Lettera aperta – A proposito di evidenza pubblica e trasparenza: la nomina del Direttore AICS

Venerdì 7 settembre nella sezione “Amministrazione trasparente” del sito web del Ministero degli affari esteri e cooperazione internazionale (MAECI) è stata resa pubblica la rosa dei 3 nomi che saranno presentati al Ministro affinché ne proponga uno al Presidente del Consiglio per la nomina a Direttore dell’Agenzia italiana di cooperazione allo sviluppo (AICS). La rosa proposta desta non poche perplessità, sembra riproporre noti intrighi di Palazzo e lascia di fatto poche alternative al Ministro.

Il 5 di marzo di quest’anno, all’indomani delle elezioni politiche e a metà del proprio mandato quadriennale, la Direttrice dell’AICS, Laura Frigenti, presentava le dimissioni; formalmente per «ragioni di carattere personale e la prolungata distanza dalla famiglia», ma non possono essere escluse altre ragioni che senza eccessive dietrologie, ma con sufficiente conoscenza dell’ambiente potrebbero essere ricercate piuttosto “nelle resistenze e nelle diffidenze” del corpo diplomatico “che hanno imposto all’AICS un braccio di ferro continuo con la DGCS” mancando quella stessa Direzione della “capacità di impossessarsi del ruolo politico che la legge le attribuisce, perseverando così nei tentativi che impediscano all’Agenzia di assumere lei quel ruolo” come scriveva Carlo Ciavoni su Repubblica.it  lo scorso 3 aprile. Un ruolo, quello politico, che chiaramente non spetta all’Agenzia, cui invece la Legge attribuisce la fondamentale responsabilità di gestione e implementazione delle iniziative di cooperazione, peraltro con diverse criticità normative, che già ebbi modo di analizzare in dettaglio in passato.[i]

Il 30 di marzo la Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo (DGCS) del MAECI pubblicava l’avviso pubblico «per la selezione di candidature da sottoporre al Ministro per gli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale ai fini della nomina del direttore dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo». Evidentemente era urgente riempire il vuoto lasciato alla guida dell’AICS.

La legge n.125/2014 di riforma della Cooperazione allo Sviluppo e istitutiva dell’AICS stabilisce che: “Il direttore dell’Agenzia è nominato dal Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, a seguito di   procedura   di selezione con evidenza pubblica improntata a criteri di trasparenza … tra persone di particolare e comprovata qualificazione professionale e in possesso di documentata esperienza in materia di cooperazione allo sviluppo.”

Lo statuto dell’AICS stabilisce inoltre che le candidature alla posizione di Direttore sono valutate da una commissione esaminatrice nominata dal Ministro, che all’esito del processo di selezione “formula al Ministro una motivata proposta con almeno tre e non oltre cinque nominativi”.

Da più parti si diceva che la nomina sarebbe dovuta avvenire entro la fine di giugno. Di fatti il termine per la presentazione delle candidature fu stabilito al 4 di maggio. Il 7 maggio veniva pubblicato l’elenco delle 56 persone che avevano fatto domanda, mentre la Commissione esaminatrice fu costituita il 18 maggio.

Considerando il carattere tecnico-politico della nomina era altrettanto evidente che si sarebbe dovuto aspettare la costituzione del nuovo governo a seguito degli esiti delle elezioni, ma certamente non per procedere nella selezione. Ciononostante, appena il 22 giugno, a poco più di un mese della nomina della Commissione veniva reso noto l’elenco di 39 candidate/i ammesse/i al colloquio.

I colloqui di selezione si sono svolti a partire dal 6 luglio e si sono conclusi il 24 luglio. Pochi giorni dopo la conclusione dei colloqui nei corridoi della Farnesina erano già noti i nomi, per alcuni versi discutibili, di una rosa di soli tre candidati individuati dalla Commissione per la presentazione al Ministro.

Il 29 di agosto i presidenti delle federazioni di ONG di cooperazione allo sviluppo AOI, Cini e Link2007 incontravano il direttore della DGCS, Ambasciatore Giorgio Marrapodi, il vice-direttore, Min. Luca Maestripieri e il vice direttore ‘reggente’ dell’AICS, Leonardo Carmenati (questi ultimi due peraltro tra i candidati al posto di Direttore AICS). In quella occasione i rappresentanti della Farnesina assicuravano che il verbale definitivo della commissione di valutazione e la rosa dei nomi – “non si sa se 3 o 5” – era già pronto dagli inizi di agosto e che si sarebbe proceduto all’ufficializzazione dei nominativi rimasti ‘in corsa’ al ritorno dalle ferie del presidente della commissione (sic!). Sorprendentemente, nel verbale di quella riunione si legge anche “che (purtroppo) nel Regolamento dell’AICS è prevista la possibilità che il Presidente del Consiglio (soggetto responsabile della nomina del direttore) scelga una persona altra.” In realtà una simile opzione di scelta discrezionale non è prevista dalla normativa, e di fatto sarebbe in contrasto la procedura di “evidenza pubblica” e il principio di “trasparenza” previsti dalla Legge; è dunque curioso che sia emerso dalla menzionata riunione.

Finalmente, quei tre nomi – tutti interni all’amministrazione – sono ufficiali e ci si interroga sui criteri della “motivata proposta” che farà al Ministro la Commissione il cui giudizio di merito rientra nelle proprie prerogative di discrezionalità. Certamente però qualche dubbio sulle scelte realizzate sorge spontaneo. Possibile che su 38 candidati ammessi, alcuni dei quali con elevate e diversificate competenze di gestione e direzione nella cooperazione allo sviluppo, e in altri ambiti e strutture complesse internazionali, la Commissione si sia concentrata su tre curriculum interni all’Amministrazione del MAECI e dell’Agenzia, piuttosto “piatti” e situazioni per ragioni diverse almeno problematiche?

È certamente il caso dell’attuale responsabile delle Relazioni istituzionali e comunicazione dell’AICS, la cui principale esperienza in relazione alla cooperazione allo sviluppo si limita per lo più alla stesura della legge di riforma come assistente parlamentare. Senza considerare l’increscioso episodio di intimidazione di cui si sarebbe reso protagonista nei confronti dei sindacati al tavolo delle trattative, riportato da diversi organi di stampa e oggetto di interrogazione parlamentare.

Si ravvisa invece un certo conflitto d’interessi istituzionali nella candidatura del Vicedirettore generale della DGCS, organo di supervisione e controllo dell’AICS. Controllore, candidato a controllato; plausibilmente una candidatura istituzionalmente concertata per ridurre ulteriormente la pur debole autonomia attribuita dalla Legge all’AICS. Nonostante la buona reputazione come diplomatico e capace burocrate, manca però – come è del resto normale in una carriera diplomatica – di esperienza concreta di gestione di iniziative e vissuto diretto a contatto con i bisogni delle popolazioni dei paesi partner di cooperazione allo sviluppo. È casuale che la Commissione abbia limitato la rosa al minimo di tre persone esistendo certamente altri curriculum fortemente (e probabilmente più) competitivi da offrire come alternative possibili alla scelta del Ministro? È casuale che nella lista non sia incluso nemmeno uno dei due candidati già presenti nella lista dei 5 “finalisti” nella passata selezione del primo direttore dell’AICS, mentre un altro di quei “finalisti” è stato addirittura scelto come membro della Commissione esaminatrice?

È lecito pensare che il risultato fosse già scritto prima di iniziare il percorso di selezione e che corrisponda ad una precisa strategia del Palazzo volta ad affossare una riforma sempre avversata.

Rendere noti i criteri adottati sarebbe un significativo atto di trasparenza ed etica istituzionale.

Sono parte in causa, non lo nego, ma “A pensar male si fa peccato, ma spesso si indovina”.

[i] Missoni, E., «Indirizzo politico, governo, controllo e attuazione nella riorganizzazione della Cooperazione Italiana». Roma : ActionAid, maggio 2015 (https://www.actionaid.it/app/uploads/2015/06/Riforma-Cooperazione_Italiana.pdf).

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The political economy of epidemics

The book edited by Bernardino Fantini, professor emeritus of the University of Geneva,“Epidémies et sociétes, passé, présent et futur” (with contributions in French and English) was published at the beginning of the year. The book also contains my contribution (in English) on the political economy of epidemics.

In my chapter, I propose an analysis of epidemics based on the social, political and economic determinants of old and new epidemics, including non-communicable diseases that have increased in an epidemic fashion.

The determinants of old and new epidemics, are deeply rooted in the way societies are structured. Populations’ aspiration to the highest attainable standard of health is in constant conflict with the dominant modes of production, distribution and consumption of goods and services, which are driven by profit and unsustainable economic growth goals. The acceleration of globalization has modified the spatial and temporal spread of diseases, increasing the complexity of the analysis and adding challenges to possible responses to epidemics.

The paper analyses power and influence relations of various societal sectors, and their shaping of social and environmental determinants of epidemics. Related global govern- ance and public policy issues are equally presented. It argues that response to epidemics cannot be reduced to merely a biomedical or technical problem, seen in isolation and dealt with only through medical rescue processes and public health interventions. Up- stream causal processes need to be addressed. This requires questioning the hegemonic development model, and a combined global, national and local action to modify the drivers of human development, making populations’ health the priority of public policies in all sectors.

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Ho ricevuto una lettera…

Fa sempre piacere sapere come si è valutati dagli studenti, e naturalmente anche che le autorità accademiche ne prendano atto.

Oggetto: Prestazioni ottenute nell’attività didattica – a.a. 2015-2016

Caro Eduardo,

siamo lieti di comunicarti che sulla base dell’Indicatore ID – derivante dall’esercizio di valutazione condotto dagli studenti a completamento di ogni corso – hai riportato una delle migliori performance registrate nell’ambito della Scuola Graduate tra i docenti a contratto.

Con questa lettera intendiamo pertanto ringraziarti per il contributo e l’impegno profuso sul fornte dell’attività didattica, che come sai è per noi una parte fondamentale della nostra attività accademica.

Un caro saluto

Il Rettore                                                                    Il Consigliere Delegato

Gianmario Verona                                                                           Bruno Pavesi

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Dopo averlo ascoltato dal vivo: Misa Campesina

di Vincenza Lofino (studentessa Master ISPI)

“Vos sos el Dios de los pobres, el Dios humano y sencillo, el Dios que suda en la calle, el Dios de rostro curtido. 

Por eso es que te hablo yo así como habla mi pueblo, porque sos el Dios obrero, el Cristo trabajador”.

“Tu sei il Dio dei poveri, il Dio umano e semplice, il Dio che soffre nella strada, il Dio dal volto bruciato dal sole. Ecco perché ti parlo come parla il mio popolo, perché sei il Dio operaio, il Cristo lavoratore”.

Ed ogni volta che risuonano le parole della Misa Campesina nicaraguense, sembra di essere lì, in Nicaragua, con il dottor e professor Missoni (ma lui non ama i titoli e, anche dai suoi studenti, come dai campesinos del Nicaragua preferisce essere chiamato semplicemente per nome) immaginando il lavoro di un instancabile “operaio” in servizio, impegnato a sporcarsi le mani tra gli ultimi, a curare feriti e a salvare vite umane, così come suggeriscono i versi della Misa Campesina, il canto popolare della Messa dei contadini che dà il titolo al libro.

Composto nel 1975 ed eseguito principalmente in ambito liturgico, il canto, basato sullo stile musicale “Nica” originario della zona di Masaya, finì per assumere connotati politici rappresentando la cosiddetta “teologia della liberazione”, adottato tra i canti popolari durante i primi anni della Rivoluzione e del trionfo del Fronte Sandinista di Liberazione che nel luglio 1979, si impose sulla quasi ventennale dittatura di Anastasio Somoza.

La Misa Campesina era espressione di un’ “Iglesia Popular” (chiesa popolare) in ideale continuità con la strada tracciata dal Concilio Vaticano II, che contrastava con la posizione di certa  gerarchia della Chiesa Cattolica che aveva goduto delle simpatie del regime somozista. Lo spirito della Misa Campesina, tuttavia, era rimasto  sempre vivo anche durante la dittatura somozista, in clandestinità, nelle celebrazioni delle messe contadine e nell’esperienza popolare nicaraguense.

Fu proprio in questo momento storico che giunse dall’Italia il giovane medico volontario, inviato da un’organizzazione di Verona chiamata MLAL (Movimento Laici America Latina), assieme agli altri volontari ed internacionalistas, titolo attribuito a quanti erano giunti in Nicaragua per sostenere il processo di ricostruzione nel difficile momento di transizione successivo al trionfo della Revolución sandinista

Finiti gli studi universitari, Eduardo aveva optato per la sostituzione del servizio militare con un periodo di volontariato civile nella cooperazione internazionale e, influenzato da una certa sensibilità culturale e morale, maturata nello Scoutismo, aveva immaginato, in realtà, di prestare servizio in un ospedale in qualche villaggio africano; sebbene in fondo, per lui la destinazione di intervento non facesse poi molta differenza.

Alla fine fu la stessa destinazione a scegliere lui: Nicaragua! Un paese dove il MLAL, un’organizzazione di forte ispirazione cristiana, animata da speranze di democrazia e giustizia sociale ed impegnata nel coinvolgimento delle comunità nella costruzione della nuova società, era già presente da anni con i suoi progetti sanitari che ora facevano riferimento al nuovo Sistema Nacional Unico de Salud.

Perfettamente in linea con i suoi ideali, Eduardo non poteva certo rimanere indifferente alla chiamata dal Centroamerica, forte dei suoi principi di pace e giustizia sociale che si unirono all’impegno di molti altri medici volontari (religiosi e laici), il cui lavoro era prevalentemente rivolto all’educazione sanitaria, alla medicina preventiva nelle aree rurali e alle attività ambulatoriali negli ospedali locali.

Il doctor, in definitiva, si era ritrovato ad operare in un contesto politico difficile e in un contesto lavorativo che avrebbe messo fisicamente e mentalmente chiunque a dura prova… Tra l’umidità appiccicosa del caldo tropicale e l’umiltà di un piatto di riso e fagioli (l’esclusivo pranzo del contadino nicaraguese) e di un bicchiere di fresco (acqua e avena); tra pazienti più inclini ad una cura farmacologica (perché il farmaco cura!) rispetto ad un’educazione sanitaria che prevedesse anche una terapia di counselling e di sostegno; tra giovani e giovanissime partorienti spesso alla quinta o sesta gravidanza; ricoveri di urgenza da traumi da incidente stradale (per via delle pessime condizioni infrastrutturali del Paese) e diagnosi di malattie spesso prevenibili (e spesso fatali!) per incuria e disinformazione sull’importanza dell’uso quotidiano dell’acqua e per scarsa educazione ad una corretta igiene sanitaria.

Per 3 anni e con turni di lavoro incessanti, prestò servizio tra gli ambulatori delle aree comprese tra Matiguás, Ciudad Darío e i Centri de Salud di Terrabona e Waslala, passando per la “pericolosa montaña” (le comunità di montagna nicaraguensi), fornendo assistenza e medicina da campo nelle aree rurali.

In un Paese alle prese con un tasso considerevole di analfabetismo (all’epoca il 52% della popolazione, in gran parte contadina, era ancora analfabeta, secondo le statistiche ufficiali) e che vedeva uno spiraglio di cambiamento nelle Brigadas de alfabetización, impegnate nella campagna nazionale contro l’analfabetismo da poco avviata dal governo ed inviate soprattutto nelle aree più remote del Paese; e allo stesso tempo alle prese con i famigerati contras che di lì a poco avrebbero ricominciato a scorrazzare per il Paese spargendo terrore per ripristinare l’ordine del regime somozista e scacciare “l’incubo rosso comunista”…

Di tutto questo ed altro, rimane scritto nella storia di un Paese e nella storia personale e nelle memorie del nostro “prof.”

A conferma di ciò, le parole di Isabel Allende, la figlia del Presidente Salvador e senatrice cilena, stampate nella prefazione del libro, che hanno sortito lo stesso effetto ricevuto il giorno in cui io e i miei compagni di classe del Master ISPI (Master in Cooperazione Internazionale, Sviluppo ed Emergenze), abbiamo avuto il grande piacere (e l’onore!) di conoscere e di ascoltare Eduardo dal vivo a lezione.

Senza dubbio e in brevissimo tempo, è diventato uno dei miei modelli di vita di riferimento, cui guardare con profonda stima per imparare ed essere una persona impegnata a costruire, sempre con passione e con visione lungimirante, un mondo più bello e più solidale da lasciare a chi verrà dopo di noi.

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36 anni fa in Nicaragua iniziava la Campagna di alfabetizzazione

Marzo 1980. Arrivavo in Nicaragua. Iniziava in quei giorni la campagna di alfabetizzazione. Così la raccontavo nel mio libro Misa Campesina.

“Il raccolto dei fagioli procedeva bene. Le pianticelle, strappate dal terreno con tutte le radici e riunite al centro del campo, si erano seccate al sole. Ora i contadini battevano sui piccoli mucchi con un bastone, raccogliendo in un telo i fagioli che saltavano fuori dalle loro guaine. Quei fagioli costituivano il pasto base della popolazione locale e di qualche malcapitato volontario italiano.
Anche la “crociata” di alfabetizzazione era andata bene e gli studenti dopo sei mesi nella montaña da insegnanti, stavano ora rientrando in città. A Terrabona era stata organizzata una grande festa di chiusura. Ancora una volta le brigadas di alfabetizzatori sfilarono per il paese, ognuna preceduta da uno striscione o un cartellone con il nome della comunità dove avevano prestato il proprio servizio. I brigadistas entrarono in paese cantando o gridando consignas, le loro cotonas grigie ormai scolorite. Per molti studenti cittadini l’alfabetizzazione fu la prima occasione per scoprire un’altra parte, così diversa, del proprio paese. Una mondo che in certi ambienti, si preferiva non conoscere se non atraverso un’immagine folcloristica. Molte famiglie benestanti non avevano permesso che i propri figli partecipassero a quella mobilitazione nazionale.
La piazza dinanzi alla chiesa si riempì di ragazze e ragazzi.
“Puño en alto; libro abierto!” il grido echeggiava in tutto il paese.
Il sagrato della chiesa “di” padre Jorge, tornò ad essere il palco per l’ “acto político cultural” con l’alternarsi dei discorsi dei responsabili locali della cruzada e semplici rappresentazioni teatrali. Anche Toño -il coordinatore della Giunta di Terrabona- prese la parola e con l’occasione comunicò la nomina di Salomé – l’amico di El Rincon – a membro della Giunta in rappresentanza dell’area rurale. La musica si protrasse fino a tarda notte.
“Terrabona: territorio liberado del analfabetismo!”. Forse non del tutto. Quelle percentuali – che su base nazionale sommavano ad uno straordinario e forse improbabile 12% residuo di popolazione analfabeta – non erano a volte del tutto affidabili. Forte era stata la tentazione in molti brigadistas di mostrare risultati migliori di quelli effettivamente ottenuti nel proprio lavoro di alfabetizzazione. In una gara di orgoglio, peraltro senza alcun premio in palio, avevano talvolta chiuso un occhio nel valutare i risultati della prova finale dei loro alunni. Certo è che dovetti continuare a prescrivere farmaci usando opportuni disegnini.
Era altrettanto certo però che quegli ottantamila giovani relegati per cinque mesi nella montaña con i campesinos, rappresentavano un segno tangibile della volontà di cambiamento.
Purtroppo anche la Cruzada de alfabetizaciòn ebbe i suoi martiri. L’assassinio di Georgino Andrade, il primo degli alfabetizzatori uccisi dalla contra, indicò che c’era chi il cambiamento non lo gradiva affatto La ex-guardia nazionale somozista si stava riorganizzando in bande armate, che avrebbero ben presto trovato nel nuovo presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan, il principale sostenitore.
Alcune famiglie contadine che avevano ospitato quei ragazzi nelle loro case per quel periodo, li vollero accompagnare fino a Terrabona; al momento di salutarsi la commozione era forte. I brigadistas lasciavano tra quelle montagne genitori, sorelle e fratelli adottivi.”

 

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Videomemorie di un 19 di luglio…

Nel fare ripulisti ho trovato dei vecchi filmini… oggi ricorre l’anniversario del trionfo della rivoluzione sandinista in Nicaragua. Ho collegato le immagini il racconto di quella giornata che faccio nel mio libro Misa Campesina. Buona visione e buon ascolto! (il video è in spagnolo, ma il libro esiste anche in italiano!)

 

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Nuova edizione di un classico della salute globale

Elementi_2_prima_di_copertinaElementi di Salute Globale

Globalizzazione, politiche sanitarie e salute umana

Nuova edizione aggiornata

Eduardo Missoni e Guglielmo Pacileo
Prefazione (alla prima edizione) di Giovanni Berlinguer
Franco Angeli, 2016

Lo studio delle interazioni tra il processo di globalizzazione e la salute umana è l’oggetto di un’area di ricerca, formazione e di pratiche interdisciplinari consolidatasi negli ultimi quindici anni, che diversi autori ormai individuano come “Salute Globale” differenziandola dai più tradizionali studi di “sanità pubblica internazionale”.
Il testo, che si propone di iniziare allo studio della salute globale, guarda alla salute nella sua accezione più ampia, non solo come condizione fisica e mentale dell’individuo, ma anche nella sua correlazione con lo stato di benessere sociale. L’approccio quindi è interdisciplinare: affronta il tema in una dimensione transnazionale e globale, dove i determinanti sociali, economici e politici si intersecano tra loro con crescenti complessità al di là dei confini e delle relazioni bilaterali e multilaterali tra gli Stati nazionali al cui controllo sono sempre meno soggetti.
Dopo aver accompagnato generazioni di studenti Elementi di salute globale giunge finalmente a una necessaria seconda edizione, rivista, aggiornata e ampliata, che speriamo continui a risultare utile sia a chi per la prima volta si avvicina alle tematiche globali sia a chi, già in possesso di alcune nozioni, desideri riordinare i concetti acquisiti o orientarsi con più facilità nell’analisi del fenomeno in questione. Acquista

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Allerta Zika – intervenire sui determinanti

Il primo febbraio 2016 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha annunciato l’allerta globale per l’epidemia di virus Zika.

Questa infezione è trasmessa da zanzare del genere Aedes che trasmettono anche altre malattie virali come il dengue, la febbre gialla e il chikungunya. L’attuale distribuzione della malattie trasmesse da Aedes è legata a storici movimenti di persone e merci (la zanzara raggiunse le Americhe grazie al mercato transoceanico degli schiavi).  La diffusione delle zanzare Aedes è stata facilitata dalla crescita delle disugaglianze e la concentrazione di masse crescenti di popolazione che vivono in infime in condizioni igieniche, in infinite periferie urbane: senza accesso all’acqua corrente, senza sistemi di drenaggio delle acque reflue, senza sistemi fognanti, senza accesso a cure sanitarie, in mezzo a montagne di rifiuti e ricettacoli plastici frutto di un modello di sviluppo basato sull’obiettivo di una crescita economica indiscriminata e, per definizone, insostenibile. E’ stato anche dimostrato che le aree urbane non solo solo il luogo privilegiato della trasmissione delle malattie virali trasmesse da Aedes, ma – almeno nel caso del dengue – facilitano anche la crescita di ceppi virali con un accresciuto potenziale epidemico.

La risposta (principale) non è la ricerca di un vaccino, ma un radicale cambiamento di rotta per la trasformazione di sistemi sociali non solo iniqui, ma insostenibili. Un primo, piccolo passo dovrebbe essere quello della creazione di condizioni di vita umane nella vaste periferie urbane del mondo.

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Roma – Giovani italiani nelle Nazioni Unite una storia lunga oltre 40 anni (14.12.15) – Intervento di Eduardo Missoni

 

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Best wishes!

Christmas 2015 – New Year 2016

Dear friends,
my family has old maritime traditions. This year my father, last “sea captain” of his ancestry, set sail toward the infinite. He taught me “set your course toward far horizons and firmly keep the helmstock in that direction” and he taught me generosity; also his last words were: “Is there something I can do for you?”.
Today humanity is not navigating in calm waters, indeed it seems it has lost the compass. The mantra of economic growth, continuously pushes a dazed humanity indiscriminate consumption, independently from the real needs of individuals and communities. Humanity is slave of globalised economic interests and suffers the consequences of that “development” model: increasing inequalities in the distribution of resources, armed conflicts and social tensions, environmental degradation, dramatic climatic changes.
Interchanging ideas with my younger friends I share with them the need to have the chance to dream and design a different future. This is why I wish us all, not to resign to a world that is not as we wish it. Surely there is something that we may do for others, for humanity and the part of it which lives in every individual, for the Planet which belongs to all, and to which we all belong. Let’s imagine a different future and we will also be able to draw the course toward that horizon. Let’s firmly keep the ethical helmstock of our values and surely we’ll navigate in the right direction. Best wishes! Fair wind (and calm seas) in 2016!

Eduardo

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