di Eduardo Missoni
All’inizio dell’anno per la Presidenza italiana del G8, mi è stato conferito l’incarico di presiedere il gruppo di esperti sanitari dei paesi membri chiamati a metter a punto la “agenda salute” del vertice di Genova.
Ma l’elaborazione della proposta in tema di sanità che la Presidenza italiana ha diffuso in questi giorni ai suoi partner è avvenuta in gran segreto senza alcun coinvolgimento mio, né -per quel che ne so- del Ministero della Sanità ed è infatti in aperta contraddizione con le posizioni che l’Italia ha anche recentemente assunto in seno alla OMS. Non prende in considerazione le obiezioni sollevate all’interno del gruppo degli esperti G8 riunitosi a marzo a Roma sotto la mia presidenza, né quelle provenienti da ampi settori della società civile ed esperti del settore, sulle anticipazioni relative alla costituzione di un Trust Fund presso la Banca Mondiale e l’invito alle grandi multinazionali a contribuire con 500 mila dollari ciascuna, contenute nel documento “Beyond debt relief” elaborato autonomamente dal Ministero del Tesoro e presentato al G7 dei ministri finanziari a Palermo nel febbraio scorso.
In sintesi la proposta della Presidenza italiana al G8 per la costituzione di un “Genova Trust Fund for Health Care”, pur facendo eco ad analoghe elaborazioni di altri paesi (Regno Unito e Canada) ancora soggette a valutazione, rappresenta l’elaborato isolato di alcuni burocrati ministeriali, e non il risultato della collaborazione interistituzionale, dell’approfondimento tecnico e – a mio modo di vedere – di un più aperto confronto con la società civile, dai quali essa sarebbe dovuta emergere.
Quella proposta, è ingannevole e manca di qualsiasi evidenza circa l’adeguatezza rispetto agli obiettivi dichiarati. Presentata dai media (a partire dal Venerdì di Repubblica) come un più che condivisibile appello a destinare più fondi al controllo delle malattie che flagellano l’Africa, nasconde in realtà il mancato rispetto degli impegni da tempo assunti per portare l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo allo 0,7% del PIL (fermo per l’Italia allo 0,15%), favorisce piuttosto le grandi multinazionali del farmaco, limita la partecipazione dei Paesi poveri al processo di decisione globale, delegittima il sistema della Nazioni Unite e promuove il rilancio della Banca Mondiale (e del suo approccio economicista) come gestore della sanità mondiale, trascurando le responsabilità della stessa Banca nell’attuale stato di devastazione delle popolazioni africane.
Stabilire il principio – come fa la proposta della Presidenza italiana – che “chi mette a disposizione i fondi – per esempio una multinazionale che sulla salute ci specula – deve avere la responsabilità del governo” di un Fondo mondiale per la salute, a parte l’evidente conflitto di interessi, equivale a proporre che un mecenate, magari un boss mafioso, che per ipotesi finanziasse una parte delle spese dello Stato, dovrebbe sedere in Consiglio dei Ministri.
Ridurre l’impegno dei G8 in tema di salute alla sola costituzione di un ulteriore Fondo, con un invito alle multinazionali ad un risibile contributo – millesimale rispetto ai profitti e certamente inferiore alle spese necessarie per ottenere un’analoga visibilità attraverso la pubblicità – svilisce il ruolo che l’Italia avrebbe potuto avere in quest’occasione nel promuovere il consolidamento della “agenda salute”. Prima dell’intervento censorio, offensivo ed autoritario della burocrazia di Palazzo, i termini di riferimento proposti suggerivano tra l’altro: di accentuare il ruolo della società civile; di individuare la salute come un fine stesso dello sviluppo e non mero strumento di crescita economica, rivedendo le “ricette” dello sviluppo fin qui imposte ai PVS; di attuare strategie per la riduzione dei prezzi dei farmaci e favorire la produzione locale; promuovere l’accesso universale ai servizi sanitari delle popolazioni nei PVS, attraverso il sostegno allo sviluppo dei loro sistemi sanitari. Ma quel che si vuole è probabilmente un’operazione d’immagine, non la soluzione di problemi la cui complessità richiede ben altro impegno.
Da oltre vent’anni sono impegnato nella promozione dello sviluppo e della salute pubblica, da sempre il mio lavoro si ispira all’etica della responsabilità. Credevo di poter dare un contributo perché l’Italia – almeno in tema di salute – si facesse portavoce tra i G8 di un nuovo approccio allo sviluppo, rischio invece di offrire il paravento della mia credibilità ad un’operazione che per quanto i media possano essere indotti a presentarla come un concorso di solidarietà, va ormai nella direzione opposta. Per questo mi sono dimesso.