Global Health Determinants and Limits to the Sustainability of Sustainable Development Goal 3

Transitioning to Good Health and Well-Being

The Agenda 2030, signed by the Heads of State and Government in 2015, set out 17 Sustainable Development Goals (SDGs) and, for each of them, a number of targets to be reached within the next 15 years, with a total of 169 targets. SDG 3, “ensuring a healthy life and promoting well-being for all at all ages”, provides, among others, Goal 3.8 “achieving universal health coverage, including protection of financial risks, access to quality essential health care services and access to safe, effective, quality and affordable essential medicines and vaccines for all“.

Agenda 2030, unlike the global agenda for the previous fifteen years, which focused on the so-called Millennium Development Goals (MDGs), mainly concerning the poorest countries, involves and commits all governments to the adoption of “indivisible” and universal goals that will help to end poverty by 2030 “once and for all”, and also brings the issue of development back to a global dimension. The new agenda is not without contradictions. Among other things, it proposes, among its economic objectives, “sustainable, inclusive and sustained growth”, an oxymoron that was pointed out at the beginning of the 1970s, when the Club of Rome showed the “limits of growth” in a finite ecosystem. Thus, the challenge of sustainability is global and involves all national health systems. Using Universal Health Coverage, SDG 3’s target, which seems to attract most of the attention, as the main focus, the paper argues that SDG 3’s feasibility and sustainability is highly dependent on transnational determinants which, if left unregulated by appropriate global governance processes, may jeopardize its attainment. Global determinants (international macroeconomic policies, migration, climate change, market forces, technological innovation, etc.) affecting health system functions (stewardship, resources generation, financing and the provision of services) are identified, and their impact analyzed. The analysis provides suggestions for the identification of an urgent paradigmatic shift to ensure the effective sustainability of SDG 3 in general, and of universal health coverage (UHC) in particular (Read the full chapter)

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Geopolitica della salute

Geopolitica della salute

Nel 2020, l’amministrazione Trump ha deciso di abbandonare l’OMS proprio mentre l’agenzia si trovava a fronteggiare la più importante crisi sanitaria della sua storia, ancora in corso. L’accusa frontale all’OMS di aver coperto l’opaca gestione dell’epidemia da parte della Cina, origine del virus, rivela quanto sia facile per l’agenzia diventare il capro espiatorio di un conflitto geo-politico tra paesi, in questo caso due potenze mondiali. Non è la prima volta che l’OMS si trova sotto tiro. In altre occasioni epidemiche si è mossa con incertezza, talora sbagliando. Ma la qualità del suo operato dipende molto da quella dell’intervento dei governi, ovvero dei soggetti titolari dell’organizzazione. Per valutarne le decisioni serve ripercorrere la sua storia, capirne il mandato, i meccanismi di finanziamento, le tensioni che attraversano la sua gestione. Questo libro vuole fare chiarezza, con un’analisi schietta, sul funzionamento dell’OMS, sulle influenze esterne cui è esposta, sulle responsabilità dei diversi “portatori d’interesse”. Il libro fa riferimento al contesto del Covid-19 e al ruolo dell’Organizzazione nelle emergenze sanitarie, ma l’intento è richiamare l’attenzione sulla sfida più grande: la tutela del diritto alla salute e l’azione della politica per promuoverne la realizzazione. Un obiettivo che richiede una OMS autorevole e credibile, all’altezza di un mondo che aspira sul serio a dotarsi degli strumenti per difendersi dalle nuove crisi sanitarie che già si prospettano all’orizzonte.

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Intervista

Dott. Eduardo Missoni, Lei è autore con Nicoletta Dentico del libro Geopolitica della salute. Covid-19, OMS e la sfida pandemica edito da Rubbettino: quali tensioni attraversano la gestione dell’Organizzazione mondiale della sanità? (continua a leggere)

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Holy Christmas 2020

Two handcrafted nativity scenes. One is made of cut out and coloured tin, from Mexico, the other is carved in wood, from Rwanda. Both crafted by children’s hands, with the flowers I picked today to adorn them. They remind us of the true spirit and message of the Holy Christmas of Christianity: simplicity, essentiality, solidarity expressing love for humanity – not generic, but concrete, daily, expressed in each person – respect for Mother Earth. The fundamental ingredients of our salvation. And they are universal, they do not belong only to the Christian Christmas, they are the values of rebirth in any culture.

I wish you all a peaceful Holy Christmas!

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Health workers and sustainable systems for health in a post-growth society

Abstract

The Agenda 2030 signed by the Heads of State and Government in 2015 set out 17 indivisible and universal Sustainable Development Goals (SDGs) and 169 targets. Among others the Agenda 2030 proposes to achieve “sustainable, inclusive and sustained growth” (SDG 8), in fact an oxymoron due to the “limits of growth” in a finite ecosystem.

The SDG 3, “Ensuring a healthy life and promoting well-being for all at all ages”, included among others the target “3.8: achieving universal health coverage”.

Besides representing a substantial regression from the original WHO’s Primary Health Care (PHC) strategy, which addressed among others the social and economic determinants of health, the UHC target and the SDG3 are deemed to be unattainable due to the constant increase in demand on the one side and inappropriate offer of health services on the other, both largely determined by factors outside the health sector and linked to the present hegemonic unsustainable growth-defined development model.

Focusing on the health care model and the generation of its human resources, we highlight how both remained mostly anchored to standardized and, today, globalized biomedical hospital-centric models, which are inadequate to meet populations’ health needs and expectations.

We then suggest the need for a paradigmatic shift in the health and social care organization (toward a human rights and  social determinants approach, home- community-based care, integrated-holistic approaches, patients’ empowerment, etc.) and the health workers’ educational model (linking it to the specific characteristics of local contexts in terms of needs and resources, and to a new ethical framework). Both are  pillars of the transformation of health systems toward a post-growth society.

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Competenze interculturali nell’educazione non formale e nello scoutismo

Un estratto del seminario “Le competenze interculturali a scuola e nell’educazione non formale: diversità dentro e fuori di noi”

Il seminario si è esvolto il 20 novembre 2020 nell’ambito dell’iniziativa “Sfide – La scuola di tutti 2020” organizzata dalla Casa editrice Terre di Mezzo.

Nel webinar Manila Franzini ha presentato il suo modello dinamico sulle competenze interculturali, che ho commentato alla luce dell’educazione non formale ed in particolare del metodo Scout.

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Storia di una crisi annunciata

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Vaccini antiinfuenzali, Covid-19, test rapidi ed ecosistema

Un intervista con Roberta Sias ieri 30 settembre, su Cusano Italia TV in una puntata della Mela al Giorno, dedicata alla salute e in particolare oggi a un focus sui test e tamponi rapidi, vaccino antinfluenzale e gli ultimi aggiornamenti sulla pandemia da Covid 19 con il Prof. Eduardo Missoni, Docente di Salute Globale presso la nostra Università Niccolò Cusano.

CUSANO ITALIA TV (Ch. 264 del digitale terrestre)

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Salute Pubblica e Salute Globale al tempo del Covid-19

Intervista di Michlangelo Carozzi per la Fondazione Ivo de Carneri (del cui Comitato Scientifico sono membro). Visita anche il sito della Fondazione: www.fondazionedecarneri.it

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Lettera aperta a difesa della OMS e del multilateralismo

Questa lettera aperta nasce dallo scambio di professionisti di diversa estrazione che negli anni hanno assiduamente interagito per lavoro con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, rappresentando punti di vista diversi e divergenti.

Con queste riflessioni, vogliamo bilanciare la campagna denigratoria in corso contro l’agenzia, proponendo una prospettiva basata su fatti e sulla nostra esperienza comune.

La pandemia Covid-19 ha portato alla ribalta – nel peggiore dei modi possibili, purtroppo – due verità nascoste ai più. Innanzitutto, ci ha ricordato fino a che punto la salute sia un tema di estrema rilevanza nella gestione democratica di un paese, dato il legame intrinseco che sottende fra lo Stato e i suoi i cittadini, la risorsa più importante di qualunque società.

Inoltre, ha disvelato le complessità che si muovono intorno al tema della salute. Le recenti schermaglie Stati Uniti e Cina sulla gestione del virus dimostrano ancora una volta quanto la salute sia diventata nel corso degli anni, in un mondo globalizzato e interdipendente, un tema sempre più sensibile e collegato alla geopolitica. La salute non vive in isolamento. Sempre  più frequenti sono gli intrecci tra politica sanitaria e politica estera, a maggior ragione se consideriamo l’impatto che altre questioni di interesse sovranazionale come la sicurezza, il commercio, l’economia, la disuguaglianza, il cambiamento climatico, hanno sullo stato della salute.

L’unica istituzione internazionale posta a baluardo della promozione della salute dell’umanità è l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), riferimento per tutti i paesi – soprattutto quelli più vulnerabili e meno equipaggiati di personale e sistemi sanitari. In quanto agenzia facente parte del sistema delle Nazioni Unite, l’Oms detiene il mandato costituzionale e la capacità tecnica di elaborare politiche e gestire la risposta di salute pubblica a supporto di tutti i paesi, anche (e soprattutto) nello scenario di crisi pandemica come quello di Covid19.

Mettere a rischio l’Oms oggi, tagliando i fondi o continuando a fomentare lo scetticismo frontale verso questa organizzazione, è una strategia che crea una reale minaccia globale alla salute dei popoli. Una strategia avventata, dunque.

Sia chiaro: l’Oms è un’organizzazione largamente imperfetta e nella gestione di Covid19 diverse cose potevano essere fatte meglio, sicuramente. Per esempio, avrebbe potuto essere più celere e decisa nel determinare la natura dell’epidemia, le responsabilità degli stati, la gravità del problema. Al di là del fatto che è ancora troppo presto per giudicarne l’operato nel corso di questa pandemia, l’agenzia ha dovuto confrontarsi con una pandemia oggettivamente senza precedenti. 

Inoltre, le critiche rivolte all’Oms possono essere rivolte oggi, specularmente, ai singoli governi che ne hanno ignorato gli appelli alla emergenza sanitaria e alla collaborazione. Infine, come rilevato da numerosi osservatori dopo le dichiarazioni del presidente americano Donald Trump il 7 aprile scorso, è piuttosto irresponsabile prendere misure così forti contro l’Oms proprio nel bel mezzo di una pandemia che sconvolge il pianeta e potrebbe protrarsi ben oltre un anno.

Ogni epidemia è un evento imprevedibile e complesso per la comunità scientifica e per chi è chiamato a prendere decisioni. Quasi sempre si è messi sotto accusa. Fiumi di parole sono stati spesi nel 2009 contro l’allora direttrice generale dell’Oms Margaret Chan, aspramente criticata per avere sovrastimato l’impatto dell’influenza suina. L’Oms è stata parimenti criticata per non essere intervenuta con il piglio necessario contro Ebola, in Africa, tra il 2014 e il 2015. Sappiamo però che affrontare una pandemia vuol dire affrontare l’ignoto. Le difficoltà nel venire a capo della pandemia prodotta da SARS-CoV-2 sono l’ennesima conferma. 

Dovrebbe esserci cooperazione e solidarietà in tempo di pandemie. Questo dovrebbe essere un momento in cui l’umanità dà una risposta collettiva e coordinata, all’altezza della sfida. I virus non hanno passaporti. Viceversa, nessun paese al mondo oggi è in grado di liberarsi di SarsCov2 in modo autonomo, senza l’essenziale raccordo con l’Oms.

Vogliamo chiarirlo a piene lettere: la nostra non è un’apologia dell’Oms. L’Oms e le Nazioni Unite, pur con i difetti e le carenze strutturali che abbiamo visto e vissuto in prima persona, restano le sole istituzioni di riferimento etico e politico per una governance inclusiva. Sono i principali luoghi deputati per un coordinamento globale dei governi. Le crescenti tendenze nazionaliste e una diffusa cultura avversa alla funzione pubblica stanno indebolendo questi spazi, ma è proprio lì che si possono e si devono discutere le sfide globali dell’umanità, con trasparenza e coinvolgimento delle parti interessate.  Occorre rafforzare queste istituzioni. 

Vorremmo suggerire un’ideale percorso per l’avvio di alcune riflessioni post-pandemiche.

Innanzitutto, occorre migliorare le modalità di attuazione di un dialogo multisettoriale, sia interno ai governi, con il coinvolgimento di altri dicasteri in dibattiti sanitari futuri, sia invitando al tavolo la società civile, il settore privato e i cittadini attraverso le rappresentanze parlamentari e democratiche. Questo è un modo efficace per costruire la fiducia e l’impegno necessario a determinare decisioni politiche condivise, da parte dei governi nazionali.

L’Oms deve creare un rapporto di costante confronto e collaborazione tra le parti, basato su regole chiare e nel rispetto degli interessi in campo, con una governance più efficace, anche sfruttando i suoi uffici regionali. I governi devono adempiere i loro obblighi legali con convinzione. Nello specifico, devono rispettare le norme vincolanti che si sono assunti con il Regolamento Sanitario Internazionale (RSI) del 2005 per contrastare le emergenze sanitarie, con spirito di trasparenza e cooperazione. Abbiamo visto invece come abbiano ignorato l’applicazione dell’RSI sin dalle prime fasi di COVID-19.

L’agenzia della salute ha bisogno di supporto politico e finanziario, non di attacchi. Per dare un ordine di grandezza, il suo budget annuale di circa 2,5 miliardi di dollari, di gran lunga inferiore al bilancio di alcuni ospedali americani, e meno del 20% del CDC di Atlanta (il Centro nazionale di controllo delle malattie infettive degli Stati Uniti d’America).  Solo una maggiore cooperazione può portare alla fiducia e alla condivisione delle informazioni necessarie alla comprensione della evoluzione pandemica, ciò che permette di superare le mere logiche geopolitiche. 

Per questo i governi devono prendere tutte le misure perché l’Oms diventi più autonoma politicamente, e ancora più autorevole tecnicamente, come istituzione pubblica internazionale sulla salute.

Mai il mondo ha avuto bisogno dell’Oms come adesso.

Questa lettera è stata firmata da:

Nicoletta Dentico, Head, Global Health Program, Society for International Development, Roma

Antonio Gaudioso, Segretario Generale, Cittadinanzattiva, Roma

Eduardo Missoni, Docente di Salute Globale, Università Bocconi e Bicocca, Milano

Mario Ottiglio, Managing Director, High Lantern Group, Ginevra

Eduardo Pisani, CEO, All.Can International, Bruxelles

Umberto Pizzolato, Biomedical Scientist, Vicenza

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Covid-19 e la corsa al vaccino. “Sicurezza sanitaria globale” e mercato

Uno degli aspetti più dibattuti nella lotta contro l’attuale epidemia di Covid-19 è lo sviluppo di un vaccino.

Attraverso i media il pubblico è ripetutamente portato a pensare che solo il vaccino sarà la soluzione e ci sarà una soluzione solo quando un vaccino sarà disponibile.

Una posizione che giustifica una corsa frenetica verso lo sviluppo di un vaccino (con il rischio di enormi investimenti pubblici, ma con ritorni privati).

Tuttavia, ci sono almeno due aspetti che non vengono presi seriamente in considerazione:

1. Le informazioni sulla risposta immunologica intima al virus Sars-Cov-2 (l’agente eziologico di Covid-19) sono ancora molto limitate e non offrono ancora un percorso chiaro e sicuro per lo sviluppo di un vaccino.

2. Per sviluppare un vaccino sicuro e efficace possono essere necessari anni (non mesi) e il successo non è assolutamente garantito. (I ricercatori stanno lavorando su un vaccino contro l’HIV-Aids da circa 40 anni e un vaccino non è ancora disponibile).

3. Il virus è solo l’ultimo anello della catena, a monte ci sono molti determinanti (sociali, economici, ambientali, culturali, politici) da considerare per una vera risposta nella lotta contro la malattia (non solo contro il virus) e per la salute, che non può che essere sistemica.

Quindi la domanda è: “Perché tanta e quasi esclusiva enfasi sul vaccino?

Nel 2016, nell’ambito del convegno internazionale “Epidemie e società, passato, presente e futuro” (tenutosi a Ginevra), ho presentato un documento sul tema “L’economia politica delle epidemie” (pubblicato nel 2017). Riproduco qui di seguito alcuni paragrafi di questo lavoro che possono contribuire a rispondere alla domanda


Nuove importanti risorse globali sono state proposte e mobilitate per rispondere alle emergenze. Gli strumenti di valutazione e i sistemi di reporting sono in discussione in seno all’OMS, con alcune proposte di nuovi meccanismi globali, strutture globali di finanziamento e valutazione indipendente da parte di attori globali. Tuttavia, la “sicurezza sanitaria globale” sembra ridursi alla risposta alle emergenze e al controllo delle malattie infettive, senza considerare le misure necessarie da adottare a livello locale e nazionale all’interno dei Paesi e a livello transfrontaliero, per rafforzare la capacità dei sistemi sanitari di fornire un accesso universale alle cure, a partire dall’assistenza sanitaria di base e dalla promozione della salute a livello comunitario.
Ad esempio, dopo l’epidemia di Ebola, i miglioramenti più notevoli sono stati quelli relativi alla sorveglianza e alle capacità di laboratorio. In Africa sono stati effettuati investimenti nella sorveglianza e nelle capacità di laboratorio attraverso una risposta integrata di sorveglianza delle malattie e il sostegno internazionale ai centri africani e subregionali di controllo delle malattie trasmissibili per il rilevamento e l’allarme tempestivo dei rischi di malattie infettive. Tuttavia, si sono registrati scarsi progressi, ad esempio, nelle capacità di affrontare i rischi chimici e di sicurezza alimentare, suggerendo che, mentre la regione potrebbe essere meglio preparata ad affrontare le epidemie di malattie infettive, questo potrebbe non essere il caso di altri rischi per la salute pubblica, tra cui le malattie croniche non trasmissibli, con prevedibili costi insostenibili che minacceranno la sicurezza sanitaria individuale e collettiva.

Inoltre, l’approccio alla sicurezza sanitaria globale non presta alcuna attenzione alla promozione della salute pubblica attraverso politiche pubbliche che esulano dalle competenze specifiche del settore sanitario, per controllare o almeno per ridurre l’impatto dei determinanti sopra descritti.
In questo contesto, la risposta internazionale alle epidemie è anche influenzata dalla necessità di “evitare inutili interferenze con il traffico e il commercio internazionale”.
L’epidemia di encefalopatia spongiforme bovina (BSE) (la malattia della “mucca pazza”, ndt) del bestiame britannico, iniziata nel 1986, raggunse il suo apice nel 1992. Quando nel 1987 comparvero i primi casi di BSE umana, nel 1987, fu soppresso il tentativo di un veterinario del governo di pubblicare un documento che descriveva uno dei primi casi di BSE, nel sud-ovest dell’Inghilterra, con l’argomento “dei possibili effetti sulle esportazioni e delle implicazioni politiche”.

Troppo spesso le epidemie suscitano anche l’interesse e la mobilitazione dell’opinione pubblica internazionale solo quando si diffondono oltre i limiti dei paesi più poveri. In base a quanto riportato la risposta globale alla recente epidemia di Ebola (2013-2016) è stata lenta. Solo in agosto del 2014 l’OMS ha dichiarato l’epidemia di Ebola un’emergenza di salute pubblica di interesse internazionale, cinque mesi dopo che i primi casi erano stati segnalati all’OMS, 1.779 persone erano già state contagiate, 961 erano morte, l’epidemia si era diffusa in Nigeria e due operatori umanitari americani infettati in Liberia erano stati evacuati negli Stati Uniti. Solo in quel momento l’epidemia non poteva più essere vista come una crisi umanitaria che colpiva alcuni Paesi poveri dell’Africa, ma cominciava invece ad essere vista come una minaccia alla sicurezza internazionale per i Paesi sviluppati. A settembre si tenne una riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e fu istituita la prima missione sanitaria d’emergenza dell’ONU, la United Nations Mission for Ebola Emergency Response (UNMEER), in quanto “la portata senza precedenti dell’epidemia di Ebola in Africa costituisce una minaccia per la pace e la sicurezza internazionale”. Anche i retaggi coloniali sono diventati evidenti nell’organizzazione della risposta dell’Ebola, con l’assistenza militare fornita con il vecchio approccio coloniale.

L’enfasi sulla risposta tecnologica è un altro aspetto comune della risposta globale alle epidemie, che distrae dalle cause alla base dell’epidemia e dal necessario rafforzamento dei sistemi sanitari, facilitando l’accesso ai servizi e agli interventi di salute pubblica. L’attuale sistema di sviluppo di farmaci e vaccini segue il mercato e favorisce le malattie croniche che colpiscono principalmente le persone del mondo sviluppato, piuttosto che le malattie infettive e neglette che possono causare epidemie. Tuttavia, in presenza di epidemie “transnazionali” l’enfasi è posta sulla ricerca di un vaccino o di un farmaco, spesso percepito come “pallottola magica”. La sola epidemia ‘transnazionale’ di Ebola ha mobilitato investimenti per la ricerca di un vaccino ‘last minute’, e personalità eminenti come Bill Gates, Jeremy Farrar del Wellcome Trust e Seth Berkley di GAVI The Vaccine Alliance ha chiesto di finanziare ulteriori ricerche su farmaci, vaccini e test diagnostici, oltre a creare un sistema per accelerare l’approvazione di questi interventi durante una crisi.

Allo stesso modo, non appena l’epidemia di Zika ha fatto notizia, è stata posta molta enfasi sulla necessità di sviluppare un vaccino, piuttosto che sulla relazione della malattia e del suo vettore con le periferie urbane povere e sull’urgente necessità di intervenire con servizi igienici e il controllo dei rifiuti, fornendo adeguati investimenti globali a tal fine.


Conclusioni

I determinanti di vecchie e nuove epidemie, compreso l’aumento delle malattie non trasmissibili in modo epidemico, sono profondamente radicati nel modo in cui le società sono strutturate. Con l’accelerazione della globalizzazione e l’egemonia del modello di sviluppo neoliberale, non solo le malattie infettive si diffondono più velocemente senza frontiere, ma anche nuove pandemie, legate a stili di vita malsani e al degrado ambientale, sono diventate parte del comune destino planetario dell’umanità.
Chiaramente, la lotta globale alle epidemie del XXI secolo non possono essere ridotte a una risposta emergenziale alle malattie infettive. Piuttosto, deve estendersi alle malattie croniche non trasmissibili, identificando e agendo sui loro determinanti sociali, economici, politici e ambientali.

Interventi di pronto soccorso medico e gli interventi di sanità pubblica in risposta alle epidemie sono misure di ultima istanza. Le soluzioni tecniche ai problemi di salute tendono a lasciare intatti i determinanti sociali ed economici della salute e le interrelazioni
che li sostengono.

Certamente sono necessarie risorse per affrontare le emergenze e il loro impatto economico e sociale, tuttavia la risposta del settore sanitario alla prevenzione e al controllo delle epidemie deve essere basata sul rafforzamento a lungo termine dei sistemi sanitari. Un intervento che inizia a livello locale, all’interno dei paesi e in particolare a partire da un’assistenza sanitaria di base completa, universalmente accessibile, servizi di protezione sociale e approcci alla salute pubblica in grado di identificare, prevenire e gestire il rischio prima che diventi un’epidemia.

Tuttavia, molti fattori determinanti delle epidemie e, in generale, della sicurezza sanitaria globale, sono estranei al settore sanitario e al tradizionale ambito di competenza delle autorità sanitarie, e sono fortemente correlati – come salute globale in generale – con i processi di produzione e di consumo, con la struttura della società e con i processi, gli interessi e le influenze sociali, economiche e politiche, e inducono la necessità di una governance globale che faccia della salute equa la priorità in tutti i settori (ad esempio, agricoltura, commercio, industria, istruzione, ambiente) in cui le politiche pubbliche sono sviluppate e negoziate. La prevenzione delle epidemie deve quindi collegare le conoscenze epidemiologiche a processi politici che sono collettivi e comportano una sfida alle istituzioni economiche e sociali che certamente susciteranno un’opposizione politica, richiedendo appropriate strategie e alleanze per affrontare quella sfida.

Per modificare i driver strutturali delle epidemie sarà necessaria un’azione combinata globale, nazionale e locale che riorienti il modello di sviluppo egemonico basato sulla crescita, che non è sostenibile, socialmente iniquo e globalmente malsano. Un tale cambiamento di paradigma richiede necessariamente un sostanziale riorientamento delle politiche a livello nazionale, oltre all’impegno dei cittadini a livello comunitario. L’azione locale e nazionale, a sua volta, non può prescindere dalla complessità del mondo globalizzato e dalla necessità di controllare le forze transnazionali che influenzano la nostra vita quotidiana e infine la nostra salute, attraverso istituzioni e politiche in grado di farlo.

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