La salute principale obiettivo di sviluppo sostenibile “Perché nessuno resti indietro”

Relazione tenuta in occasione della presentazione del numero della rivista “Sistema Salute” del Centro Sperimentale per la Promozione della Salute e l’Educazione Sanitaria (CESPES) dell’Università degli Studi di Perugia, tenutasi il 23 Settembre 2015

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La prossima “Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo”

Cooperazione_ItalianaNon si sa ancora chi dirigerà la nuova Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, intanto però desidero condividere l’introduzione, la missione e la visione delle linee programmatiche che ho proposto, magari perché ispirino la persona che sarà chiamata a dirigerla.

Dalle mie “Linee Programmatiche”

 

Introduzione

Con la legge 11 agosto 2014, n.125 l’Italia si è dotata di nuovi strumenti per un suo rinnovato ruolo nella cooperazione internazionale per lo sviluppo sostenibile, i diritti umani e la pace, e qualificare con quello la sua politica estera.

Per l’attuazione delle politiche di cooperazione allo sviluppo la legge 125/2014 ha istituito l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo sviluppo (art. 17). Le linee generali di funzionamento e i principi di organizzazione dell’Agenzia sono stabiliti nello Statuto dell’Agenzia varato con successivo decreto 22 luglio 2015, n. 113, del MAECI. E’ stato inoltre adottato il Documento triennale di programmazione e d’indirizzo nell’ambito delle cui direttive l’Agenzia dovrà operare, assicurandone l’attuazione per quanto di sua competenza come ente esecutore e finanziatore.

Perché possa essere assicurata la necessaria funzionalità dell’Agenzia entro la data di “piena operatività” (1 gennaio 2016) e poter quindi assumere la responsabilità del ruolo che la Legge le affida, la medesima dovrà in prima istanza dotarsi degli strumenti regolamentari e organizzativi interni previsti dallo Statuto. Data la ristrettezza dei tempi, per evitare che tali regolamenti soffrano di rigidità e per favorire l’innovazione dovranno essere previsti strumenti di agile adattamento sulla base di procedure di analisi e verifica d’impatto.

L’assetto organizzativo, funzione degli obiettivi dell’Agenzia tenuto conto di condizioni e limiti di partenza, è certamente importante, ma le organizzazioni si fondano sulle persone. Il buon funzionamento del sistema, dipende dalla conoscenza, dall’esperienza e dalla motivazione, ma soprattutto dall’etica che caratterizza le scelte e l’azione di tutte le persone a diverso titolo coinvolte. In tal senso, anche al fine di utilizzare al meglio tutte le risorse (formali, informali, tecniche, economiche, culturali) di cui il sistema dispone, sarà fondamentale costruire e mobilitare la collaborazione fattiva, onesta e trasparente tra le persone che costituiranno l’Agenzia, non ché tra questa, il MAECI e gli altri soggetti pubblici e privati del Sistema italiano di cooperazione allo sviluppo, intorno alla strategia di cambiamento necessaria al conseguimento degli obiettivi che la Legge ha definito, di cui l’Agenzia costituisce un perno essenziale.

Missione

Dare attuazione alle politiche di Cooperazione allo sviluppo contribuendo, nei limiti e secondo il mandato stabiliti dalla corrispondente normativa, ad affermare il ruolo dell’Italia nel più ampio contesto dell’agenda globale 2030 per lo sviluppo sostenibile.

Visione

L’Agenzia italiana di cooperazione allo sviluppo è riconosciuta in Italia, nei paesi partner, a livello europeo e a livello globale come un partner affidabile ed efficace nel dare compimento, per quanto di sua competenza, agli impegni assunti dall’Italia per lo sviluppo sostenibile, i diritti umani e la pace. Un’organizzazione efficiente, altamente decentrata, prossima ai bisogni delle popolazioni; che interagisce efficacemente con le istituzioni locali e gli altri partner nei territori e nelle sedi internazionali in cui opera, e con tutti gli altri soggetti del Sistema italiano di cooperazione allo sviluppo, alla cui coerenza contribuisce; determinata nell’applicazione dei principi di appropriazione, allineamento, armonizzazione, gestione basata sui risultati, e di responsabilità reciproca internazionalmente adottati. Un’organizzazione di elevata professionalità, trasparente, aperta all’innovazione, basata sulla condivisione della conoscenza, capace di rispettare e valorizzare le diversità, centrata sulle persone e ispirata dai più alti valori etici.

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ll Teatro fa bene – un interessante progetto per la salute in Mozambico

Venerdì 23 ottobre 2015 presso la CasaCorriere all’Expo di Milano è stato presentato il progetto “Il teatro fa bene” che ho commentato insieme a Jacopo Fo e Iacopo Patierno, creatori del progetto, e Filippo Uberti, Segretario generale di ENI Foundation, in un incontro moderato da Giuseppe Sarcina, editorialista del Corriere della Sera.

Qui sotto il video integrale dell’evento (miei interventi dal minuto 16:15 al minuto 22:19, e dal minuto 47:27 al minuto 53:17)

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Galeotto fu il terremoto (succedeva oggi trent’anni fa)

terremoto-mexicoErano le 7.15 del mattino quando squillò il telefono. Mia madre chiamava sempre verso quell’ora, per essere certa di trovarmi prima che andassi in ufficio. Ero ancora a letto. Mi alzai raggiunsi il telefono nella stanza a fianco e, rispondendo, mi tornai a sedere sul letto, approfittando del lungo filo dell’apparecchio che poggiai sul pavimento.

“…adesso ti passò papà…” disse mia madre all’altro capo del telefono e del mondo
“Ciaò papà…” avevo appena salutato mio padre, quando sentii un rumore strano, uno scricchiolio, proveniente dal grande armadio a muro dietro le mie spalle “possibile che ci siano dei topi in un appartamento al settimo piano?” pensai, continuando la conversazione, poi d’un tratto sentii che il letto cominciava a muoversi “c’è il terremoto!” annunciai a mio padre
“…è forte?” mi chiese lui preoccupato
“abbastanza, ma non credo ci sia da preoccuparsi qui le costruzioni sono antisismiche…” ma il letto si agitava sempre di più; improvvisamente una lunga crepa si disegnò come un fulmine sulla parete di fronte a me “è forte, è forte…vi richiamo più tardi!” interruppi la conversazione spaventato senza riuscire a rimettere la cornetta sul ricevitore che sembrava rotolare sul pavimento…
Ero al settimo piano esclusi immediatamente la possibilità di scendere in strada, barcollavo come ubriaco… “sotto una trave” pensai ricordando antiche raccomandazioni di mio padre, l’unica trave correva lungo la parete esterna, qualcosa mi disse che non sarebbe stata una buona idea… “sotto lo stipite della porta, allora!” e abbracciai la parete divisoria cercando di mantenermi in piedi. La grande vetrata della stanza andava in frantumi come sotto il fuoco della mitraglia…improvvisamente vedo la parete esterna dell’appartamento staccarsi in blocco e volare nel vuoto, risucchiando mobili e carte…era il finimondo…
“è finita” pensai, ma sentivo di andarmene in pace con il mondo, mi dispiaceva solo di non poter tranquillizare i miei genitori “non vi preoccupate, sono sereno…” mi sarebbe piaciuto potergli ancora dire…
Piano, piano la terra sembrò smettere di tremare, poi come d’incanto tutto tacque. Ero vivo. Per un attimo ebbi la sensazione di non vederci più….ma non avevo gli occhiali sul naso. Erano sul comodino sotto i calcinacci. Quasi d’istinto presi da un cassetto la torcia elettrica e uscii dall’appartamento, la porta era già aperta, scardinata. Feci strada alla gente che scendeva dai piani più alti, tra le grida di spavento, chi vestito, chi come me in pigiama e chi nudo, al buio, in mezzo ad un gran polverone, con l’acqua che scorreva lungo le scale, in mezzo ai calcinacci…sembrava di essere in miniera. Arrivammo in strada. C’era confusione, ma con meraviglia notammo che gli edifici vicini apparivano intatti.
Cosa fare? Qualcuno mi diede una moneta per telefonare…María Inés fu il mio primo pensiero; è vero, solo pochi giorni prima mi aveva lasciato, saremmo rimasti buoni amici, non ero fatto per lei…eppure a me sembrò l’unico vero punto di riferimento in quel momento… le linee naturalmente erano interrotte.
Passata una mezz’ora decisi di tornare sù per recuperare le cose essenziali, sarei stato velocissimo, diverse persone mi sconsigliarono vivamente di rientrare nell’edificio; non gli diedi retta.
Arrivato in casa riunii soldi e documenti; qualche indumento misi tutto in una borsa… la terra non tremava… forse per un pò non avrebbe più tremato… già che c’ero potevo portare via qualcosa di più… iniziaii a riempire lo zaino, poi la valigia, poi ancora una grossaborsa a tracolla, poi via giù per le scale, con la torcia fra i denti e carico fino all’impossibile!
Andai a prendere la macchina custodita a non più di cinquanta metri in un garage che sembrava aver resistito (quella sera stessa lo dichiararono inagibile), caricai tutte le mie cose e partii.
María Inés viveva a pochi minuti di distanza. Un quartiere più elegante, di quelli che persino le catasftrofi naturali sembrano rispettare, del terremoto nessun segno. Suonai al campanello… agitato… picchiai sul vetro della porta d’entrata… suonai il campanello… finalmente María Inés apparve sulla porta d’entrata, ancora in vestaglia:
“Que te pasa?” mi salutò come dicendo: “ti sembra questa l’ora di venire e, per giunta di bussare in quel modo”.
“Ma come… il terremoto?” balbettai. Dovevo avere un aspetto convincente, in pigiama e tutto impolverato, eppure
“Il terremoto?” mi rispose con aria sorpresa. Scoppiai a piangere. Mi abbracciò. Si rese immediatamente conto che non era il momento di scherzare; intuì che quel che mi era successo doveva essere ben più grave di quel terremoto che lei aveva superato solo con un pò di spavento, ma senza conseguenze.
Eppure, nessuno dei due aveva ancora compreso a fondo il dramma che si era compiuto in città, dove interi quartieri erano stati rasi al suolo e per molti giorni si continuarono ad estrarre, a migliaia, le vittime dalle macerie.

Da quel 19 settembre, esattamente sette mesi dopo averla conosciuta, non lasciai più la sua casa. Più tardi la lasciammo insieme.terremoto_messico_1985

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19 Luglio

prima2Correva l’anno 1980. Nicaragua, primo anniversario del trionfo della Revolución Sandinista negli occhi e nelle riflessionidi un giovane medico volontario appena giunto in quel paese.

da Misa Campesina, pp. 52-54

“Fin dalle prime ore dell’alba la Carretera Panamericana era percorsa da una fila ininterrotta di pullman e camion gremiti di persone che giungevano dalle regioni più lontane. Donne e uomini di tutte le età, moltissimi giovani; anche gli studenti che stavano alfabetizzando nella montaña tornavano quel giorno a Managua, per partecipare ai festeggiamenti del primo anniversario della Rivoluzione.
La plaza 19 de Julio, un grande spiazzo asfaltato apposta per l’occasione, era gremita: almeno trecentocinquantamila persone. Sul palco i dirigenti del Frente Sandinista de Liberación Nacional si alternarono al microfono. “Patria libre!” era la consigna, lo slogan, gridato a conclusione di ogni intervento “o morir!” rispondeva la piazza. “Patria o muerte!” riproponeva il palco, “Venceremos!” confermava la folla.
Tra i capi di stato e i grandi leader, solo Fidel Castro aveva risposto all’invito; gli altri, tra cui Carter, Breznew e Arafat, attesissimi, non erano venuti. Sarebbe stato un evento storico, forse avrebbe segnato dall’inizio un destino diverso per il Nicaragua.

Sandino aveva lottato contro l’imperialismo yankee, per la libertà del popolo nicaraguense. Nell’ideale sandinista si erano potuti riconoscere la maggior parte dei nicaraguensi che lottavano contro la feroce dittatura dei Somoza, vassalli del potente vicino del Nord. A pochi mesi dall’insediamento del governo nato dalla Rivoluzione, Violeta Chamorro – che sarebbe poi divenuta Presidente della Repubblica nel 1990 – e Alfonso Robelo, esponenti dell’ala moderata, si erano ritirati e l’FSLN “avanguardia del popolo” con i suoi nove comandanti era rimasto praticamente da solo alla guida del Paese. La bandiera rosso-nera del Frente Sandinista affiancò la bandiera nazionale bianco-azzurra. Le istituzioni e le organizzazioni popolari assunsero la denominazione sandinista, e sandinista era il modello socio-economico proposto. Non si parlava di socialismo e ancor meno di comunismo, parola che per decenni la persecutoria propaganda somozista aveva reso terribile e diabolica all’orecchio nicaraguense, borghese o campesino che fosse. Anche nella ricerca di un modello economico misto, si rifletteva l’originalità della rivoluzione nicaraguense.
Alla ricerca di una prudente, quanto difficile equidistanza dai blocchi, il Nicaragua sandinista si era iscritto tra i paesi non allineati. Oltre all’assistenza di Cuba, immediatamente solidale nei confronti del Nicaragua rivoluzionario, si registrò fin dall’inizio una significativa collaborazione dei paesi dell’Europa occidentale. Meno visibili, ma indiscutibilmente crescenti, erano le relazioni con i paesi del blocco sovietico.
A differenza di molti altri giunti in Nicaragua dopo il 19 di luglio del 1979, la mia partenza non era stata motivata dall’ideologia. e alcuni aspetti propagandistici mi lasciavano perplesso.

Finiti gli studi universitari avevo optato per la sostituzione del servizio militare con un periodo di volontariato civile nella cooperazione internazionale. Influenzato da Albert Schweizer, pensavo ad una “mia” Lambarané in qualche villagio africano. Una certa affinità culturale – anche specchio di un comune passato scout- con le persone che incontrai nel corso dei colloqui di selezione, avevano condizionato poi la mia scelta per il MLAL, destinazione la Colombia. Per tre mesi avevo condiviso con altri volontari in partenza e molti religiosi – anche loro in procinto di iniziare la missione nel Nuovo Continente – un periodo di intensa preparazione presso il Seminario America Latina di Verona.
Anche per la sua ispirazione cristiana, il MLAL non poteva rimanere indifferente a speranze di democrazia e giustizia sociale ed al coinvolgimento delle comunità cristiane nella costruzione della nuova società, con ben quattro preti al governo. Per me la destinazione non faceva molta differenza. Così quando mi proposero di andare in Nicaragua accettai. Non ero certo tra i “rivoluzionari” che avevano seguito quell’esperienza con trepidazione attraverso la televisione e i giornali; a differenza di molti miei amici, in quegli anni, non ero stato attratto dalla politica. Credevo però nei principi di pace e giustizia sociale, ed in quel senso il mio impegno e le mie scelte erano radicali.

La coscientizzazione insita nel metodo di Paulo Freire adottato per la campagna di alfabetizzazione, sembrava viziata dall’inserimento di elementi di propaganda ideologica nella cartilla de alfabetización. Radio e televisione (quest’ultima però praticamente assente in tutta l’area rurale) ripetevano continuamente slogan “rivoluzionari”. La giunta di governo era formata in prevalenza dai comandantes che avevano diretto fino all’anno prima la lotta di liberazione, ma anche da quattro preti, mentre il Paese rimaneva militarizzato. Mi era difficile capire quanto quella capillare presenza armata fosse giustificata da episodi di attività controrivoluzionaria, che a volte non sembravano distinguersi da manifestazioni di criminalità comune.

I bambini, la retaguardia, che sfilarono in piazza sotto il palco quel 19 di luglio, richiamarono alla mia memoria di italiano -seppure formata sui libri di storia e i racconti dei parenti- i “balilla” del ventennio; coì come la sfilata dei giovani inquadrati nella “gioventù sandinista” e la chiamata all’arruolamento nelle “milizie popolari”.
La manifestazione si concluse con la sfilata dei reparti militari. Era il primo anniversario della Rivoluzione sandinista ed erano trascorsi appena due mesi dal mio arrivo in Nicaragua.” Nicaragua_al_letto_del malato

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Tra le carte di mio padre

prima2A poco più di un mese dalla morte di mio padre, tra le carte che aveva messo da parte trovo questa bellissimo commento di una sua amica cui aveva donato il mio libro Misa Campesina:

Caro Attilio,

Ho letto con attenzione e talora con commozione il libro testimonianza di tuo figlio. Ecco, il frutto che si stacca dall’albero e se ne va lontano (noi non vorremmo. è nostro, l’abbiamo nutrito del nostro sangue e del nostro amore) per dare altri frutti, e che frutti! Ma come avete continuato a essere parte viavai e operante nella sua vita.

Non poteva non essere altrimenti, con una madre « che lo ah educato al mondo » e un padre che lo « ha spinto a far rotta verso l’orizzonte ». Che bella immagine, Attilio, di un padre generoso e forte e libero.

Ti son grata di avermi fatto partecipe donandomi il libro, di questa parte fondamentale della vita di tuo figlio. Mi ha toccato la forza e la determinazione del suo impegno, la sua sensibilità e rale capacità di rapporto con i più miseri, la sua disponibilità e dedizione professionale non solo nella cura, ma anche nella riceda, la sua sofferenza nel constatare quanto gli ideali che dovrebbero accomunare tutti gli uomini di buona volontà, vengano talvolta usati e traditi da chi se ne fa pubblicamente portatore. E la sua umiltà, la virtù dei veri grandi.

Ecco, avere questa capacità di star dentro alle cose di quoto mondo, conviverci e rimanere immuni perché « ancora una volta avevo la sensazione che sono altre le cose che contano ». Di quest immunità abbiamo bisogno, perché un ideale che si confonde con il desiderio del potere per il potere si appesantisce e cade come l’aquilone che ha perso il vento.

Che continui a volare, questo splendido aquilone, perché il cammino verso l’utopia è faticoso, difficile e anche pericoloso.

Noi qui , per dare un po’ di ali al nostro piccolo quotidiano abbiamo bisogno di sentore che qualcuno, da qualche parte, vola per davvero.

Ti abbraccio,

Maria

—-

si possono leggere tutte le recensioni qui

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Analisi della riforma della Cooperazione Italiana

Missoni-Actionaid-cooperazione
Dalla presentazione di Actionaid:

Lo studio del Prof. Missoni, dal titolo “Indirizzo politico, governo, controllo e attuazione nella riorganizzazione della Cooperazio- ne Italiana”, descrive i punti di forza e le contraddizioni del nuovo testo di legge, fornisce valutazioni comparative con altri sistemi di cooperazione e propone soluzioni operative in vista della messa in funzione della nuova architettura di governance della cooperazione italiana.
Indirizzo politico, governo, controllo e attuazione nella riorganizzazione della Cooperazione Italiana
Da questo percorso di riflessione emergono ancora molti aspetti da chiarire. Che tipo di rapporto si instaurerà tra la DGCS e l’Agenzia? Come verrà concretamente coinvolto il settore privato? La cooperazione manterrà il suo carattere “qualificante” della politica estera italiana? E poi i temi della coerenza delle politiche, della frammentazione delle risorse, la programmazione degli interventi di cooperazione, la partecipazione diffusa, l’impiego di risorse umane all’interno dell’Agenzia e tanti altri che sono oggi al centro dell’at- tenzione, non solo tra gli addetti ai lavori, ma anche tra chi – dall’e- sterno – segue con interesse il processo di riforma.”

Scarica lo studio completo

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Malnutrizione e obesità: due facce della stessa medaglia

viaSarfatti25I paesi poveri soffrono di entrambi i mali. La causa è la disuguaglianza.

di Eduardo Missoni

Nel mondo 165 milioni di bambini soffrono di denutrizione, con gravi conseguenze sulla salute e sul loro sviluppo. Ogni anno un milione e mezzo di bambini muore di fame.
Ma la maggior parte della popolazione mondiale è ormai sovrappeso o obesa e soffre di malattie collegate a quella condizione, come diabete, ipertensione e malattie cardiovascolari che costituiscono anche la prima causa di morte a livello mondiale e comportano enormi costi economici e sociali. A differenza di quel che si pensa, oggi l’obesità è un problema che affligge anche i paesi poveri che soffrono dunque del cosiddetto “doppio carico di malattia”. Di fatto la prevalenza di obesità è direttamente legata alla disuguaglianza nella distribuzione del reddito, piuttosto che al Pil di un paese.
Con l’accelerazione della globalizzazione si è modificato il sistema alimentare. Da un lato, la produzione alimentare industrializzata si è orientata in modo crescente all’esportazione, ricercando la massimizzazione dei profitti, con esternalizzazione dei costi sanitari, sociali e ambientali legati a quel modello di produzione (fertilizzanti, pesticidi, ogm, etc.), in contrasto con la necessità di soddisfare prioritariamente i bisogni nutrizionali della popolazione, e mettendo in pericolo le stesse capacità produttive locali. Dall’altro, quelle stesse strategie di mercato hanno modificato consumi e comportamenti alimentari, fin dalla prima infanzia. I cibi sani della coltivazione diretta e dell’elaborazione domestica, sono stati sostituiti da cibi a basso costo, alta densità energetica, resi permanentemente disponibili, saporiti, altamente processati, dannosi per la salute e che creano dipendenza.
L’aumento globale dell’obesità lascia prevedere una futura riduzione della speranza di vita, mentre già si registra un forte aumento della spesa sanitaria e sociale, destinata a crescere ulteriormente a breve e lungo termine.
Sono dunque urgenti politiche pubbliche che diano priorità alla salute e prevedano il controllo sul marketing dei prodotti alimentari dannosi per la salute; il consumo di cibi sani nelle mense pubbliche; uso della leva fiscale per incentivare la produzione e il consumo di cibi sani e disincentivare i cibi e cicli produttivi dannosi. Purtroppo, l’esperienza globale insegna che l’industria tende a contrastare attivamente gli interventi normativi per la salute pubblica, percepiti come ostacoli ai propri interessi commerciali. Indipendentemente dal fatto che si tratti di interventi di tipo soft-law, come nel caso dell’introduzione del Codice internazionale Oms/Unicef sulla commercializzazione dei succedanei del latte materno, o del tipo hard-law, come nel caso della Convenzione quadro sul controllo del tabacco.
Ciò non esclude che anche le iniziative e le strategie industriali di responsabilità sociale d’impresa (csr) e quelle di auto-regolazione del marketing possano giocare un ruolo, ma in generale quelle sono intraprese solo come risposta alle pressioni del mercato (modificata domanda e consumo critico) o per tamponare l’intervento pubblico. Gli approcci di co-regolamentazione pubblico-privata potrebbero anch’essi essere considerati, ma solo a condizione che possa esser garantita l’assenza di conflitti d’interesse e istituiti adeguati meccanismi di trasparenza e vigilanza.

➜ Produzione e consumo locali
In ogni caso, produzione eco-sostenibile e consumo sobrio di cibo sano dovrebbero rappresentare una priorità globale e integrare strategie di regolazione e di educazione a diversi livelli (locale, nazionale e globale). Critica è la necessità di riconoscere le cause strutturali delle diseguaglianze e il loro superamento. La crescente coscienza dell’assoluta insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo e le molteplici esperienze tese a promuovere forme di produzione e consumo locali sono solo un passo nella direzione di un mondo in cui a nessuno manchi il cibo in quantità e qualità adeguate.

Pubblicato su viaSarfatti25 il 13.6.2015

http://www.viasarfatti25.unibocconi.it/notizia.php?idArt=15450

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Degrowth and health: local action should be linked to global policies and governance for health

chiocciola_decrescitaVolume and increase of spending in the health sector contribute to economic growth, but do not consistently relate with better health. Instead, unsatisfactory health trends, health systems’ inefficiencies, and high costs are linked to the globalization of a growth society dominated by neoliberal economic ideas and policies of privatization, deregulation, and liberalization. A degrowth approach, understood as frame that connects diverse ideas, concepts, and proposals alternative to growth as a societal objective, can contribute to better health and a more efficient use of health systems. However, action for change of individual and collective behaviors alone is not enough to influence social determinants and counteract powerful and harmful market forces. The quality and characteristics of health policies need to be rethought, and public policies in all sectors should be formulated taking into consideration their impact on health. A paradigmatic shift toward a more caring, equitable, and sustainable degrowth society will require supportive policies at national level and citizens’ engagement at community level. Nevertheless, due to global interdependence and the unavoidable interactions between global forces and national systems, a deep rethinking of global health governance and its reformulation into global governance for health are essential. To support degrowth and health, a strong alliance between committed national and global leaderships, above all the World Health Organization, and a well-informed, transnationally interconnected, worldwide active civil society is essential to include and defend health objectives and priorities in all policies and at all levels, including through the regulation of global market forces.

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Scautismo è camminare insieme e superamento di tutte le diversità

UntitledAtti del Seminario

“L’Educazione Scout dinanzi alla sfida della Multiculturalità”

AGESCI, Regione Sicilia, Canicattì 31.1.2015

Intervento di Eduardo Missoni
Negli ultimi decenni abbiamo assistito all’accelerazione del processo di globalizzazione, inteso come crescente interconnessione e interdipendenza dei popoli oltre ogni barriera geografica e politico-amministrativa. Si tratta di un processo che da un lato ha creato molte nuove opportunità, dall’altro è accompagnato dall’emergere di sfide senza precedenti. Non possono sfuggire le crescenti disuguaglianze sociali ed economiche, il degrado ambientale derivante da modelli insostenibili di sviluppo, le persistenti disuguaglianze di genere, l’iniqua diffusione di antiche e nuove malattie altrimenti prevenibili, l’accentuarsi dell’intolleranza culturale, etnica, religiosa, politica e le manifestazioni di discriminazioni di ogni genere.
Quotidianamente esposti all’informazione sull’evoluzione della situazione economica, rischiamo di non renderci conto di una crisi più profonda, una crisi strutturale, di sistema. Mentre i massimi responsabili delle istituzioni discutono sui modi migliori per assicurare la ripresa della “crescita”, davvero pochi di loro s’interrogano sulle conseguenze sociali dell’applicazione di quel dogma economico che misura il successo in base al volume delle transazioni economiche. Già Bob Kennedy nel 1968 richiamava l’attenzione dei suoi connazionali sull’inadeguatezza del Prodotto Interno Lordo (PIL) come indicatore di progresso: “Il PIL misura tutto, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”. Nel suo “Consumo e dunque sono” Zygmund Bauman ci ricorda come la produzione di tutte le merci ha come destino ultimo il consumo. La spinta per favorire l’incontro tra consumatori potenziali e i potenziali oggetti di consumo ha condotto alla mercificazione della società e di tutte le relazioni umane e ad un’economia che deve fare affidamento sull’eccesso e sullo spreco per riprodursi. Per far crescere rapidamente il PIL è infatti indispensabile far prosperare il ricambio delle merci accelerandone l’obsolescenza, affinché nuovi consumi richiedano costantemente e in maniera crescente nuova produzione. Un’economia che richiede un’inesauribile fonte di risorse naturali ed un altrettanto inesauribile spazio per la discarica dei rifiuti che produce; un modello di sviluppo incompatibile con il carattere finito del pianeta e delle sue risorse.
Seguendo questo modello diviene indispensabile l’accelerazione degli scambi commerciali liberandoli a tal fine da ogni possibile calmiere e regolamentazione. Di qui la riduzione del ruolo dello stato, la privatizzazione e la liberalizzazione dei mercati promossi dall’ideologia neoliberale divenuta egemonica a livello globale e accompagnata dalla concentrazione della ricchezza in un numero sempre e più ristretto di persone. Un recente rapporto dell’Oxfam calcola che entro la fine dell’anno l’1% della popolazione mondiale controllerà il 99% della ricchezza prodotta dal pianeta; 85 persone super ricche possiedono oggi l’equivalente di quanto detenuto da metà della popolazione mondiale. Quelle stesse élite che detengono il potere o di riflesso, l’agenda politica globale, rinforzando così il sistema e le sue iniquità.
Sono stati così progressivamente erosi i principi e le politiche della solidarietà sociale, e con essi il senso di comunità e di coesione sociale su cui gran parte del progresso umano era stato costruito. La Costituzione della Repubblica italiana (art.2) “richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.” Dobbiamo interrogarci sulla coerenza con il dettato costituzionale, e sul rispetto del dovere cui ci richiama, del nostro agire di cittadini e di quello delle istituzioni nello svolgimento delle funzioni politiche, economiche, giuridiche e amministrative.
Già il fondatore del Movimento Scout, Robert Baden-Powell, per tutti noi B.-P., guardava agli Scout come cittadini del mondo, oggi più che mai, la patria di ogni Scout deve essere il mondo. In un mondo malato di competizione e sopraffazione, sono indispensabili solidarietà e cooperazione cui la Promessa e la Legge Scout ci richiamano: sempre pronti a servire gli altri. Pensiero ed azione cosciente devono coniugarsi a livello locale e globale per affrontare le nuove sfide.
Il nostro locale si è già fatto globale. La fuga da condizioni di vita sempre più difficili, dall’oppressione o dal dilagare dei conflitti nei paesi di origine porta ogni anno nel nostro paese decine di migliaia di persone di lingue, culture, religioni e esperienze diverse. Non abbiamo più bisogno di partecipare a un Jamboree per una positiva interazione interculturale. Ogni giorno nelle nostre comunità locali possiamo fare esercizio di quella fraternità mondiale che lo scoutismo dovrebbe spronarci a vivere in prima persona. L’essere Scout delle nostre organizzazioni si realizza anche aprendo le nostre comunità e i nostri gruppi alle e ai giovani di ogni provenienza, facilitando attraverso le attività scout l’incontro tra culture, religioni, esperienze, promuovendo la condivisione. Offrendo a tutte e a tutti, ognuna e ognuno con la propria diversità, le medesime opportunità, in ogni tappa del percorso dall’ingresso nel gruppo, alla partenza e all’impegno in comunità capi.
Lo scoutismo è stato fondato sull’incontro tra diversi. Sull’isola di Brownsea dove volle sperimentare le sue intuizioni pedagogiche, B.-P. riunì ragazzi di diverse classi sociali, e propose loro di vivere, lavorare e giocare assieme; per quell’epoca una sfida notevole. Nei suoi scritti B.-P, torna spesso sul superamento nello scoutismo di tutte le differenze, tutti fratelli e sorelle della medesima famiglia. Amiche e amici di tutte e di tutti, per gli Scout le diversità sono un patrimonio, un’opportunità d’incontro e crescita individuale e di gruppo da vivere con gioia, primo passo per la costruzione di quel “mondo un po’ migliore di come lo abbiamo trovato”, per la costruzione della Pace.
Come educatori con il gioco, l’avventura e il servizio che dobbiamo saper coniugare al meglio in ogni branca in quella straordinaria esperienza che è lo scoutismo, dobbiamo aiutare ogni ragazza e ogni ragazzo a scoprire e sviluppare i propri talenti. La Promessa scout nasconde il grande segreto del metodo e quel “fare del mio meglio” del testo della Promessa è centrale per la sua comprensione. Solo la stessa ragazza o lo stesso ragazzo, e nessun altro, potrà giudicare se avrà fatto davvero “del proprio meglio” per divenire Scout. Ma è quel divenire Scout che porterà a compimento il percorso. Essere Scout è infatti cosa ben diversa dal fare dello scoutismo o dal partecipare a un’attività scout o ad un’organizzazione che si definisce scout. E’ l’essere Scout (con la ”S” maiuscola), il vivere appieno da adulti, responsabilmente, e in tutta la loro portata i valori della Promessa e della Legge, che ci permetterà di essere veri cittadine e cittadini del mondo, agenti di cambiamento e trasformazione sociale, per una società inclusiva, migliore fondata sulla cooperazione e la solidarietà, l’accoglienza e il rispetto reciproco nella convivenza, l’uso attento delle risorse. Un mondo di Pace e giustizia sociale, in pace anche con il Pianeta e le generazioni future.

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