"la revolución perdida en el actual régimen de terror y mentira la familia ha deforestado el país indefensos en la globalización" Ernesto Cardenal
Quando la incontrai a Managua nel 1999, Dora Maria Tellez, la ex comandante uno della Rivoluzione sandinista, fu durissima con Daniel Ortega: “Daniel non è uno che si mescola alla gente comune, non lo troverai mai a prendersi un raspado (una granita) per strada; non accetta nemmeno di essere un semplice deputato e di dover aspettare il suo turno per parlare…” “Daniel non può fare a meno del potere”. Anche Sergio Ramirez, lo scrittore ex vice presidente del primo governo rivoluzionario, quando lo visitai, calcò la mano sugli aspetti etici e condannò la direzione caudillista di Daniel Ortega.
Di quelle conversazioni raccontavo nel mio libro “Misa Campesina” che ora esce nella sua terza ristampa. Erano considerazioni profetiche che già delineavano il carattere di Daniel Ortega, loro compagno nell’impresa rivoluzionaria che aveva sconfitto la trentennale dittatura della famiglia Somoza, innescando poi quell’incredibile mobilitazione di solidarietà internazionale nel processo di ricostruzione cui avevo partecipato. La guerra sporca della controrivoluzione finanziata dagli Stati Uniti era riuscita ad interrompere quella esperienza, permettendo che si riaffermassero un governo e politiche neoliberali.
Dopo aver riconquistato la guida del paese nel 2006, mentre metteva in atto un’importante agenda sociale (assistenza sanitaria, educazione, lotta alla povertà), il comandante ha flirtato con la destra e il neoliberismo, ha sedotto gli uomini d’affari aprendo le porte a forti investimenti stranieri.
Ora l’orteguismo – ovvero il regime imposto dalla coppia presidenziale Daniel e sua moglie Rosario Murillo – vorrebbe perpetuarsi a vita con “il terrore e la menzogna”, come ha scritto il poeta Ernesto Cardenal, ex Ministro della cultura del primo governo rivoluzionario.
Eliminate le voci dissenzienti, tra cui proprio quella di Sergio Ramirez, costretto all’esilio, e di Dora Maria Tellez, in carcere, e con avversari solo quelli delle liste civetta (in Nicaragua li chiamano “zancudos”, zanzare, abituati a vivere fuori dal sistema in cambio della partecipazione come comparse) utili a giustificare il processo, le elezioni del 7 novembre scorso sono state un circo dal copione e risultato già scritto: la vittoria degli Ortega che si sono attribuiti con il 75% dei consensi, ma che ha visto l’80% di astensioni (secondo le organizzazioni semiclandestine d’opposizione). Dunque, quarto mandato per l’attuale capo di stato, con la moglie Rosario Murillo che da vice diventa co-presidente.
Paradossalmente, oggi – a quarant’anni dal trionfo della Rivoluzione sandinista – può assumere nuovo significato tornare a leggere il libro, per ritrovare i valori e le speranze di allora e infondere energia nelle nuove generazioni, perché la tristezza possa trasformarsi nuovamente in sorriso “cuando todos regresemos a la Misa Campesina”.