L’OMS e i negoziati per la gestione delle pandemie prossime venture

di Eduardo Missoni

Pubblicato su https://www.assis.it il 29/03/2023

Con la pandemia Covid19 si è tornati a parlare molto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e del suo ruolo di coordinamento e direzione dell’attività di sanità internazionale che la sua Costituzione, un accordo internazionale – e come tale vincolante – tra 194 Stati membri, le attribuisce. Questa accresciuta visibilità dell’OMS ne ha però messo in evidenza anche le debolezze ed in particolare la sua esposizione all’influenza del settore privato e in particolar modo della Fondazione Bill e Melinda Gates che si aggiunge a quella dei suoi principali contribuenti pubblici.

Da sempre, come tutte le Istituzioni Internazionali, l’OMS si è dovuta confrontare con le tensioni proprie della geopolitica. Ad esempio, nel contesto della guerra fredda il blocco socialista guidato dall’Unione Sovietica abbandonò l’organizzazione dal 1949 al 1956, manifestando così il proprio dissenso rispetto alla sua gestione considerata filo-occidentale. Analogamente, ritenendo che l’Organizzazione fosse eccessivamente compiacente verso la Repubblica popolare cinese, il 7 di luglio del 2020 gli Stati Uniti dell’amministrazione Trump sono usciti dall’OMS, salvo rientrarvi dopo l’elezione di Biden alla Presidenza.

Con l’affermarsi del pensiero neoliberale “più Mercato meno Stato” e delle amministrazioni conservatrici del presidente Reagan negli USA e della Signora Thatcher nel Regno Unito, l’OMS – come del resto tutto il sistema delle Nazioni Unite – soffrì il “congelamento” del proprio bilancio regolare, costituito dai contributi obbligatori che tutti i paesi membri devono versare all’organizzazione in ragione della valutazione della loro capacità economica. Da allora il contributo obbligatorio degli Stati è rimasto stabile e il finanziamento dell’OMS è divenuto sempre più dipendente da contributi volontari, o fondi fuori bilancio, versati all’Organizzazione a discrezione dei paesi membri, nonché da donatori privati. Nel 2007 il bilancio generale (regolare + fondi fuori bilancio) era ormai costituito da circa il 20% da contributi obbligatori e 80% da contributi volontari, una proporzione che si è poi mantenuta fino ad oggi.[1]

Si potrebbe osservare che, con poche eccezioni (es. nel biennio 2012-2013)  i fondi a disposizione dell’OMS sono comunque sempre aumentati nel corso degli anni.  Purtroppo per l’OMS contributi obbligatori e volontari non hanno la stessa valenza. I primi infatti sono gestiti in autonomia dall’Organizzazione sulla base delle decisioni prese dal suo organo rappresentativo (tutti i 194 Stati membri) e massimo livello decisionale: l’Assemblea Mondiale della Sanità (AMS). L’utilizzazione dei contributi volontari invece è soggetta in maniera più o meno stringente (indicazioni “specifiche” o “tematiche”) alle priorità e le indicazioni dei donatori, salvo che questi decidano di non assoggettarvi i loro contributi o parte di essi (in questo caso nel gergo delle Nazioni Unite si parla di fondi “core”, che sono assimilabili in quanto all’autonomia di gestione ai contributi obbligatori). Per quanto riguarda i donatori privati i contributi non possono che essere volontari e in genere tutti utilizzati secondo la volontà del donatore. È evidente dunque che attraverso il finanziamento i donatori – pubblici e privati – sono in grado di influenzare fortemente l’attività dell’OMS. Inoltre, i contributi volontari sono imprevedibili e fortemente soggetti fluttuazioni, il ché ne impedisce una programmazione a lungo termine oltre ad obbligare l’Organizzazione ad esercizi aggiuntivi di rendicontazione tecnica e finanziaria e quindi ad uso poco efficiente delle risorse,  per rispondere alle esigenze dei donatori.

Contrariamente a quanto si sente dire in circoli agguerriti, ma a volte superficiali nelle loro affermazioni, l’OMS non è “un’organizzazione privata”, né finanziata prevalentemente da donatori privati. L’OMS è un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite e come tale a stabilire le strategie, approvare il bilancio, eleggere gli organi esecutivi e il Direttore generale sono i suoi Stati membri. Se esaminiamo i dati finanziari dell’ultimo biennio per cui sono disponibili (2020-2021), vediamo che sommando contributi obbligatori e contributi volontari gli Stati membri contribuiscono al 57,4% del bilancio generale. Le fondazioni private (le cosiddette “filantropie globali”) contribuiscono al bilancio generale per l’8,62%, i partenariati pubblico-privati per il 6% e il settore privato commerciale per appena l’1%. La parte restante del bilancio è costituita da contributi del sistema delle Nazioni Unite, altre organizzazioni intergovernative e fondi di sviluppo (pertanto si tratta anche in questo di fondi pubblici), oltre che da una miscellanea di altri piccoli finanziatori.

È comunque preoccupante che il “governo” mondiale della sanità sia fortemente soggetto a interessi privati, ma è chiaro che la responsabilità ce l’hanno gli Stati membri che fomentando ormai da diversi decenni la partecipazione del settore privato alla cosiddetta governance globale, ovvero ai processi formali e informali di decisione, ne hanno consentito una crescente influenza. Nel biennio in esame, la Fondazione Gates è il terzo finanziatore dell’OMS, dopo la Germania – che ha aumentato significativamente i propri contributi per far fronte alla pandemia di Covid19 – e gli Stati Uniti, e da almeno un decennio sempre tra i primi tre (e addirittura il primo nel 2013). La Fondazione Gates ha inoltre un ruolo determinante in pressocché tutti i partenariati pubblico-privati ed in particolare nell’Alleanza GAVI per la vaccinazioni, di cui è stato l’iniziatore e che è a sua volta al quarto posto tra i finanziatori dell’OMS.

L’influenza degli attori privati sull’attività dell’OMS non si esercita però esclusivamente attraverso la leva finanziaria, ma anche attraverso una serie di altre dinamiche che propiziano la “cattura del regolatore” e nel caso specifico delle politiche dell’OMS e più in generale della salute globale. Queste dinamiche includono il controllo dei media, le azioni di lobby su governi e istituzioni, il finanziamento e il controllo della ricerca e le cosiddette “porte girevoli” per cui dirigenti di alto livello del settore privato passano ad occupare posizioni leader nelle istituzioni pubbliche.[2]

La partecipazione del settore privato, come attore alla pari con i governi nella governance dello sviluppo è ormai parte integrante dell’agenda globale (sancita con la Dichiarazione e gli obiettivi del millennio nel 2000 e riaffermata nell’Agenda 2030, obiettivo di sviluppo sostenibile n.17). Quei partenariati pubblico-privati globali, altrimenti noti come iniziative multistakeholder, ovvero governate da molteplici portatori di interessi, hanno di fatto pregiudicato l’autorità delle organizzazioni multilaterali, intergovernative, cui di fatto hanno sottratto finanziamenti, senza generare un significativo apporto di fondi privati. L’Italia per esempio è divenuta uno dei principali finanziatori di partenariati quali l’Alleanza GAVI e il Fondo Globale per la lotta all’Aids, la tubercolosi e la malaria, mentre ha abbandonato l’OMS cui non destina più contributi volontari dal 2015.[3]

Sono ormai lontani gli anni gloriosi tra la fine degli anni 1970 e la prima metà degli anni 1980, quelli della Dichiarazione di Alma-Ata (1978) con cui l’OMS affrontava l’obiettivo della “Salute per tutti entro l’anno 2000” con l’approccio intersettoriale e comunitario delle cure primarie per la salute;  del tentativo di regolamentazione della commercializzazione dei succedanei del latte materno, il latte artificiale indicato come “baby-killer” per il suo spaventoso contributo alla mortalità infantile nei paesi più poveri; del programma dei farmaci essenziali, visto con fastidio dalle imprese farmaceutiche, e le altre iniziative che schieravano l’OMS nettamente a difesa del diritto alla salute. Nel dimenticatoio anche le iniziative che nel trentennale di Alma-Ata per un breve periodo riportarono l’accento sui determinanti sociali della salute. Vi poneva l’accento il rapporto della specifica Commissione dell’OMS,[4] nonché il Rapporto sulla salute mondiale 2008 che puntava al rilancio delle cure primarie, condannando la pervasiva commercializzazione e una sanità “ospedalocentrica”, nonché il distanziamento dai bisogni primari delle persone.[5]

Ormai l’OMS appare nuovamente centrata su di un approccio bio-medico, cui BigPharma è sensibile, e poco attenta ai determinanti sociali, economici, ambientali della salute che implicherebbero, ad esempio, politiche di ridimensionamento dei consumi che certamente troverebbe la fiera opposizione delle forze di mercato.

In questo contesto, l’OMS non ha perduto solo rilevanza sul piano delle attività sanitarie globali, un tempo punto di riferimento per le politiche di sanità pubblica, gli standard sanitari, l’informazione tecnica e scientifica, con la sua apertura alle forze di mercato e condizionata da finanziamenti privati, ha perduto credibilità.

Anche nella maggiore iniziativa multistakeholder lanciata per lo sviluppo di strumenti per far fronte alla pandemia Covid19 – Access to Covid Tool Accelerator, ACT-A – l’OMS è tra i partecipanti ma non ha un ruolo guida, piuttosto è lì per giustificare le scelte di altri attori, a guida privata o pubblico-privata, con la solita “filantropia globale” tra i principali influencer.  Non sorprende che anche quell’iniziativa sia stata diretta alla produzione e distribuzione di vaccini, riservando minima attenzione a diagnostica e farmaci, per non parlare della componente per il rafforzamento dei sistemi sanitari.

Constatata la debole e incerta gestione della pandemia, nonché l’assenza di leadership da parte dell’OMS, l’Assemblea Mondiale della Sanità convocata in sessione speciale nel novembre del 2021 ha deciso di intraprendere un processo di revisione degli strumenti di prevenzione, la preparazione e risposta alle pandemie. Un percorso che si regge su due gambe, che si muovono indipendentemente l’una dall’altra e non è affatto chiaro come potranno muoversi in maniera coordinata in futuro se entrambi gli strumenti in discussione dovessero essere adottati. Da un lato un organo intergovernativo (Intergovernmental Negotiating Body, INB) sta negoziando un “Trattato/accordo pandemico” che laddove lo si giunga a varare (obiettivo maggio 2024), alla sua entrata in vigore l’accordo diverrebbe vincolante per tutti gli stati membri che lo abbiano ratificato.

Anche in questo caso, molte organizzazioni della società civile temono una deriva multistakeholder. La preoccupazione deriva dal fatto che “la bozza zero [del futuro Trattato, n.d.r.] non fornisce salvaguardie che sono fondamentali per definire gli standard di responsabilità e gli strumenti di monitoraggio rispetto al ruolo del settore privato”.  Per quelle organizzazioni è rischioso invitare il settore privato al tavolo per aiutare il mondo a prevenire, prepararsi e rispondere alle future pandemie “considerando come la crisi del COVID-19 sia stata usata dagli attori privati per tenere in ostaggio i diritti alla salute delle persone per espandere i profitti, accaparrarsi le proprietà intellettuali e monopolizzare i mercati”.

Amnesty international, il Global Initiative for Economic, Social and Cultural Rights (GI-ESCR), Human Rights Watch (HRW) e l’International Commission of Jurists (ICJ) hanno invece espresso una seria preoccupazione per i diritti umani che non trovano adeguato riscontro nei negoziati in corso intorno al trattato pandemico.

Parallelamente all’accordo pandemico si sta elaborando una nuova edizione dei Regolamenti di sanità internazionale del 2005 (RSI 2005). Uno strumento ugualmente vincolante per gli stati membri le cui modifiche dovrebbero essere approvate – in base all’attuale tabella di marcia – a maggioranza semplice nel maggio 2024 dalla 77ma Assemblea Mondiale della Sanità (AMS). In quel caso, i nuovi RSI entreranno in vigore entro 12 mesi per tutti gli Stati membri dell’OMS, a meno che uno Stato non presenti un rifiuto o riserve entro un periodo di 10 mesi.

In effetti, è piuttosto ambigua la relazione tra i due strumenti, che presenterebbero sovrapposizioni sostanziali in quasi tutte le aree regolamentate. Né si spiega perché l’OMS e i suoi Stati membri stiano impiegando risorse per negoziare parallelamente due strumenti internazionali con portata e contenuti sovrapposti.

Tra i più di 300 emendamenti agli attuali RSI proposti da sedici stati membri dell’OMS, attualmente all’esame di uno specifico gruppo di lavoro (Working Group on International health Regulations, WGIHR), ce ne sono alcuni che possono destare le preoccupazioni di “cessione di sovranità” cui si riferiscono alcune informazioni riportate in diversi organi di stampa e molte reti sociali, tacciate come “fake news” dal direttore generale della OMS. Seppur spesso imprecise e riferite con toni scandalistici, quelle preoccupazioni non sono del tutto infondate.

Infatti, nella revisione degli RSI, tra le definizioni (art. 1) si propone di cancellare il “non vincolanti” che attualmente delimita il peso delle raccomandazioni dell’OMS. A puro titolo di esempio del possibile assoggettamento degli Stati alle “raccomandazioni” dell’OMS si potrebbe citare la proposta di un nuovo articolo (13A “WHO Led International Public Health Response”) per cui gli Stati “s’impegnano a seguire le raccomandazioni dell’OMS nella loro risposta sanitaria”. Così come l’obbligo che gli Stati assumerebbero, di aumentare – su richiesta dell’OMS – la produzione di prodotti sanitari (includendo “farmaci, vaccini, dispositivi medici, diagnostici, prodotti di assistenza, terapie basate su cellule e geni e altre tecnologie sanitarie“) e di “assicurare che i fabbricanti sul loro territorio forniscano le richieste quantità di prodotti all’OMS e ad altri Stati secondo le istruzioni dell’OMS”.

Su di un altro piano destano preoccupazione gli emendamenti che cancellerebbero tra i principi degli RSI (emendamenti all’art. 3) “la dignità, i diritti umani e le fondamentali libertà delle persone” per sostituirli con generici principi di “equità, inclusività, coerenza”, o quelli che puntano ad accrescere il controllo sull’informazione (emendamenti all’art. 44) per il quale l’OMS e gli Stati si impegnerebbero a collaborare per “contrastare la disseminazione di informazione falsa o poco affidabile” nei media e nelle reti sociali, evidentemente arrogandosi il diritto di censura che, come dovrebbe essere evidente, è stato sistematicamente esercitato a tutti i livelli anche con accordi dell’OMS con le maggiori piattaforme e reti sociali – nel corso della pandemia Covid19. Un preoccupante impegno degli Stati al controllo dell’informazione previsto anche all’art. 17 della “bozza zero” dell’accordo pandemico.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha il mandato di coordinare e dirigere l’attività di sanità internazionale, e la sua costituzione l’ha dotata dei poteri necessari per farlo, ma la deriva che l’OMS ha subito con il crescente finanziamento dei privati, e la sua progressiva “cattura” da parte di questi, suggerisce estrema cautela nel dotare il suo segretariato e il suo DG di poteri aggiuntivi. Benché il DG dell’OMS anche nella conferenza stampa del 23 marzo si è detto aperto al dialogo sul tema degli strumenti in discussione, purtroppo le consultazioni con la società civile appaiono per lo più di facciata. È evidente che l’OMS oggi è più sensibile ai poteri forti, siano questi di ordine geopolitico o economico.


[1] Missoni, E., Pacileo, G. “Elementi di salute globale. Globalizzazione, politiche sanitarie e salute umana” (2° ed.), Franco Angeli 2016.
[2] Matteucci, N. e Missoni , E. Strategie di cattura e governance multistakeholder: il caso dell’OMS. In: Elisa Lello e Nicolò Bertuzzi (a cura di) “Dissenso informato. Pandemia: il dibattito mancato e le alternative possibili”, Castelvecchi, 2022, pp. 151-166.
[3] Dentico, N. e Missoni, E. “Geopolitica della salute. Covid-19, OMS e la sfida pandemica. Rubbettino 2021
[4] Closing the gap in a generation: health equity through action on the social determinants of health, WHO 2008.
[5] The world health report 2008 : primary health care now more than ever. WHO 2008.

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