Gaza: La vita nel cuore della morte: Una serie sulle esperienze dei professionisti della salute mentale sotto attacco – Storia 5

Un inverno di carta:

Ho un figlio di 11 anni. È il mio primogenito. Mi vuole molto bene e non desidera altro nella vita che essere come me. Scanzonato e amante del divertimento, proprio come me! Imita persino il mio stile umoristico e osserva come faccio ridere sua madre. A poco a poco, lo vedo trasformarsi in un mini-me. Ama far ridere sua madre anche in situazioni sciocche. La sua felicità raggiunge l’apice quando fa ridere sua madre, perché si sente padrone del mondo!

Uno dei momenti più felici per mio figlio è la volta in cui lo sfido a giocare a calcio alla PlayStation nel negozio di videogiochi vicino a casa. Lui inizia a prendermi in giro e mi dice: “Tu giochi meglio di me perché sei più grande, ma verrà un giorno in cui ti batterò come hanno fatto i miei zii materni, perché loro giocano meglio di te…”. Comincio a corrergli dietro fingendo di essere arrabbiato, mentre lui si nasconde in braccio alla madre. Lei mi guarda e dice: “Il tuo gioco è debole rispetto a quello dei miei fratelli hahaha…”.

Il primo venerdì di questa vile offensiva, mi stavo lavando per la preghiera quando mio figlio è entrato di corsa dalla porta e ha detto: “Papà, papà, il cielo sta piovendo carte!!!”. Ho capito subito che l’occupante aveva pianificato un’atrocità come al solito.

Andate a sud della Striscia perché questo è il posto sicuro. Avete 24 ore di tempo. Se non andate, vi considereremo terroristi”.

Che assurdità è questa?

Quale logica state usando?

Sono sceso in strada e ho trovato il mio quartiere in fase di evacuazione. Fortunato chi possiede un’auto! Ha potuto prendere la sua famiglia e andare nel presunto sud sicuro. Io no. Non possiedo un’auto. Anche se avessi un’auto, come faccio a muovermi quando sono responsabile di 19 persone della mia famiglia, di mio padre, di mia sorella e delle famiglie dei miei fratelli che vivono tutte nello stesso edificio?

Questa è la decisione più difficile che prenderò mai. Su di essa si gioca non solo il mio futuro, ma anche quello di tutte le persone sotto la mia tutela. Potremmo non tornare mai più a casa nostra, potremmo morire durante il viaggio, potremmo davvero trovare la salvezza. Non lo sappiamo.

Oh, mio Dio, cosa devo fare?

Guardo i bambini, mio padre e la mia famiglia e mi accorgo che tutti si chiedono: “Cosa facciamo?”.

Mi sento impotente. Per la prima volta nella mia vita perdo il controllo in questo modo. I miei pensieri si sono bloccati come se mi fossi trasformata in un oggetto. Improvvisamente ho detto a tutti di prendere quanta più acqua possibile, di svuotare gli zaini della scuola e di riempirli con vestiti, acqua e cibo, in modo da poter iniziare a dirigerci verso sud.

Mia moglie: “Lasciamo la nostra casa che abbiamo costruito con sangue e sudore, un mattone alla volta?”.

E poi ha iniziato a guardare ogni dettaglio, ogni stanza e ogni parte della casa. Non riuscii a dire nulla, perché mi sentivo esattamente come lei. In quel momento, quel bambino dispettoso, che voleva sempre essere come suo padre, disse: “Mamma, lasciaci partire e se non riusciamo a continuare, possiamo tornare a casa. E se moriamo, andiamo in paradiso. Non ci dici sempre che quando moriamo andiamo in paradiso e ci liberiamo dal terrore?”.

Lo guardammo come se Dio ci avesse parlato attraverso di lui per facilitarci la scelta del male minore.

Devo sentirmi orgoglioso che questo ragazzo sia diventato veramente il figlio di suo padre o devo piangere che sia cresciuto così presto da accettare la morte a 11 anni? Non lo sapevo. Ma ho ringraziato Dio perché era mio figlio, la pupilla dei miei occhi.

Finalmente riuscimmo a uscire dalla casa; davanti a noi la vista piena di vetri e di distruzione, e dietro di noi la vista della nostra casa che forse guardavamo per l’ultima volta. Il piano era di andare all’ospedale e da lì cercare delle macchine che ci portassero al sud, presumibilmente sicuro.

Roo7 – Professionista della salute mentale anonimo a Gaza, Palestina (per paura di essere preso di mira)
27 ottobre 2023
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Gaza: La vita nel cuore della morte: Una serie sulle esperienze dei professionisti della salute mentale sotto attacco – Storia 4

Questa guerra non è come tutte le guerre precedenti, almeno non per me. Le guerre e le aggressioni sono tipiche per noi. Non abbiamo mai conosciuto la pace o la sicurezza. Nei trent’anni della mia vita, sono sempre stata conosciuta per la mia forza e la mia tenacia nei momenti difficili. Sono sempre stata la più saggia e affidabile della famiglia, soprattutto nell’assistenza a mia madre malata. Ma questa volta non è come le altre.

Mi occupo di mia madre e di mio nipote, che era venuto a trovarmi e a passare un po’ di tempo con sua nonna e sua zia (io). Il 13 ottobre ero seduta con mia madre nell’angolo che ritenevamo più sicuro della casa. All’improvviso sentimmo delle urla di persone e venimmo a sapere che avevano imposto l’evacuazione di un edificio vicino perché gli israeliani stavano per bombardarlo. Non potevo che urlare a mia madre e a mio nipote che avrebbero bombardato! Non so come ho fatto a prendere le borse che avevo preparato in precedenza, con alcuni dei miei documenti importanti, le foto del mio defunto padre (che la sua anima possa riposare in pace) e alcuni vestiti. Mi sono assicurata che mia madre e mio nipote mi precedessero e siamo corsi giù per le scale gridando più forte che potevamo per avvertire i nostri vicini: “EVACUAZIONE… EVACUAZIONE…”.

All’ingresso del nostro palazzo, le nostre urla incontrarono quelle della moglie di mio fratello e delle sue due figlie. Guardai ovunque intorno a me e non riuscii a trovare mio fratello. Ho sentito il mio cuore battere a grande velocità e sono salita in macchina con mia madre e le mie nipoti. Le mie nipoti di 6 e 10 anni piangevano istericamente. Poi ho guidato l’auto fuori dal parcheggio mentre gridavo il nome di mio fratello: “TROVAMI MIO FRATELLO!!!”.

Essendo ora tutte queste anime sotto la mia responsabilità, dovevo guidare fino a un posto un po’ lontano dai bombardamenti. Mia madre cercava di prendere il telefono per chiamare mio fratello, ma le sue mani tremavano così tanto per lo shock e il terrore che non riusciva a chiamare. Ricordo bene come mi arrampicai sul marciapiede, completamente sopraffatto dalla paura e dalla preoccupazione per mio fratello, di cui non sapevo nulla. Alla fine fermai la macchina, presi il telefono e chiamai mio fratello, che finalmente rispose. Appena mi rispose, scoppiai in lacrime per il terrore che gli fosse capitato qualcosa di orribile! Mi disse che stava andando a bussare alle case dei vicini per farli evacuare.

Tra la tristezza e le preoccupazioni, sono sorti sentimenti di orgoglio e gratitudine perché ho un fratello che ha scelto di salvare la vita degli altri prima della sua…

Ho riattaccato il telefono, poi ho guardato in fondo e ho visto le mie nipoti piangere. Non dimenticherò mai la vista di mia nipote di 6 anni che riusciva a malapena a respirare mentre mi guardava impaurita e tremante. Quando l’ho guardata, mi ha abbracciato e baciato e si è aggrappata a me per la vita. Non riuscivo a capire se mi stesse sostenendo o se cercasse un senso di sicurezza tra le mie braccia…

Hayat – professionista della salute mentale a Gaza, Palestina (anonimo per paura di essere preso di mira)
26 ottobre 2023
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Gaza: La vita nel cuore della morte: Una serie sulle esperienze dei professionisti della salute mentale sotto attacco – Storia 3

Wishing there was no night:

The worst time of the day in this savage war is when the sun starts setting, as if the night has been weaponized by the colonizer to instil fear and horror.

These are the nights of terror. 

Total darkness.

No electricity.

Incessant trepidation.

Exaggerated sounds of explosions.

Fear for our kids is multiples of our fear for ourselves. 

When we have the chance to follow the news or see the martyrs, especially the children, we are overtaken by an overwhelming sense of fear that shakes us to the core. 

Only excessive fear and cumulative exhaustion can put the kids to sleep. We thank God when they sleep, even if from fear and exhaustion, so they don’t wake to some of the terrifying sounds of shelling. 

Us adults push each other on with prayers, praise, and wishes that we are not the next target. 

Hours of the night are slow and motionless. We pray to God that we see another morning in a new life… although daylight is no less dangerous, but we find solace in the company of people around us who remained alive. The occupiers transformed the night that God made for rest and contentment to an unwanted visitor of daily terror. 

Our wives keep themselves busy by preparing food and caring for the children as much as they can. And us husbands leave the house holding our souls in our hands to make available whatever we can find of basic necessities. I don’t know wether I will return with water for my family or wether my blood will water the earth beneath me. I don’t know if I will come back to find my family alive and well or under the rubble. And if I am destined to return to my beloved wife, I support her as much as possible. Oh how I missed talking to her about the children and my problems at work! Now our conversations are about listening and supporting (considering emergency plans – problem-solving solutions for water shortage – arranging for general daily challenges and so on). We hold on to dear life with all what is left of our strength for the sake of a better tomorrow.

We console each other that we are still alive and that hope is enough to hold us until tomorrow. All for tomorrow. A tomorrow we pray would be better than yesterday’s tomorrow. 

Roo7 – Anonymous Mental Health Professional in Gaza, Palestine (for fear of being targeted)
25 October 2023
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Gaza. La vita nel cuore della morte: Una serie sulle esperienze dei professionisti della salute mentale sotto attacco – Storia 2

Viviamo  nel terrore di morire da un momento all’altro. Per quanto possibile, razioniamo cibo e acqua. Ogni giorno ci sono lunghe file per il cibo e l’acqua potabile. Non sappiamo quando sentiremo la furia degli aerei mentre riempiamo l’acqua potabile.

Paura e preoccupazione 24 ore su 24, giorno e notte. Dormiamo a malapena 3-4 ore interrotte, perché la follia degli attacchi si intensifica di notte.

I nostri figli sono terrorizzati. Mio figlio ha un anno e mezzo e non si alza dalle ginocchia della mamma o dalle mie, non mangia, vuole solo il latte materno.

In mezzo a tutte queste condizioni, c’è una grande speranza che le cose si risolvano in un attimo. Ogni giorno ringraziamo Dio di avere ancora la vita in noi.

24 ottobre 2023

Roo7 – Professionista della salute mentale anonimo (per paura di essere preso di mira)

Testo originale QUI

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Gaza: La vita nel cuore della morte: Una serie sulle esperienze dei professionisti della salute mentale sotto attacco

La dottoressa Dinah Ayna, psicologa clinica e consulente per la salute mentale e membro del Comitato consultivo internazionale dell’UPA (United Palestinian Appeal), sostiene lo sforzo del team Healing through Feeling (Guarire con sentimento) a Gaza dal 2018 e continua a sostenere coloro che può raggiungere durante questa guerra.

La dottoressa Dinah Ayna, psicologa clinica e consulente per la salute mentale e membro del Comitato consultivo internazionale dell’UPA (United Palestinian Appeal), sostiene lo sforzo del team Healing through Feeling (Guarire con sentimento) a Gaza dal 2018 e continua a sostenere coloro che può raggiungere durante questa guerra.

Due settimane dopo la recente aggressione contro Gaza, la dottoressa Ayna ha concordato con diversi professionisti della salute mentale all’interno e all’esterno dell’UPA l’importanza di condividere le loro storie con il mondo. I professionisti hanno scritto le loro esperienze in arabo, e la dottoressa Ayna ha poi modificato, tradotto e rispedito le storie per ottenere l’approvazione finale degli autori originali prima di condividerle. Gli autori hanno anche inviato delle foto che sono state modificate per proteggere la loro identità e pubblicate, con l’approvazione, insieme alle storie. A coloro che non volevano essere identificati sono stati dati dei soprannomi.

Ho deciso di tradurre in italiano quelle storie e il messaggio della dottoressa Dinah e di proporle periodicamente sul mio blog.

Le storie in inglese e l’originale in lingua araba sono raccolte QUI

Mi chiamo Dinah e sono una psicologa clinica con sede a Beirut, in Libano. Lavoro con i professionisti della salute mentale a Gaza dal 2018, concentrandomi sullo sviluppo delle capacità e sulla prevenzione del benessere e del burnout. Nel corso degli anni, ho sviluppato un enorme rispetto e apprezzamento per quelle persone che hanno continuato a prosperare nonostante le condizioni indicibili dell’assedio e della guerra, condividendo quelle stesse realtà traumatiche con le persone che servono. Quando è iniziata la guerra a Gaza, mi hanno raccontato alcune delle loro esperienze e delle lotte umane che stavano affrontando. All’inizio, continuavano a sostenere le famiglie attraverso i gruppi di chat, ma poi, tra i problemi di connettività e la necessità di spostarsi continuamente e di occuparsi delle proprie famiglie, questo processo si è interrotto. I messaggi mettevano in evidenza i loro ruoli sociali e le loro relazioni e mi davano un’idea di cosa significasse vivere in quel contesto. Ne ho parlato prima con alcune persone, che hanno accettato e la serie è nata. Qualche storia dopo, altri che hanno saputo dell’iniziativa hanno chiesto di poter scrivere le loro storie, e la serie continua a crescere. Preghiamo tutti perché questa guerra finisca presto e pubblicheremo le loro storie affinché il mondo ricordi sempre che le persone non sono numeri, ma esseri umani con vite, sogni e scopi.

Dinah Ayna, United Palestinian Appeal

La vita nel cuore della morte: Una serie sulle esperienze dei professionisti della salute mentale sotto attaccoSTORIA 1

Sono io, Yasmine!

Nel diciassettesimo giorno di aggressioni sulla Striscia, continuiamo un lungo viaggio alla ricerca di un luogo sicuro dentro o fuori casa. Vedete, dopo aver ricevuto messaggi che ci invitavano a lasciare le nostre case e a dirigerci verso sud, abbiamo creduto che il sud fosse davvero il luogo sicuro! Ma dopo esserci diretti a sud, abbiamo scoperto da soli che non c’è nessun luogo sicuro a Gaza! Siamo bersagli dell’occupazione fascista ovunque ci troviamo. Abbiamo quindi deciso di tornare a casa, dicendoci l’un l’altro “Siamo morti, in ogni caso. Meglio morire nelle nostre case, perché almeno così la gente saprà che ci siamo sollevati come martiri. Ma fuori dalle nostre case, potremmo morire e nessuno saprebbe che siamo morti”. Per questo motivo siamo tornati a casa. Mio marito, Mohammad, si è preoccupato di tenermi in casa. Vuole proteggermi da qualsiasi pericolo che possa farmi del male. Vedete, Mohammad e io abbiamo un legame forte e speciale. Con il nostro amore reciproco, siamo sopravvissuti a malapena alla perdita della nostra bambina Sofia, appena un mese prima dell’inizio di questi attacchi. Sofia si è trasformata in un angelo, pochi giorni prima del suo primo compleanno, perché gli ospedali di Gaza non avevano le attrezzature adeguate per curare un bambino nato prematuro. Il nostro meglio non è stato sufficiente per tenerla in vita. Ora Mohammad vuole fare tutto il possibile per tenermi al sicuro. Così ha cercato un posto che riteneva il meno pericoloso e ha deciso per il sottoscala. Mi ha costruito una “Casa delle scale” sicura per proteggermi dai razzi dell’occupazione bruta che potrebbero colpire in qualsiasi momento. Tengo accanto a me una borsa con documenti importanti e un po’ di denaro, e ne ho un’altra con gli indumenti essenziali, sapendo bene che se si verificasse un’emergenza e dovessimo partire all’improvviso, non porterei nulla di tutto ciò! Ma il solo fatto di averli accanto a me mi dà un senso di sicurezza. Sapete come si dice “dobbiamo metterci al sicuro”. Non so da cosa ci si possa proteggere in questo caso, con queste borse, se perdessimo le nostre case o le nostre famiglie! E poi ci sarà ancora una sicurezza?!

Corro a rifugiarmi nella mia casa dalle scale sicure ogni volta che sento il rumore di un missile che cade, inorridita dal fatto che questo possa essere il momento in cui le nostre vite finiranno! Anche se so benissimo che se uno di questi missili ci cadesse addosso, non ci sarebbe nessun posto sicuro, e anche questa mia piccola casa sicura scomparirebbe!

23 ottobre 2023

Yasmine Ayoub
HP presso UPA
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Misa Campesina: una bella recensione

“… Scorrendo quelle pagine era come ritrovarmi, profondamente emozionato, immerso nell’atmosfera di quel tempo...”

di Giorgio Bianchi

Era il mese di giugno del 1982 quando, quel giorno, dopo un viaggio di almeno sei ore sotto la pioggia a bordo di una camionetta, per strade sterrate sulle montagne del Nicaragua, raggiunsi il piccolo ospedale di Waslala. Era una costruzione in legno e bambù piuttosto mal ridotta, e lì conobbi Eduardo Missoni, che già da tre anni lavorava come medico volontario nei villaggi del Nicaragua, un Nicaragua appena uscito da una rivoluzione vittoriosa, che aveva lasciato lutti e sofferenze. Rimasi pochi giorni, ma furono giorni intensi, di quelli che ti cambiano la vita. Di lui, dopo la mia partenza, non seppi più nulla.

Dovevano passare quarant’anni perché casualmente mi capitasse tra le mani un libro il cui titolo e l’autore attirarono subito la mia attenzione. “Misa campesina”, di Eduardo Missoni. Scorrendo quelle pagine era come ritrovarmi, profondamente emozionato, immerso nell’atmosfera di quel tempo.

Il libro racconta gli eventi che scandirono il tempo dei tre anni che Eduardo rimase in Nicaragua. Scopre e condivide, giorno dopo giorno, un mondo dove la vita scorre in poveri villaggi di fango, abitati da un’umanità provata dalla guerra e dalla violenza ma non abbandonata dalla speranza di un futuro migliore. Il lavoro nei campi, le feste, la religiosità più semplice, nascite e morti, l’amore, tutto visto con gli occhi di un medico che si prodiga ogni giorno, tra difficoltà inimmaginabili, povertà e condizioni igieniche disastrose a curare, con i pochi mezzi disponibili, i mali di quella comunità.

Da quelle pagine le figure che emergono sono vive, sono reali, sono persone, ognuna con la sua storia. Mi pare quasi di vedere i loro volti: Pade Jorge, Flora, Domingo, Erlinda e tanti altri. I centri di salute sono il punto di riferimento per la popolazione, ma sovente tocca recarsi in villaggi isolati, per sentieri che solo a cavallo si possono raggiungere, sotto la minaccia delle bande controrivoluzionarie che, sostenute dal Nord America, tentano di rovesciare il governo sandinista. Ci sono giorni di sconforto per una vita che non si è potuta salvare, e altri in cui si incomincia a credere ai miracoli. Ma sono le nascite che costellano gli eventi. Nuove vite che vengono al mondo, so- vente tra molte difficoltà, ma che fanno sperare nel futuro.

Non sono più ritornato in Nicaragua. Sapevo come stava cambiando con gli anni la vita, in quel paese, vittima di un neoliberismo trionfante dopo la caduta del sandinismo. Sapevo che non avrei più ritrovato il mio Nicaragua, quel Nicaragua che aveva fatto sognare i molti che l’avevano conosciuto. Nelle ultime pagine del libro, Eduardo racconta del suo ritorno, dopo venti anni, e trova tutto cambiato. Sono pagine permeate da una profonda malinconia per un sogno svanito col mutare degli eventi. Avevo fatto bene a non ritornare e rimanere così col mio sogno.

Il libro, giunto alla sua terza ristampa, assume nuova rilevanza, in un momento storico in cui il Nicaragua vive di nuovo l’oppressione di una dittatura, sotto un regime imposto da chi in quegli anni appassionanti aveva guidato il processo rivoluzionario, tradendone poi i valori e le speranze che quei valori avevano suscitato, tradendo il popolo e i suoi martiri che avevano partecipato alla lotta e le migliaia di giovani e meno giovani che erano giunti da tutto il mondo per dare una mano alla costruzione dell’utopia.

Sono grato a Eduardo per avere scritto questo libro. È un libro che cattura, da leggere tutto d’un fiato, che commuove profondamente, in cui ogni pagina rivela un mondo di persone semplici che lottano per una vita di stenti, una vita condivisa da Eduardo giorno dopo giorno, con amore.

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Sviluppo (in)sostenibile e sistemi sanitari: la lezione della pandemia

di Eduardo Missoni

Riassunto

L’Agenda globale per lo sviluppo sostenibile, nota come “Agenda 2030” ha fissato – con significative contraddizio- ni e controverse interpretazioni – gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) da raggiungere entro il 2030. La recen- te pandemia di Covid-19 ha messo in luce l’interrelazione tra determinanti globali della salute e il sistema socio- economico che li accomuna. Utilizzando un approccio di sistema si analizza l’interazione dei poteri e dei processi globali che interagiscono con le funzioni principali dei sistemi sanitari focaliz- zando l’attenzione sulla pandemia e la gestione della risposta. L’analisi mette in risalto come all’origine della crisi vi sia l’egemonico modello neoliberale e di mercato, “causa delle cause” che – in assenza di un cambiamento paradigma- tico – rende insostenibile l’obiettivo di “vita sana e benessere per tutti” e in generale di un’agenda globale per il bene comune dell’umanità e del pianeta.

Scarica qui il pdf del n.58 della Rivista Il Cesalpino con l’articolo completo.

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Misa Campesina, le presentazioni

5 maggio, Clauiano (UD)

18 maggio, Milano

28 maggio, Firenze

6 giugno, Roma

8 giugno, Arezzo,

23 giugno, Milano

Perché dovrebbero leggerlo tutti i giovani e i diversamente giovani!

CLAUIANO (UD), 5 maggio – Presso Azienda Vinicola Foffani.

5 maggio – Presentazione a Clauiano (UD), presso Azienda Vinicola Foffani.

MILANO, 18 maggio – Presso “The Mill” (di Roberto Cociancich) clicca qui per vedere la videoregistrazione della serata

18 maggio – Presentazione a Milano, Presso “The Mill” (di Roberto Cociancich) clicca qui per vedere la videoregistrazione della serata

Ascolta qui la presentazione del 18 maggio a Milano su Radio Scout.

FIRENZE, 28 maggio – Presentazione a Firenze. Presso Sugar Blues – clicca qui per vedere la videoregistrazione della serata

28 maggio – Presentazione a Firenze. Presso Sugar Blues – clicca qui per vedere la videoregistrazione della serata

ROMA, 6 giugno. Qui puoi vedere la registrazione della serata (Su FB).

Roma, 6 giugno. Qui puoi vedere la registrazione della serata (Su FB).

AREZZO, 8 giugno. Presso Libreria Feltrinelli. Con il giornalista Gianni Beretta.

AREZZO, 8 giugno
8 giugno ad Arezzo, presso Libreria Feltrinelli. Con il giornalista Gianni Beretta.

MILANO, 23 giugno alle 19:00 presso il centro interculturale di quartiere, cascina casottello, via Fabio Massimo 19 milano

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L’OMS e i negoziati per la gestione delle pandemie prossime venture

di Eduardo Missoni

Pubblicato su https://www.assis.it il 29/03/2023

Con la pandemia Covid19 si è tornati a parlare molto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e del suo ruolo di coordinamento e direzione dell’attività di sanità internazionale che la sua Costituzione, un accordo internazionale – e come tale vincolante – tra 194 Stati membri, le attribuisce. Questa accresciuta visibilità dell’OMS ne ha però messo in evidenza anche le debolezze ed in particolare la sua esposizione all’influenza del settore privato e in particolar modo della Fondazione Bill e Melinda Gates che si aggiunge a quella dei suoi principali contribuenti pubblici.

Da sempre, come tutte le Istituzioni Internazionali, l’OMS si è dovuta confrontare con le tensioni proprie della geopolitica. Ad esempio, nel contesto della guerra fredda il blocco socialista guidato dall’Unione Sovietica abbandonò l’organizzazione dal 1949 al 1956, manifestando così il proprio dissenso rispetto alla sua gestione considerata filo-occidentale. Analogamente, ritenendo che l’Organizzazione fosse eccessivamente compiacente verso la Repubblica popolare cinese, il 7 di luglio del 2020 gli Stati Uniti dell’amministrazione Trump sono usciti dall’OMS, salvo rientrarvi dopo l’elezione di Biden alla Presidenza.

Con l’affermarsi del pensiero neoliberale “più Mercato meno Stato” e delle amministrazioni conservatrici del presidente Reagan negli USA e della Signora Thatcher nel Regno Unito, l’OMS – come del resto tutto il sistema delle Nazioni Unite – soffrì il “congelamento” del proprio bilancio regolare, costituito dai contributi obbligatori che tutti i paesi membri devono versare all’organizzazione in ragione della valutazione della loro capacità economica. Da allora il contributo obbligatorio degli Stati è rimasto stabile e il finanziamento dell’OMS è divenuto sempre più dipendente da contributi volontari, o fondi fuori bilancio, versati all’Organizzazione a discrezione dei paesi membri, nonché da donatori privati. Nel 2007 il bilancio generale (regolare + fondi fuori bilancio) era ormai costituito da circa il 20% da contributi obbligatori e 80% da contributi volontari, una proporzione che si è poi mantenuta fino ad oggi.[1]

Si potrebbe osservare che, con poche eccezioni (es. nel biennio 2012-2013)  i fondi a disposizione dell’OMS sono comunque sempre aumentati nel corso degli anni.  Purtroppo per l’OMS contributi obbligatori e volontari non hanno la stessa valenza. I primi infatti sono gestiti in autonomia dall’Organizzazione sulla base delle decisioni prese dal suo organo rappresentativo (tutti i 194 Stati membri) e massimo livello decisionale: l’Assemblea Mondiale della Sanità (AMS). L’utilizzazione dei contributi volontari invece è soggetta in maniera più o meno stringente (indicazioni “specifiche” o “tematiche”) alle priorità e le indicazioni dei donatori, salvo che questi decidano di non assoggettarvi i loro contributi o parte di essi (in questo caso nel gergo delle Nazioni Unite si parla di fondi “core”, che sono assimilabili in quanto all’autonomia di gestione ai contributi obbligatori). Per quanto riguarda i donatori privati i contributi non possono che essere volontari e in genere tutti utilizzati secondo la volontà del donatore. È evidente dunque che attraverso il finanziamento i donatori – pubblici e privati – sono in grado di influenzare fortemente l’attività dell’OMS. Inoltre, i contributi volontari sono imprevedibili e fortemente soggetti fluttuazioni, il ché ne impedisce una programmazione a lungo termine oltre ad obbligare l’Organizzazione ad esercizi aggiuntivi di rendicontazione tecnica e finanziaria e quindi ad uso poco efficiente delle risorse,  per rispondere alle esigenze dei donatori.

Contrariamente a quanto si sente dire in circoli agguerriti, ma a volte superficiali nelle loro affermazioni, l’OMS non è “un’organizzazione privata”, né finanziata prevalentemente da donatori privati. L’OMS è un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite e come tale a stabilire le strategie, approvare il bilancio, eleggere gli organi esecutivi e il Direttore generale sono i suoi Stati membri. Se esaminiamo i dati finanziari dell’ultimo biennio per cui sono disponibili (2020-2021), vediamo che sommando contributi obbligatori e contributi volontari gli Stati membri contribuiscono al 57,4% del bilancio generale. Le fondazioni private (le cosiddette “filantropie globali”) contribuiscono al bilancio generale per l’8,62%, i partenariati pubblico-privati per il 6% e il settore privato commerciale per appena l’1%. La parte restante del bilancio è costituita da contributi del sistema delle Nazioni Unite, altre organizzazioni intergovernative e fondi di sviluppo (pertanto si tratta anche in questo di fondi pubblici), oltre che da una miscellanea di altri piccoli finanziatori.

È comunque preoccupante che il “governo” mondiale della sanità sia fortemente soggetto a interessi privati, ma è chiaro che la responsabilità ce l’hanno gli Stati membri che fomentando ormai da diversi decenni la partecipazione del settore privato alla cosiddetta governance globale, ovvero ai processi formali e informali di decisione, ne hanno consentito una crescente influenza. Nel biennio in esame, la Fondazione Gates è il terzo finanziatore dell’OMS, dopo la Germania – che ha aumentato significativamente i propri contributi per far fronte alla pandemia di Covid19 – e gli Stati Uniti, e da almeno un decennio sempre tra i primi tre (e addirittura il primo nel 2013). La Fondazione Gates ha inoltre un ruolo determinante in pressocché tutti i partenariati pubblico-privati ed in particolare nell’Alleanza GAVI per la vaccinazioni, di cui è stato l’iniziatore e che è a sua volta al quarto posto tra i finanziatori dell’OMS.

L’influenza degli attori privati sull’attività dell’OMS non si esercita però esclusivamente attraverso la leva finanziaria, ma anche attraverso una serie di altre dinamiche che propiziano la “cattura del regolatore” e nel caso specifico delle politiche dell’OMS e più in generale della salute globale. Queste dinamiche includono il controllo dei media, le azioni di lobby su governi e istituzioni, il finanziamento e il controllo della ricerca e le cosiddette “porte girevoli” per cui dirigenti di alto livello del settore privato passano ad occupare posizioni leader nelle istituzioni pubbliche.[2]

La partecipazione del settore privato, come attore alla pari con i governi nella governance dello sviluppo è ormai parte integrante dell’agenda globale (sancita con la Dichiarazione e gli obiettivi del millennio nel 2000 e riaffermata nell’Agenda 2030, obiettivo di sviluppo sostenibile n.17). Quei partenariati pubblico-privati globali, altrimenti noti come iniziative multistakeholder, ovvero governate da molteplici portatori di interessi, hanno di fatto pregiudicato l’autorità delle organizzazioni multilaterali, intergovernative, cui di fatto hanno sottratto finanziamenti, senza generare un significativo apporto di fondi privati. L’Italia per esempio è divenuta uno dei principali finanziatori di partenariati quali l’Alleanza GAVI e il Fondo Globale per la lotta all’Aids, la tubercolosi e la malaria, mentre ha abbandonato l’OMS cui non destina più contributi volontari dal 2015.[3]

Sono ormai lontani gli anni gloriosi tra la fine degli anni 1970 e la prima metà degli anni 1980, quelli della Dichiarazione di Alma-Ata (1978) con cui l’OMS affrontava l’obiettivo della “Salute per tutti entro l’anno 2000” con l’approccio intersettoriale e comunitario delle cure primarie per la salute;  del tentativo di regolamentazione della commercializzazione dei succedanei del latte materno, il latte artificiale indicato come “baby-killer” per il suo spaventoso contributo alla mortalità infantile nei paesi più poveri; del programma dei farmaci essenziali, visto con fastidio dalle imprese farmaceutiche, e le altre iniziative che schieravano l’OMS nettamente a difesa del diritto alla salute. Nel dimenticatoio anche le iniziative che nel trentennale di Alma-Ata per un breve periodo riportarono l’accento sui determinanti sociali della salute. Vi poneva l’accento il rapporto della specifica Commissione dell’OMS,[4] nonché il Rapporto sulla salute mondiale 2008 che puntava al rilancio delle cure primarie, condannando la pervasiva commercializzazione e una sanità “ospedalocentrica”, nonché il distanziamento dai bisogni primari delle persone.[5]

Ormai l’OMS appare nuovamente centrata su di un approccio bio-medico, cui BigPharma è sensibile, e poco attenta ai determinanti sociali, economici, ambientali della salute che implicherebbero, ad esempio, politiche di ridimensionamento dei consumi che certamente troverebbe la fiera opposizione delle forze di mercato.

In questo contesto, l’OMS non ha perduto solo rilevanza sul piano delle attività sanitarie globali, un tempo punto di riferimento per le politiche di sanità pubblica, gli standard sanitari, l’informazione tecnica e scientifica, con la sua apertura alle forze di mercato e condizionata da finanziamenti privati, ha perduto credibilità.

Anche nella maggiore iniziativa multistakeholder lanciata per lo sviluppo di strumenti per far fronte alla pandemia Covid19 – Access to Covid Tool Accelerator, ACT-A – l’OMS è tra i partecipanti ma non ha un ruolo guida, piuttosto è lì per giustificare le scelte di altri attori, a guida privata o pubblico-privata, con la solita “filantropia globale” tra i principali influencer.  Non sorprende che anche quell’iniziativa sia stata diretta alla produzione e distribuzione di vaccini, riservando minima attenzione a diagnostica e farmaci, per non parlare della componente per il rafforzamento dei sistemi sanitari.

Constatata la debole e incerta gestione della pandemia, nonché l’assenza di leadership da parte dell’OMS, l’Assemblea Mondiale della Sanità convocata in sessione speciale nel novembre del 2021 ha deciso di intraprendere un processo di revisione degli strumenti di prevenzione, la preparazione e risposta alle pandemie. Un percorso che si regge su due gambe, che si muovono indipendentemente l’una dall’altra e non è affatto chiaro come potranno muoversi in maniera coordinata in futuro se entrambi gli strumenti in discussione dovessero essere adottati. Da un lato un organo intergovernativo (Intergovernmental Negotiating Body, INB) sta negoziando un “Trattato/accordo pandemico” che laddove lo si giunga a varare (obiettivo maggio 2024), alla sua entrata in vigore l’accordo diverrebbe vincolante per tutti gli stati membri che lo abbiano ratificato.

Anche in questo caso, molte organizzazioni della società civile temono una deriva multistakeholder. La preoccupazione deriva dal fatto che “la bozza zero [del futuro Trattato, n.d.r.] non fornisce salvaguardie che sono fondamentali per definire gli standard di responsabilità e gli strumenti di monitoraggio rispetto al ruolo del settore privato”.  Per quelle organizzazioni è rischioso invitare il settore privato al tavolo per aiutare il mondo a prevenire, prepararsi e rispondere alle future pandemie “considerando come la crisi del COVID-19 sia stata usata dagli attori privati per tenere in ostaggio i diritti alla salute delle persone per espandere i profitti, accaparrarsi le proprietà intellettuali e monopolizzare i mercati”.

Amnesty international, il Global Initiative for Economic, Social and Cultural Rights (GI-ESCR), Human Rights Watch (HRW) e l’International Commission of Jurists (ICJ) hanno invece espresso una seria preoccupazione per i diritti umani che non trovano adeguato riscontro nei negoziati in corso intorno al trattato pandemico.

Parallelamente all’accordo pandemico si sta elaborando una nuova edizione dei Regolamenti di sanità internazionale del 2005 (RSI 2005). Uno strumento ugualmente vincolante per gli stati membri le cui modifiche dovrebbero essere approvate – in base all’attuale tabella di marcia – a maggioranza semplice nel maggio 2024 dalla 77ma Assemblea Mondiale della Sanità (AMS). In quel caso, i nuovi RSI entreranno in vigore entro 12 mesi per tutti gli Stati membri dell’OMS, a meno che uno Stato non presenti un rifiuto o riserve entro un periodo di 10 mesi.

In effetti, è piuttosto ambigua la relazione tra i due strumenti, che presenterebbero sovrapposizioni sostanziali in quasi tutte le aree regolamentate. Né si spiega perché l’OMS e i suoi Stati membri stiano impiegando risorse per negoziare parallelamente due strumenti internazionali con portata e contenuti sovrapposti.

Tra i più di 300 emendamenti agli attuali RSI proposti da sedici stati membri dell’OMS, attualmente all’esame di uno specifico gruppo di lavoro (Working Group on International health Regulations, WGIHR), ce ne sono alcuni che possono destare le preoccupazioni di “cessione di sovranità” cui si riferiscono alcune informazioni riportate in diversi organi di stampa e molte reti sociali, tacciate come “fake news” dal direttore generale della OMS. Seppur spesso imprecise e riferite con toni scandalistici, quelle preoccupazioni non sono del tutto infondate.

Infatti, nella revisione degli RSI, tra le definizioni (art. 1) si propone di cancellare il “non vincolanti” che attualmente delimita il peso delle raccomandazioni dell’OMS. A puro titolo di esempio del possibile assoggettamento degli Stati alle “raccomandazioni” dell’OMS si potrebbe citare la proposta di un nuovo articolo (13A “WHO Led International Public Health Response”) per cui gli Stati “s’impegnano a seguire le raccomandazioni dell’OMS nella loro risposta sanitaria”. Così come l’obbligo che gli Stati assumerebbero, di aumentare – su richiesta dell’OMS – la produzione di prodotti sanitari (includendo “farmaci, vaccini, dispositivi medici, diagnostici, prodotti di assistenza, terapie basate su cellule e geni e altre tecnologie sanitarie“) e di “assicurare che i fabbricanti sul loro territorio forniscano le richieste quantità di prodotti all’OMS e ad altri Stati secondo le istruzioni dell’OMS”.

Su di un altro piano destano preoccupazione gli emendamenti che cancellerebbero tra i principi degli RSI (emendamenti all’art. 3) “la dignità, i diritti umani e le fondamentali libertà delle persone” per sostituirli con generici principi di “equità, inclusività, coerenza”, o quelli che puntano ad accrescere il controllo sull’informazione (emendamenti all’art. 44) per il quale l’OMS e gli Stati si impegnerebbero a collaborare per “contrastare la disseminazione di informazione falsa o poco affidabile” nei media e nelle reti sociali, evidentemente arrogandosi il diritto di censura che, come dovrebbe essere evidente, è stato sistematicamente esercitato a tutti i livelli anche con accordi dell’OMS con le maggiori piattaforme e reti sociali – nel corso della pandemia Covid19. Un preoccupante impegno degli Stati al controllo dell’informazione previsto anche all’art. 17 della “bozza zero” dell’accordo pandemico.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha il mandato di coordinare e dirigere l’attività di sanità internazionale, e la sua costituzione l’ha dotata dei poteri necessari per farlo, ma la deriva che l’OMS ha subito con il crescente finanziamento dei privati, e la sua progressiva “cattura” da parte di questi, suggerisce estrema cautela nel dotare il suo segretariato e il suo DG di poteri aggiuntivi. Benché il DG dell’OMS anche nella conferenza stampa del 23 marzo si è detto aperto al dialogo sul tema degli strumenti in discussione, purtroppo le consultazioni con la società civile appaiono per lo più di facciata. È evidente che l’OMS oggi è più sensibile ai poteri forti, siano questi di ordine geopolitico o economico.


[1] Missoni, E., Pacileo, G. “Elementi di salute globale. Globalizzazione, politiche sanitarie e salute umana” (2° ed.), Franco Angeli 2016.
[2] Matteucci, N. e Missoni , E. Strategie di cattura e governance multistakeholder: il caso dell’OMS. In: Elisa Lello e Nicolò Bertuzzi (a cura di) “Dissenso informato. Pandemia: il dibattito mancato e le alternative possibili”, Castelvecchi, 2022, pp. 151-166.
[3] Dentico, N. e Missoni, E. “Geopolitica della salute. Covid-19, OMS e la sfida pandemica. Rubbettino 2021
[4] Closing the gap in a generation: health equity through action on the social determinants of health, WHO 2008.
[5] The world health report 2008 : primary health care now more than ever. WHO 2008.

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Dissenso Informato – Presentazione del libro (7 luglio 2022)

Durante la pandemia – e più di recente anche sul conflitto russo-ucraino – si è assistito a una riduzione del pluralismo informativo e all’espulsione delle voci critiche, fenomeni che hanno pericolosamente spinto il dissenso verso percorsi di radicalizzazione. Il “dibattito mancato” ha impedito una reale discussione su questioni cruciali che riguardano le politiche sanitarie e le loro conseguenze, così come i molteplici intrecci tra medicina, scienza, economia e politica. Tramite analisi rigorose e documentate, questo libro contribuisce ad aprire finalmente un dibattito plurale, per elaborare strumenti utili a orientarsi nel nuovo scenario e per immaginare modalità alternative, inclusive e democratiche, di gestione delle crisi.

Il video della presentazione (versione integrale) si trova qui

La presentazione di Eduardo Missoni qui

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