitari che presiedo, il suo compito è quello di verificare le proposte politiche ed eventualmente suggerire soluzioni tecniche adeguate, anche se ognuno di noi si muove entro i limiti posti dalle istituzioni governative che rappresenta e dentro i propri limiti culturali, ivi incluso il modello di sviluppo che ha in mente. Il fatto che il G8 abbia posto la salute nella propria agenda dei lavori è già un passo avanti, ora credo che il passo successivo debba essere quello di riconoscere la salute come obiettivo dello sviluppo e non come semplice strumento di crescita economica. Dovrebbe essere introdotto il concetto che in ogni settore (a partire dalle ricette macroeconomiche) le politiche che possano avere effetti negativi sulla salute della popolazione debbano essere abbandonate. Insomma, dovremmo introdurre il concetto di "Valutazione d'impatto sulla salute" sul quale misurare ogni intervento. Nel nostro gruppo è stato ribadito che "la salute deve essere al centro dell'agenda dello sviluppo", ma alla mia proposta di fare il ricordato passo avanti, qualcuno si è subito tirato indietro: "non è compito nostro".

 

Tornando al tuo libro, la prefazione è scritta da un nome importante della storia latinoamericana, Isabel Allende, figlia del Presidente Salvador. Immagino che venire a contatto con una persona simile sia stato emozionante, ci puoi raccontare come l’hai conosciuta e se hai qualche aneddoto o riferimento da raccontare su di lei?

EM: ero appena arrivato in Messico per iniziare un nuovo lavoro come funzionario dell'UNICEF, era la fine dell'anno e la Rappresentante di quell'organizzazione a Città del Messico mi invitò a trascorre il capodanno con lei e pochi amici. Isabel era tra loro. Quando me la presentarono provai l'emozione che si prova quando si incontra la storia. Non sapevo che pochi giorni dopo avrei incontrato sua cugina María Inés, oggi mia moglie, e che anche Ortensia Bussi la vedova di Allende,sarebbe divenuta anche per me, semplicemente la zia Tencha.

 

 

 

 

Cocludiamo questa importante testimonianza, ringraziando Eduardo per la sua cortesia e disponibilità, in attesa della presentazione del suo libro, che ci auguriamo possa avvenire in molte città italiane. Perché è importante che la memoria non scompaia mai, ma aiuti a non rifare gli stessi errori.