Gaza: La vita nel cuore della morte: Una serie sulle esperienze dei professionisti della salute mentale sotto attacco – Storia 3

Wishing there was no night:

The worst time of the day in this savage war is when the sun starts setting, as if the night has been weaponized by the colonizer to instil fear and horror.

These are the nights of terror. 

Total darkness.

No electricity.

Incessant trepidation.

Exaggerated sounds of explosions.

Fear for our kids is multiples of our fear for ourselves. 

When we have the chance to follow the news or see the martyrs, especially the children, we are overtaken by an overwhelming sense of fear that shakes us to the core. 

Only excessive fear and cumulative exhaustion can put the kids to sleep. We thank God when they sleep, even if from fear and exhaustion, so they don’t wake to some of the terrifying sounds of shelling. 

Us adults push each other on with prayers, praise, and wishes that we are not the next target. 

Hours of the night are slow and motionless. We pray to God that we see another morning in a new life… although daylight is no less dangerous, but we find solace in the company of people around us who remained alive. The occupiers transformed the night that God made for rest and contentment to an unwanted visitor of daily terror. 

Our wives keep themselves busy by preparing food and caring for the children as much as they can. And us husbands leave the house holding our souls in our hands to make available whatever we can find of basic necessities. I don’t know wether I will return with water for my family or wether my blood will water the earth beneath me. I don’t know if I will come back to find my family alive and well or under the rubble. And if I am destined to return to my beloved wife, I support her as much as possible. Oh how I missed talking to her about the children and my problems at work! Now our conversations are about listening and supporting (considering emergency plans – problem-solving solutions for water shortage – arranging for general daily challenges and so on). We hold on to dear life with all what is left of our strength for the sake of a better tomorrow.

We console each other that we are still alive and that hope is enough to hold us until tomorrow. All for tomorrow. A tomorrow we pray would be better than yesterday’s tomorrow. 

Roo7 – Anonymous Mental Health Professional in Gaza, Palestine (for fear of being targeted)
25 October 2023
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Gaza. La vita nel cuore della morte: Una serie sulle esperienze dei professionisti della salute mentale sotto attacco – Storia 2

Viviamo  nel terrore di morire da un momento all’altro. Per quanto possibile, razioniamo cibo e acqua. Ogni giorno ci sono lunghe file per il cibo e l’acqua potabile. Non sappiamo quando sentiremo la furia degli aerei mentre riempiamo l’acqua potabile.

Paura e preoccupazione 24 ore su 24, giorno e notte. Dormiamo a malapena 3-4 ore interrotte, perché la follia degli attacchi si intensifica di notte.

I nostri figli sono terrorizzati. Mio figlio ha un anno e mezzo e non si alza dalle ginocchia della mamma o dalle mie, non mangia, vuole solo il latte materno.

In mezzo a tutte queste condizioni, c’è una grande speranza che le cose si risolvano in un attimo. Ogni giorno ringraziamo Dio di avere ancora la vita in noi.

24 ottobre 2023

Roo7 – Professionista della salute mentale anonimo (per paura di essere preso di mira)

Testo originale QUI

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Gaza: La vita nel cuore della morte: Una serie sulle esperienze dei professionisti della salute mentale sotto attacco

La dottoressa Dinah Ayna, psicologa clinica e consulente per la salute mentale e membro del Comitato consultivo internazionale dell’UPA (United Palestinian Appeal), sostiene lo sforzo del team Healing through Feeling (Guarire con sentimento) a Gaza dal 2018 e continua a sostenere coloro che può raggiungere durante questa guerra.

La dottoressa Dinah Ayna, psicologa clinica e consulente per la salute mentale e membro del Comitato consultivo internazionale dell’UPA (United Palestinian Appeal), sostiene lo sforzo del team Healing through Feeling (Guarire con sentimento) a Gaza dal 2018 e continua a sostenere coloro che può raggiungere durante questa guerra.

Due settimane dopo la recente aggressione contro Gaza, la dottoressa Ayna ha concordato con diversi professionisti della salute mentale all’interno e all’esterno dell’UPA l’importanza di condividere le loro storie con il mondo. I professionisti hanno scritto le loro esperienze in arabo, e la dottoressa Ayna ha poi modificato, tradotto e rispedito le storie per ottenere l’approvazione finale degli autori originali prima di condividerle. Gli autori hanno anche inviato delle foto che sono state modificate per proteggere la loro identità e pubblicate, con l’approvazione, insieme alle storie. A coloro che non volevano essere identificati sono stati dati dei soprannomi.

Ho deciso di tradurre in italiano quelle storie e il messaggio della dottoressa Dinah e di proporle periodicamente sul mio blog.

Le storie in inglese e l’originale in lingua araba sono raccolte QUI

Mi chiamo Dinah e sono una psicologa clinica con sede a Beirut, in Libano. Lavoro con i professionisti della salute mentale a Gaza dal 2018, concentrandomi sullo sviluppo delle capacità e sulla prevenzione del benessere e del burnout. Nel corso degli anni, ho sviluppato un enorme rispetto e apprezzamento per quelle persone che hanno continuato a prosperare nonostante le condizioni indicibili dell’assedio e della guerra, condividendo quelle stesse realtà traumatiche con le persone che servono. Quando è iniziata la guerra a Gaza, mi hanno raccontato alcune delle loro esperienze e delle lotte umane che stavano affrontando. All’inizio, continuavano a sostenere le famiglie attraverso i gruppi di chat, ma poi, tra i problemi di connettività e la necessità di spostarsi continuamente e di occuparsi delle proprie famiglie, questo processo si è interrotto. I messaggi mettevano in evidenza i loro ruoli sociali e le loro relazioni e mi davano un’idea di cosa significasse vivere in quel contesto. Ne ho parlato prima con alcune persone, che hanno accettato e la serie è nata. Qualche storia dopo, altri che hanno saputo dell’iniziativa hanno chiesto di poter scrivere le loro storie, e la serie continua a crescere. Preghiamo tutti perché questa guerra finisca presto e pubblicheremo le loro storie affinché il mondo ricordi sempre che le persone non sono numeri, ma esseri umani con vite, sogni e scopi.

Dinah Ayna, United Palestinian Appeal

La vita nel cuore della morte: Una serie sulle esperienze dei professionisti della salute mentale sotto attaccoSTORIA 1

Sono io, Yasmine!

Nel diciassettesimo giorno di aggressioni sulla Striscia, continuiamo un lungo viaggio alla ricerca di un luogo sicuro dentro o fuori casa. Vedete, dopo aver ricevuto messaggi che ci invitavano a lasciare le nostre case e a dirigerci verso sud, abbiamo creduto che il sud fosse davvero il luogo sicuro! Ma dopo esserci diretti a sud, abbiamo scoperto da soli che non c’è nessun luogo sicuro a Gaza! Siamo bersagli dell’occupazione fascista ovunque ci troviamo. Abbiamo quindi deciso di tornare a casa, dicendoci l’un l’altro “Siamo morti, in ogni caso. Meglio morire nelle nostre case, perché almeno così la gente saprà che ci siamo sollevati come martiri. Ma fuori dalle nostre case, potremmo morire e nessuno saprebbe che siamo morti”. Per questo motivo siamo tornati a casa. Mio marito, Mohammad, si è preoccupato di tenermi in casa. Vuole proteggermi da qualsiasi pericolo che possa farmi del male. Vedete, Mohammad e io abbiamo un legame forte e speciale. Con il nostro amore reciproco, siamo sopravvissuti a malapena alla perdita della nostra bambina Sofia, appena un mese prima dell’inizio di questi attacchi. Sofia si è trasformata in un angelo, pochi giorni prima del suo primo compleanno, perché gli ospedali di Gaza non avevano le attrezzature adeguate per curare un bambino nato prematuro. Il nostro meglio non è stato sufficiente per tenerla in vita. Ora Mohammad vuole fare tutto il possibile per tenermi al sicuro. Così ha cercato un posto che riteneva il meno pericoloso e ha deciso per il sottoscala. Mi ha costruito una “Casa delle scale” sicura per proteggermi dai razzi dell’occupazione bruta che potrebbero colpire in qualsiasi momento. Tengo accanto a me una borsa con documenti importanti e un po’ di denaro, e ne ho un’altra con gli indumenti essenziali, sapendo bene che se si verificasse un’emergenza e dovessimo partire all’improvviso, non porterei nulla di tutto ciò! Ma il solo fatto di averli accanto a me mi dà un senso di sicurezza. Sapete come si dice “dobbiamo metterci al sicuro”. Non so da cosa ci si possa proteggere in questo caso, con queste borse, se perdessimo le nostre case o le nostre famiglie! E poi ci sarà ancora una sicurezza?!

Corro a rifugiarmi nella mia casa dalle scale sicure ogni volta che sento il rumore di un missile che cade, inorridita dal fatto che questo possa essere il momento in cui le nostre vite finiranno! Anche se so benissimo che se uno di questi missili ci cadesse addosso, non ci sarebbe nessun posto sicuro, e anche questa mia piccola casa sicura scomparirebbe!

23 ottobre 2023

Yasmine Ayoub
HP presso UPA
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Misa Campesina: una bella recensione

“… Scorrendo quelle pagine era come ritrovarmi, profondamente emozionato, immerso nell’atmosfera di quel tempo...”

di Giorgio Bianchi

Era il mese di giugno del 1982 quando, quel giorno, dopo un viaggio di almeno sei ore sotto la pioggia a bordo di una camionetta, per strade sterrate sulle montagne del Nicaragua, raggiunsi il piccolo ospedale di Waslala. Era una costruzione in legno e bambù piuttosto mal ridotta, e lì conobbi Eduardo Missoni, che già da tre anni lavorava come medico volontario nei villaggi del Nicaragua, un Nicaragua appena uscito da una rivoluzione vittoriosa, che aveva lasciato lutti e sofferenze. Rimasi pochi giorni, ma furono giorni intensi, di quelli che ti cambiano la vita. Di lui, dopo la mia partenza, non seppi più nulla.

Dovevano passare quarant’anni perché casualmente mi capitasse tra le mani un libro il cui titolo e l’autore attirarono subito la mia attenzione. “Misa campesina”, di Eduardo Missoni. Scorrendo quelle pagine era come ritrovarmi, profondamente emozionato, immerso nell’atmosfera di quel tempo.

Il libro racconta gli eventi che scandirono il tempo dei tre anni che Eduardo rimase in Nicaragua. Scopre e condivide, giorno dopo giorno, un mondo dove la vita scorre in poveri villaggi di fango, abitati da un’umanità provata dalla guerra e dalla violenza ma non abbandonata dalla speranza di un futuro migliore. Il lavoro nei campi, le feste, la religiosità più semplice, nascite e morti, l’amore, tutto visto con gli occhi di un medico che si prodiga ogni giorno, tra difficoltà inimmaginabili, povertà e condizioni igieniche disastrose a curare, con i pochi mezzi disponibili, i mali di quella comunità.

Da quelle pagine le figure che emergono sono vive, sono reali, sono persone, ognuna con la sua storia. Mi pare quasi di vedere i loro volti: Pade Jorge, Flora, Domingo, Erlinda e tanti altri. I centri di salute sono il punto di riferimento per la popolazione, ma sovente tocca recarsi in villaggi isolati, per sentieri che solo a cavallo si possono raggiungere, sotto la minaccia delle bande controrivoluzionarie che, sostenute dal Nord America, tentano di rovesciare il governo sandinista. Ci sono giorni di sconforto per una vita che non si è potuta salvare, e altri in cui si incomincia a credere ai miracoli. Ma sono le nascite che costellano gli eventi. Nuove vite che vengono al mondo, so- vente tra molte difficoltà, ma che fanno sperare nel futuro.

Non sono più ritornato in Nicaragua. Sapevo come stava cambiando con gli anni la vita, in quel paese, vittima di un neoliberismo trionfante dopo la caduta del sandinismo. Sapevo che non avrei più ritrovato il mio Nicaragua, quel Nicaragua che aveva fatto sognare i molti che l’avevano conosciuto. Nelle ultime pagine del libro, Eduardo racconta del suo ritorno, dopo venti anni, e trova tutto cambiato. Sono pagine permeate da una profonda malinconia per un sogno svanito col mutare degli eventi. Avevo fatto bene a non ritornare e rimanere così col mio sogno.

Il libro, giunto alla sua terza ristampa, assume nuova rilevanza, in un momento storico in cui il Nicaragua vive di nuovo l’oppressione di una dittatura, sotto un regime imposto da chi in quegli anni appassionanti aveva guidato il processo rivoluzionario, tradendone poi i valori e le speranze che quei valori avevano suscitato, tradendo il popolo e i suoi martiri che avevano partecipato alla lotta e le migliaia di giovani e meno giovani che erano giunti da tutto il mondo per dare una mano alla costruzione dell’utopia.

Sono grato a Eduardo per avere scritto questo libro. È un libro che cattura, da leggere tutto d’un fiato, che commuove profondamente, in cui ogni pagina rivela un mondo di persone semplici che lottano per una vita di stenti, una vita condivisa da Eduardo giorno dopo giorno, con amore.

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Sviluppo (in)sostenibile e sistemi sanitari: la lezione della pandemia

di Eduardo Missoni

Riassunto

L’Agenda globale per lo sviluppo sostenibile, nota come “Agenda 2030” ha fissato – con significative contraddizio- ni e controverse interpretazioni – gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) da raggiungere entro il 2030. La recen- te pandemia di Covid-19 ha messo in luce l’interrelazione tra determinanti globali della salute e il sistema socio- economico che li accomuna. Utilizzando un approccio di sistema si analizza l’interazione dei poteri e dei processi globali che interagiscono con le funzioni principali dei sistemi sanitari focaliz- zando l’attenzione sulla pandemia e la gestione della risposta. L’analisi mette in risalto come all’origine della crisi vi sia l’egemonico modello neoliberale e di mercato, “causa delle cause” che – in assenza di un cambiamento paradigma- tico – rende insostenibile l’obiettivo di “vita sana e benessere per tutti” e in generale di un’agenda globale per il bene comune dell’umanità e del pianeta.

Scarica qui il pdf del n.58 della Rivista Il Cesalpino con l’articolo completo.

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Misa Campesina, le presentazioni

5 maggio, Clauiano (UD)

18 maggio, Milano

28 maggio, Firenze

6 giugno, Roma

8 giugno, Arezzo,

23 giugno, Milano

Perché dovrebbero leggerlo tutti i giovani e i diversamente giovani!

CLAUIANO (UD), 5 maggio – Presso Azienda Vinicola Foffani.

5 maggio – Presentazione a Clauiano (UD), presso Azienda Vinicola Foffani.

MILANO, 18 maggio – Presso “The Mill” (di Roberto Cociancich) clicca qui per vedere la videoregistrazione della serata

18 maggio – Presentazione a Milano, Presso “The Mill” (di Roberto Cociancich) clicca qui per vedere la videoregistrazione della serata

Ascolta qui la presentazione del 18 maggio a Milano su Radio Scout.

FIRENZE, 28 maggio – Presentazione a Firenze. Presso Sugar Blues – clicca qui per vedere la videoregistrazione della serata

28 maggio – Presentazione a Firenze. Presso Sugar Blues – clicca qui per vedere la videoregistrazione della serata

ROMA, 6 giugno. Qui puoi vedere la registrazione della serata (Su FB).

Roma, 6 giugno. Qui puoi vedere la registrazione della serata (Su FB).

AREZZO, 8 giugno. Presso Libreria Feltrinelli. Con il giornalista Gianni Beretta.

AREZZO, 8 giugno
8 giugno ad Arezzo, presso Libreria Feltrinelli. Con il giornalista Gianni Beretta.

MILANO, 23 giugno alle 19:00 presso il centro interculturale di quartiere, cascina casottello, via Fabio Massimo 19 milano

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L’OMS e i negoziati per la gestione delle pandemie prossime venture

di Eduardo Missoni

Pubblicato su https://www.assis.it il 29/03/2023

Con la pandemia Covid19 si è tornati a parlare molto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e del suo ruolo di coordinamento e direzione dell’attività di sanità internazionale che la sua Costituzione, un accordo internazionale – e come tale vincolante – tra 194 Stati membri, le attribuisce. Questa accresciuta visibilità dell’OMS ne ha però messo in evidenza anche le debolezze ed in particolare la sua esposizione all’influenza del settore privato e in particolar modo della Fondazione Bill e Melinda Gates che si aggiunge a quella dei suoi principali contribuenti pubblici.

Da sempre, come tutte le Istituzioni Internazionali, l’OMS si è dovuta confrontare con le tensioni proprie della geopolitica. Ad esempio, nel contesto della guerra fredda il blocco socialista guidato dall’Unione Sovietica abbandonò l’organizzazione dal 1949 al 1956, manifestando così il proprio dissenso rispetto alla sua gestione considerata filo-occidentale. Analogamente, ritenendo che l’Organizzazione fosse eccessivamente compiacente verso la Repubblica popolare cinese, il 7 di luglio del 2020 gli Stati Uniti dell’amministrazione Trump sono usciti dall’OMS, salvo rientrarvi dopo l’elezione di Biden alla Presidenza.

Con l’affermarsi del pensiero neoliberale “più Mercato meno Stato” e delle amministrazioni conservatrici del presidente Reagan negli USA e della Signora Thatcher nel Regno Unito, l’OMS – come del resto tutto il sistema delle Nazioni Unite – soffrì il “congelamento” del proprio bilancio regolare, costituito dai contributi obbligatori che tutti i paesi membri devono versare all’organizzazione in ragione della valutazione della loro capacità economica. Da allora il contributo obbligatorio degli Stati è rimasto stabile e il finanziamento dell’OMS è divenuto sempre più dipendente da contributi volontari, o fondi fuori bilancio, versati all’Organizzazione a discrezione dei paesi membri, nonché da donatori privati. Nel 2007 il bilancio generale (regolare + fondi fuori bilancio) era ormai costituito da circa il 20% da contributi obbligatori e 80% da contributi volontari, una proporzione che si è poi mantenuta fino ad oggi.[1]

Si potrebbe osservare che, con poche eccezioni (es. nel biennio 2012-2013)  i fondi a disposizione dell’OMS sono comunque sempre aumentati nel corso degli anni.  Purtroppo per l’OMS contributi obbligatori e volontari non hanno la stessa valenza. I primi infatti sono gestiti in autonomia dall’Organizzazione sulla base delle decisioni prese dal suo organo rappresentativo (tutti i 194 Stati membri) e massimo livello decisionale: l’Assemblea Mondiale della Sanità (AMS). L’utilizzazione dei contributi volontari invece è soggetta in maniera più o meno stringente (indicazioni “specifiche” o “tematiche”) alle priorità e le indicazioni dei donatori, salvo che questi decidano di non assoggettarvi i loro contributi o parte di essi (in questo caso nel gergo delle Nazioni Unite si parla di fondi “core”, che sono assimilabili in quanto all’autonomia di gestione ai contributi obbligatori). Per quanto riguarda i donatori privati i contributi non possono che essere volontari e in genere tutti utilizzati secondo la volontà del donatore. È evidente dunque che attraverso il finanziamento i donatori – pubblici e privati – sono in grado di influenzare fortemente l’attività dell’OMS. Inoltre, i contributi volontari sono imprevedibili e fortemente soggetti fluttuazioni, il ché ne impedisce una programmazione a lungo termine oltre ad obbligare l’Organizzazione ad esercizi aggiuntivi di rendicontazione tecnica e finanziaria e quindi ad uso poco efficiente delle risorse,  per rispondere alle esigenze dei donatori.

Contrariamente a quanto si sente dire in circoli agguerriti, ma a volte superficiali nelle loro affermazioni, l’OMS non è “un’organizzazione privata”, né finanziata prevalentemente da donatori privati. L’OMS è un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite e come tale a stabilire le strategie, approvare il bilancio, eleggere gli organi esecutivi e il Direttore generale sono i suoi Stati membri. Se esaminiamo i dati finanziari dell’ultimo biennio per cui sono disponibili (2020-2021), vediamo che sommando contributi obbligatori e contributi volontari gli Stati membri contribuiscono al 57,4% del bilancio generale. Le fondazioni private (le cosiddette “filantropie globali”) contribuiscono al bilancio generale per l’8,62%, i partenariati pubblico-privati per il 6% e il settore privato commerciale per appena l’1%. La parte restante del bilancio è costituita da contributi del sistema delle Nazioni Unite, altre organizzazioni intergovernative e fondi di sviluppo (pertanto si tratta anche in questo di fondi pubblici), oltre che da una miscellanea di altri piccoli finanziatori.

È comunque preoccupante che il “governo” mondiale della sanità sia fortemente soggetto a interessi privati, ma è chiaro che la responsabilità ce l’hanno gli Stati membri che fomentando ormai da diversi decenni la partecipazione del settore privato alla cosiddetta governance globale, ovvero ai processi formali e informali di decisione, ne hanno consentito una crescente influenza. Nel biennio in esame, la Fondazione Gates è il terzo finanziatore dell’OMS, dopo la Germania – che ha aumentato significativamente i propri contributi per far fronte alla pandemia di Covid19 – e gli Stati Uniti, e da almeno un decennio sempre tra i primi tre (e addirittura il primo nel 2013). La Fondazione Gates ha inoltre un ruolo determinante in pressocché tutti i partenariati pubblico-privati ed in particolare nell’Alleanza GAVI per la vaccinazioni, di cui è stato l’iniziatore e che è a sua volta al quarto posto tra i finanziatori dell’OMS.

L’influenza degli attori privati sull’attività dell’OMS non si esercita però esclusivamente attraverso la leva finanziaria, ma anche attraverso una serie di altre dinamiche che propiziano la “cattura del regolatore” e nel caso specifico delle politiche dell’OMS e più in generale della salute globale. Queste dinamiche includono il controllo dei media, le azioni di lobby su governi e istituzioni, il finanziamento e il controllo della ricerca e le cosiddette “porte girevoli” per cui dirigenti di alto livello del settore privato passano ad occupare posizioni leader nelle istituzioni pubbliche.[2]

La partecipazione del settore privato, come attore alla pari con i governi nella governance dello sviluppo è ormai parte integrante dell’agenda globale (sancita con la Dichiarazione e gli obiettivi del millennio nel 2000 e riaffermata nell’Agenda 2030, obiettivo di sviluppo sostenibile n.17). Quei partenariati pubblico-privati globali, altrimenti noti come iniziative multistakeholder, ovvero governate da molteplici portatori di interessi, hanno di fatto pregiudicato l’autorità delle organizzazioni multilaterali, intergovernative, cui di fatto hanno sottratto finanziamenti, senza generare un significativo apporto di fondi privati. L’Italia per esempio è divenuta uno dei principali finanziatori di partenariati quali l’Alleanza GAVI e il Fondo Globale per la lotta all’Aids, la tubercolosi e la malaria, mentre ha abbandonato l’OMS cui non destina più contributi volontari dal 2015.[3]

Sono ormai lontani gli anni gloriosi tra la fine degli anni 1970 e la prima metà degli anni 1980, quelli della Dichiarazione di Alma-Ata (1978) con cui l’OMS affrontava l’obiettivo della “Salute per tutti entro l’anno 2000” con l’approccio intersettoriale e comunitario delle cure primarie per la salute;  del tentativo di regolamentazione della commercializzazione dei succedanei del latte materno, il latte artificiale indicato come “baby-killer” per il suo spaventoso contributo alla mortalità infantile nei paesi più poveri; del programma dei farmaci essenziali, visto con fastidio dalle imprese farmaceutiche, e le altre iniziative che schieravano l’OMS nettamente a difesa del diritto alla salute. Nel dimenticatoio anche le iniziative che nel trentennale di Alma-Ata per un breve periodo riportarono l’accento sui determinanti sociali della salute. Vi poneva l’accento il rapporto della specifica Commissione dell’OMS,[4] nonché il Rapporto sulla salute mondiale 2008 che puntava al rilancio delle cure primarie, condannando la pervasiva commercializzazione e una sanità “ospedalocentrica”, nonché il distanziamento dai bisogni primari delle persone.[5]

Ormai l’OMS appare nuovamente centrata su di un approccio bio-medico, cui BigPharma è sensibile, e poco attenta ai determinanti sociali, economici, ambientali della salute che implicherebbero, ad esempio, politiche di ridimensionamento dei consumi che certamente troverebbe la fiera opposizione delle forze di mercato.

In questo contesto, l’OMS non ha perduto solo rilevanza sul piano delle attività sanitarie globali, un tempo punto di riferimento per le politiche di sanità pubblica, gli standard sanitari, l’informazione tecnica e scientifica, con la sua apertura alle forze di mercato e condizionata da finanziamenti privati, ha perduto credibilità.

Anche nella maggiore iniziativa multistakeholder lanciata per lo sviluppo di strumenti per far fronte alla pandemia Covid19 – Access to Covid Tool Accelerator, ACT-A – l’OMS è tra i partecipanti ma non ha un ruolo guida, piuttosto è lì per giustificare le scelte di altri attori, a guida privata o pubblico-privata, con la solita “filantropia globale” tra i principali influencer.  Non sorprende che anche quell’iniziativa sia stata diretta alla produzione e distribuzione di vaccini, riservando minima attenzione a diagnostica e farmaci, per non parlare della componente per il rafforzamento dei sistemi sanitari.

Constatata la debole e incerta gestione della pandemia, nonché l’assenza di leadership da parte dell’OMS, l’Assemblea Mondiale della Sanità convocata in sessione speciale nel novembre del 2021 ha deciso di intraprendere un processo di revisione degli strumenti di prevenzione, la preparazione e risposta alle pandemie. Un percorso che si regge su due gambe, che si muovono indipendentemente l’una dall’altra e non è affatto chiaro come potranno muoversi in maniera coordinata in futuro se entrambi gli strumenti in discussione dovessero essere adottati. Da un lato un organo intergovernativo (Intergovernmental Negotiating Body, INB) sta negoziando un “Trattato/accordo pandemico” che laddove lo si giunga a varare (obiettivo maggio 2024), alla sua entrata in vigore l’accordo diverrebbe vincolante per tutti gli stati membri che lo abbiano ratificato.

Anche in questo caso, molte organizzazioni della società civile temono una deriva multistakeholder. La preoccupazione deriva dal fatto che “la bozza zero [del futuro Trattato, n.d.r.] non fornisce salvaguardie che sono fondamentali per definire gli standard di responsabilità e gli strumenti di monitoraggio rispetto al ruolo del settore privato”.  Per quelle organizzazioni è rischioso invitare il settore privato al tavolo per aiutare il mondo a prevenire, prepararsi e rispondere alle future pandemie “considerando come la crisi del COVID-19 sia stata usata dagli attori privati per tenere in ostaggio i diritti alla salute delle persone per espandere i profitti, accaparrarsi le proprietà intellettuali e monopolizzare i mercati”.

Amnesty international, il Global Initiative for Economic, Social and Cultural Rights (GI-ESCR), Human Rights Watch (HRW) e l’International Commission of Jurists (ICJ) hanno invece espresso una seria preoccupazione per i diritti umani che non trovano adeguato riscontro nei negoziati in corso intorno al trattato pandemico.

Parallelamente all’accordo pandemico si sta elaborando una nuova edizione dei Regolamenti di sanità internazionale del 2005 (RSI 2005). Uno strumento ugualmente vincolante per gli stati membri le cui modifiche dovrebbero essere approvate – in base all’attuale tabella di marcia – a maggioranza semplice nel maggio 2024 dalla 77ma Assemblea Mondiale della Sanità (AMS). In quel caso, i nuovi RSI entreranno in vigore entro 12 mesi per tutti gli Stati membri dell’OMS, a meno che uno Stato non presenti un rifiuto o riserve entro un periodo di 10 mesi.

In effetti, è piuttosto ambigua la relazione tra i due strumenti, che presenterebbero sovrapposizioni sostanziali in quasi tutte le aree regolamentate. Né si spiega perché l’OMS e i suoi Stati membri stiano impiegando risorse per negoziare parallelamente due strumenti internazionali con portata e contenuti sovrapposti.

Tra i più di 300 emendamenti agli attuali RSI proposti da sedici stati membri dell’OMS, attualmente all’esame di uno specifico gruppo di lavoro (Working Group on International health Regulations, WGIHR), ce ne sono alcuni che possono destare le preoccupazioni di “cessione di sovranità” cui si riferiscono alcune informazioni riportate in diversi organi di stampa e molte reti sociali, tacciate come “fake news” dal direttore generale della OMS. Seppur spesso imprecise e riferite con toni scandalistici, quelle preoccupazioni non sono del tutto infondate.

Infatti, nella revisione degli RSI, tra le definizioni (art. 1) si propone di cancellare il “non vincolanti” che attualmente delimita il peso delle raccomandazioni dell’OMS. A puro titolo di esempio del possibile assoggettamento degli Stati alle “raccomandazioni” dell’OMS si potrebbe citare la proposta di un nuovo articolo (13A “WHO Led International Public Health Response”) per cui gli Stati “s’impegnano a seguire le raccomandazioni dell’OMS nella loro risposta sanitaria”. Così come l’obbligo che gli Stati assumerebbero, di aumentare – su richiesta dell’OMS – la produzione di prodotti sanitari (includendo “farmaci, vaccini, dispositivi medici, diagnostici, prodotti di assistenza, terapie basate su cellule e geni e altre tecnologie sanitarie“) e di “assicurare che i fabbricanti sul loro territorio forniscano le richieste quantità di prodotti all’OMS e ad altri Stati secondo le istruzioni dell’OMS”.

Su di un altro piano destano preoccupazione gli emendamenti che cancellerebbero tra i principi degli RSI (emendamenti all’art. 3) “la dignità, i diritti umani e le fondamentali libertà delle persone” per sostituirli con generici principi di “equità, inclusività, coerenza”, o quelli che puntano ad accrescere il controllo sull’informazione (emendamenti all’art. 44) per il quale l’OMS e gli Stati si impegnerebbero a collaborare per “contrastare la disseminazione di informazione falsa o poco affidabile” nei media e nelle reti sociali, evidentemente arrogandosi il diritto di censura che, come dovrebbe essere evidente, è stato sistematicamente esercitato a tutti i livelli anche con accordi dell’OMS con le maggiori piattaforme e reti sociali – nel corso della pandemia Covid19. Un preoccupante impegno degli Stati al controllo dell’informazione previsto anche all’art. 17 della “bozza zero” dell’accordo pandemico.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha il mandato di coordinare e dirigere l’attività di sanità internazionale, e la sua costituzione l’ha dotata dei poteri necessari per farlo, ma la deriva che l’OMS ha subito con il crescente finanziamento dei privati, e la sua progressiva “cattura” da parte di questi, suggerisce estrema cautela nel dotare il suo segretariato e il suo DG di poteri aggiuntivi. Benché il DG dell’OMS anche nella conferenza stampa del 23 marzo si è detto aperto al dialogo sul tema degli strumenti in discussione, purtroppo le consultazioni con la società civile appaiono per lo più di facciata. È evidente che l’OMS oggi è più sensibile ai poteri forti, siano questi di ordine geopolitico o economico.


[1] Missoni, E., Pacileo, G. “Elementi di salute globale. Globalizzazione, politiche sanitarie e salute umana” (2° ed.), Franco Angeli 2016.
[2] Matteucci, N. e Missoni , E. Strategie di cattura e governance multistakeholder: il caso dell’OMS. In: Elisa Lello e Nicolò Bertuzzi (a cura di) “Dissenso informato. Pandemia: il dibattito mancato e le alternative possibili”, Castelvecchi, 2022, pp. 151-166.
[3] Dentico, N. e Missoni, E. “Geopolitica della salute. Covid-19, OMS e la sfida pandemica. Rubbettino 2021
[4] Closing the gap in a generation: health equity through action on the social determinants of health, WHO 2008.
[5] The world health report 2008 : primary health care now more than ever. WHO 2008.

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Dissenso Informato – Presentazione del libro (7 luglio 2022)

Durante la pandemia – e più di recente anche sul conflitto russo-ucraino – si è assistito a una riduzione del pluralismo informativo e all’espulsione delle voci critiche, fenomeni che hanno pericolosamente spinto il dissenso verso percorsi di radicalizzazione. Il “dibattito mancato” ha impedito una reale discussione su questioni cruciali che riguardano le politiche sanitarie e le loro conseguenze, così come i molteplici intrecci tra medicina, scienza, economia e politica. Tramite analisi rigorose e documentate, questo libro contribuisce ad aprire finalmente un dibattito plurale, per elaborare strumenti utili a orientarsi nel nuovo scenario e per immaginare modalità alternative, inclusive e democratiche, di gestione delle crisi.

Il video della presentazione (versione integrale) si trova qui

La presentazione di Eduardo Missoni qui

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Nuove recensioni di Misa Campesina

La terza edizione di Misa Campesina, rinnovata nel formato, con aggiornamenti storici in terza e quarta di copertina, arricchita di alcune foto e dei commenti dei lettori delle recensioni della stampa alle prime edizioni, riceve ora nuovi apprezzamenti, che continuerò a pubblicare nella apposita sezione di questo sito web.

Un invito a tutti i lettori ad inviarmi le loro impressioni e commenti all’indirizzo indicato all’interno del libro.

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19 di luglio: la Rivoluzione tradita e il tradimento dei compagni di lotta

Dal mio libro “Misa Campesina” giunto quest’anno alla terza ristampa con una veste grafica profondamente rinnovata e la contestualizzazione nella realtà attuale, nell’anniversario del trionfo della Rivoluzione Sandista e come testimone della ricostruzione di cui insieme a migliaia di giovani sono stato protagonista, estraggo e propongo un episodio, che la dice lunga sull’attuale dittatore Daniel Ortega talmente cinico e malvagio da sbattere in galera Dora Maria Tellez e mandare in esilio Sergio Ramirez. Buona lettura!

Dora María Tellez “Comandante Uno” nel giugno 1979 (da Wikipedia)

Una questione di etica

            “Quella sandinista è stata l’unica rivoluzione a consumarsi nell’arco di una sola generazione” sottolinea Dora María, ricordando quei dieci anni che l’attuale Governo sta cancellando sistematicamente dalla storia nicaraguense. Una rivoluzione consumatasi troppo rapidamente anche per colpa dei suoi dirigenti che nell’esercizio del potere, ma soprattutto nel momento in cui hanno dovuto abbandonarlo per passare le consegne, non hanno saputo conservare l’etica rivoluzionaria che li aveva ispirati e guidati al trionfo. Quello spirito di rinuncia, di altruismo per il quale si era disposti a sacrificare la vita se necessario, per la causa degli oppressi.

            Conobbi Dora Maria a Roma quando, allora Ministro della Sanità del Nicaragua, l’avevamo invitata insieme a tutti gli altri Ministri della sanità dell’America latina ad una Conferenza su “Salute ambiente e lotta contro la povertà” promossa dalla Cooperazione Italiana insieme alla Organizzazione Panamericana della Sanità. Ci trovammo a pranzo allo stesso tavolo. Ex comandante guerrigliera – passata alla storia come la comandante “uno” della presa del Palazzo Nazionale, uno degli episodi decisivi dell’insurrezione popolare – aveva trasferito la stessa passione e decisione nella gestione della sanità, un campo dove il Nicaragua fu poi preso a modello dalla comunità internazionale.

            “Quando hai di fronte una pagina bianca e sei tu a dettare le regole…hai un potere straordinario…”. Quel potere, in origine ispirato dall’etica rivoluzionaria e posto al servizio della costruzione di un’utopia, è oggi secondo Dora Maria il solo riferimento di Daniel Ortega, incapace di adattarsi all’idea di non essere più il presidente del Nicaragua.

            “Daniel non è uno che si mescola alla gente comune, non lo troverai mai a prendersi un raspado[1] per strada; non accetta nemmeno di essere un semplice deputato e di dover aspettare il suo turno per parlare…”.

            Dora Maria non è tenera nemmeno con l’altro dei due fratelli Ortega, Humberto. Rimasto a capo delle forze armate nicaraguensi anche durante il primo governo postsandinista di Violeta Chamorro, è ora alla testa di un gruppo economico che ha come principale referente proprio l’esercito.

            “Daniel e Humberto sono le due facce di una stessa medaglia; se Daniel non può fare a meno del potere politico, Humberto rappresenta il potere economico” anche grazie alla fortuna costruita durante la piñata.

            In Nicaragua, la piñata non è più il gioco infantile della pignatta, in cui ad occhi bendati si cerca di rompere con un bastone un pentolone di terracotta pieno di caramelle. Oggi indica il processo di spartizione con cui, una volta perso il potere, nei tre mesi di transizione tra il risultato elettorale ed il passaggio di consegne, molti dirigenti sandinisti si sono appropriati di una parte dei beni divenuti proprietà dello Stato con la Rivoluzione. Un processo completatosi più tardi, quando i sandinisti, ormai all’opposizione, negoziarono con il nuovo governo il trasferimento di parte delle proprietà pubbliche ai sindacati sandinisti. In cambio l’FSLN avrebbe sostenuto il processo di privatizzazione e di aggiustamento economico imposto dagli Organismi finanziari internazionali. Quelle proprietà rimasero però alla fine nelle mani dei singoli dirigenti sindacali.

            Dora Maria non usa mezzi termini, il suo linguaggio è immediato, condito di espressioni forti, popolari; la sua condanna degli ex compagni di lotta è senza appello. E’ un’analisi dura; mi provoca sofferenza. Sapevo che tornando dopo tanti anni avrei trovato un Paese diverso, mi avevano avvisato. Avevo messo in conto la sconfitta elettorale del sandinismo ed il sovvertimento di quel progetto sociale da parte dei governi successivi. Ma l’abbandono dei principi etici su cui la Rivoluzione si era fondata, alimentando quel movimento di solidarietà internazionale senza precedenti cui avevo preso parte, provoca una frustrazione ancora più grande.

            Con migliaia di giovani provenienti da ogni parte del mondo, con storie e credi diversi, avevo condiviso gli ideali di giustizia che la rivoluzione sandinista sembrava poter realizzare, nonostante le pressioni americane, resistendo – Davide contro Golia – alla guerra sporca, non dichiarata, finanziata dalla Casa Bianca. Per quella guerra di aggressione, nel 1986, il Tribunale Internazionale dell’Aja condannò gli Stati Uniti d’America al risarcimento dei danni subiti dal Nicaragua. Il Governo americano non riconobbe quel verdetto, anzi, rispose con un nuovo finanziamento di cento milioni di dollari per le operazioni della contra.

            Non una scelta politica, ma il destino mi aveva portato come volontario in Nicaragua. Ciononostante, pur restando critico rispetto a manifestazioni che per la mia storia non potevo condividere, mi ero speso in prima persona, interpretando i soprusi subiti come un fenomeno circoscritto, piuttosto che come l’espressione di un sistema, ma che erano forse, già allora, i sintomi precoci dell’allontanamento della nuova burocrazia dalla Rivoluzione.

            D’altra parte “la Rivoluzione” non è stata sconfitta militarmente, ma nel segreto dell’urna. Il logorio provocato dall’interminabile aggressione, lo stillicidio di morti, i sacrifici richiesti al popolo, ma anche il progressivo allontanamento della classe dirigente e di molti dei comandantes de la Revolución, da quello stesso popolo, avevano superato al momento delle elezioni del 1990, la forza ideale della Rivoluzione. La rivoluzione sandinista, ha comunque il merito di aver restituito il Nicaragua alla democrazia ed è con le regole della democrazia, che il popolo nicaraguense ha deciso di porre fine al sacrificio di decine di migliaia di giovani che al grido di “patria libre o morir” hanno difeso “la Rivoluzione” dall’attacco mercenario: nell’alternativa è prevalsa la morte.

            Oggi un cortigiano della dinastia dei Somoza è Presidente della Repubblica e, nonostante una consistente crescita economica, sono stati raggiunti livelli di miseria e degrado sconosciuti nell’epoca sandinista. Il potere reale di acquisto è oggi inferiore a quello di un decennio fa; quasi la metà della popolazione vive al di sotto della linea di povertà. Le strade sono piene di bambine e bambini che vivono in condizioni di abbandono, sopravvivono lavando i vetri delle automobili o chiedendo l’elemosina, quando non finiscono spacciatori di droga o nel giro della prostituzione. La popolazione femminile dedita alla prostituzione è aumentata del 400% nei dieci anni del postsandinismo e oggi il 40% delle prostitute sono minori, bambine. Clientelismo, nepotismo e corruzione si sono prepotentemente riproposti come metodo di governo. 

            È però il tradimento degli ideali da parte dei leader della rivoluzione -che Dora María riferisce-  a bruciare di più.

            “La piñata è stata la vera sconfitta della Rivoluzione, la vera perdita della santità” concorda Sergio Ramirez che, in un susseguirsi di fortunate coincidenze, incontro qualche giorno dopo.

            Membro della giunta di ricostruzione fin dal momento del trionfo e poi vicepresidente della Repubblica nel Governo sandinista nato dalle prime elezioni democratiche del 1984, dopo la sconfitta elettorale del 1990, Sergio Ramirez ha preso progressivamente le distanze dalla linea prevalente nell’FSLN e nel 1995 ha fondato insieme a Dora María – che ora lo presiede il Movimento Renovador Sandinista.

            Sergio Ramirez calca ancora la mano sugli aspetti etici, poi condanna la direzione “caudillista” di Daniel Ortega alla testa di un partito ormai senza progetto politico, ancora dotato di una struttura in grado di mobilitare le piazze, ma che non si è posto il problema di cosa fare quando non si è in campagna elettorale. Una struttura “vuota”, non più capace di dialogare con una società civile che si esprime attraverso un sempre più diffuso associazionismo e che, anche in Nicaragua, non si riconosce più nella struttura tradizionale del partito.

            Individuo significative coincidenze con la realtà italiana.


[1] granita

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