Il Fuoco dello Scautismo Italiano

Credo nella fondamentale importanza di un Movimento Scout e Guide unito a livello mondiale capace davvero di costruire un mondo migliore, almeno “un po’ migliore di come lo abbiamo trovato”.

Come sa chi mi segue anche solo occasionalmente sulle reti sociali sul tema della pedagogia e dell’organizzazione dello Scautismo ho riflettuto con il mio amico e fratello Scout Dominique Bénard, trasferendo poi i risultati di quella riflessione nel libro Dialogo sullo Scautismo. Pedagogia e Organizzazione.

Parte di quella riflessione faceva riferimento alla frammentazione del Movimento Scout, in molti paesi come a livello mondiale.

Oggi in Italia esistono almeno un centinaio di associazioni Scout, persino con diversi riferimenti a livello internazionale; a volte sembra difficile riconoscere che si tratti di un solo Movimento. Questi innumerevoli frammenti sono impegnati ad affermare e caratterizzare ognuno la propria forma, piuttosto che la sostanza che le unisce.

Al contrario,valorizzare la diversità, nella costruzione di un Movimento unitario non può che tradursi in un vicendevole arricchimento, invece di accentuare la divisione.

Si sente forte la necessità di una iniziativa che vada in quella direzione.

Con un gruppo di sorelle e fratelli Scout che, indipendentemente dalla loro provenienza associativa, attraverso la Promessa e la Legge Scout si riconoscono parte di un solo grande Movimento educativo mondiale, interculturale, interconfessionale e intergenerazionale, ci siamo impegnati ad avviare, a livello nazionale, lo sviluppo di un nuovo modello organizzativo in grado di realizzare e garantire nel tempo l’unità dello Scautismo e superando l’attuale frammentazione.

Un nuovo modello operativo che, nella condivisione dei valori e del Metodo Scout, incoraggi e favorisca l’unità nel rispetto della libertà di espressione di ciascuno e delle scelte rispondenti al proprio contesto locale e alla propria comunità di appartenenza.

Per costruire un simile modello proponiamo di ritrovarci intorno ad un ideale Fuoco dello Scautismo italiano, un cerchio ideale in cui ritrovarci come sorelle e fratelli Scout che come tali dialogano e si esprimono non solo rispettando le differenze culturali, religiose, locali, ma disposti ad imparare gli uni dagli altri, in atteggiamento di sincero ed attivo ascolto di esperienze e punti di vista diversi. Un dialogo costruttivo fondato sul riconoscimento di pari dignità; su processi decisionali che coinvolgano in modo appropiato giovani adulti e anziani “giovani” di tutte le età; sulla partecipazione attiva e cooperativa per la costruzione condivisa delle soluzioni ed il rispetto delle minoranze.

Immaginiamo un Movimento Scout indipendente da ogni condizionamento da parte di forze economiche e ideologie politiche o religiose, impegnato piuttosto nella costruzione della pacifica convivenza tra i popoli e l’armonia con la Natura e il Pianeta.

Crediamo che un “mondo migliore” può derivare solo da uno slancio ideale e da un’azione costante. Uno sforzo ispirato ai valori e all’etica Scout, a cui ci siamo impegnati con la Promessa, ma che deve tradursi progressivamente – attraverso il gioco, l’avventura e il servizio – in una consapevolezza adulta e in un confronto individuale e collettivo con le sfide della vita e del mondo.

Ecco dunque la proposta: un primo appuntamento il 23, 24 e 25 maggio 2025 per accendere insieme il Fuoco dello Scautismo italiano, e avviare un processo che speriamo ci permetta di fare molta Strada insieme, parafrasando B.-P., per ricostruire l’idea, l’ideale e il Movimento ed evitare che resti solo un’organizzazione, o peggio un puzzle di decine o centinaia di organizzazioni. Per amggiori informazioni e partecipare clicca QUI

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OMS e la sfida pandemica: Quanta fretta, ma dove corri dove vai?!

Come ho più volte sottolineato, anche nel mio più recente intervento pubblico nel corso dell’evento organizzato a Roma dalla Commissione Medico-Scientifica Indipendente, la principale ragione per non fidarsi dell’OMS – in particolare per quanto riguarda le indicazioni per la gestione delle pandemie –  è la “cattura” di quella organizzazione da parte di attori e interessi privati, attraverso meccanismi complessi ma ben studiati, secondo un approccio “multistakeholder”, che insiste sul coinvolgimento degli attori privati nella governance della sanità pubblica e più in generale delle politiche globali.

Sotto la spinta di Big Pharma e di filantrocapitalisti ad essa strettamente collegati, da anni assistiamo ad una crescente tendenza dell’OMS, ad un approccio mercificato e centralizzato nella risposta alle epidemie, che sembra aver perso di vista ogni enfasi sui determinanti della salute, le cure primarie e la partecipazione comunitaria che hanno caratterizato gli anni d’oro di quella Organizzazione.

Dagli anni 1980 il bilancio regolare dell’OMS (formato dai contributi obbligatori degli Stati Membri) è congelato; ormai, priorità e funzionamento dell’Organizzazione sono determinati in massima parte dagli obiettivi cui attori pubblici e privati vincolano i propri contributi volontari. Anche questi sono ancora in massima parte di origine governativa o intergovernativa, e quindi costituiti da fondi pubblici, cionondimeno costituiscono uno dei principali, visibili e quantificabili, strumenti di “cattura” dell’OMS da parte di poche entità private, prima fra tutte la Fondazione Bill e Melinda Gates, seconda solo agli Stati Uniti d’America in quanto a finanziamento dell’OMS. Gli altri strumenti di “cattura” sono meno visibili, ma sistemici: controllo della ricerca, influenza sulle risorse umane, controllo dei media, sostegno a iniziative multistakeholder che marginalizzano l’OMS, lobby a tutti i livelli; senza parlare di meno visibili dinamiche corruttive.

Ora l’OMS sembra molto preoccupata di assicurare che la prossima Assemblea Mondiale della Sanità (27 maggio – 1 giugno) approvi un nuovo “Trattato pandemico”  e un pacchetto di emendamenti ai vigenti Regolamenti di Sanità Internazionale  (RSI 2005), senza peraltro che i testi da approvare siano ancora disponibili in versione finale. Già questo, infrange le regole vincolanti previste dagli RSI 2005, che all’articolo 55 prevede che “Il testo di ogni proposta di emendamento dovrà essere comunicato a tutti gli Stati Parte dal Direttore Generale almeno quattro mesi prima dell’Assemblea della Salute in cui viene posto in discussione.”

Anche pensare di far approvare un qualsiasi accordo internazionale senza averlo presentato con debito anticipo agli Stati membri è quanto meno un’eresia nell’ambito dei procedimenti internazionali. Ricordo come praticamente ad ogni riunione dell’OMS i delegati protestavano per lo scarso anticipo con cui alcuni documenti erano stati fatti circolare. E si trattava spesso di documenti tecnici di limitata rilevanza se confrontati con quelli oggetto di questa analisi!.   

Il testo emendato dei RSI è apparso in rete solo il 17 aprile u.s. (A/WGIHR/8 ), per la prima volta dal 6 febbraio del 2023, dopo quattordici mesi di negoziati a porte sostanzialmente chiuse.  L’ultima bozza del Trattato pandemico è circolata il 22 aprile (A/INB/9/3 Rev.1). In entrambi i casi sembrerebbe che molti dei punti critici che con la CMSI avevamo evidenziato in ottobre siano stati rivisti. Purtuttavia, an accurata analisi delle nuove versioni dei documenti suggerisce ancora l’inopportunità di una loro affrettata approvazione; non c’è nessuna ragione che obblighi ad approvarli alla prossima Assemblea Mondiale, se non la ricerca di visibilità politica di un “evento storico” e la probabile pressione di interessi diversi.

Quindi il primo motivo per rigettare entrambi gli strumenti è proprio quella pressione esercitata su governi e opinione pubblica per una loro affrettata approvazione di fronte alla persistente mancanza di consenso tra i negoziatori e la scarsa definizione di diversi aspetti, in effetti rimandata a future decisioni a Trattato approvato (“la gatta frettolosa fa i gattini ciechi”, recita un antico proverbio).

Il Trattato pandemico

A scanso di equivoci, è bene ricordare che la proposta di un Trattato pandemico, non viene dal segretariato dell’OMS o dal suo Direttore Generale, ma fu avanzata per la prima volta dal Presidente della Commissione Europea, Charles Michel, nel 2020 e integrata nella successiva dichiarazione dei leader del Gruppo dei 7 del 19 febbraio 2021, e finalmente tradotta nell’impegno assunto dal Consiglio dell’UE a lavorare su un trattato internazionale sulle pandemie nel quadro dell’OMS.

Come noi, diversi autori insistono da tempo sulla sua inutilità in assenza di un vuoto giuridico che lo giustifichi. Infatti esistono i RSI 2005, che sono uno strumento parimenti vincolante, il cui perfezionamento potrebbe essere giustificato se basato su di un’analisi imparziale sulle prove, punto per punto,  di cosa non ha funzionato fin qui (ma il processo attuale segue altre logiche e comunque i tempi non sono maturi).

Il Trattato, costituirebbe uno strumento del tutto nuovo, di complessa attuazione: con l’istituzione di nuovi e costosi organi di direzione (Conferenza delle Parti, COP) e organi sussidiari (art. 21); un aggravio di burocrazia, funzioni e costi della stessa OMS che funzionerebbe da segretariato (art.24), con nuovi meccanismi finanziari, tutti da definire in seguito (art.20); un ripetuto richiamo al coinvolgimento di molteplici stakeholders, che non è difficile identificare principalmente nell’industria, anche per l’insistenza del testo del Trattato sui prodotti pandemici  e il loro sviluppo, produzione e distribuzione.

Sotto la bandiera della “alfabetizzazione scientifica, sanitaria e pandemica” e sull’accesso a “informazioni trasparenti, accurate, basate sulla scienza e sulle prove” che  le Parti dovranno rafforzare (art. 18), si può nascondere ancora il desiderio di censura di qualsiasi espressione di dissenso o di prove che mettano in discussione la narrativa ufficiale.

Ma al tavolo del negoziato questi aspetti sembrano non preoccupare. Piuttosto, le principali controversie ruotano ancora attorno al tema dell’equità nella distribuzione di costi e benefici tra i paesi ad alto reddito e i paesi più poveri. In particolare riguardo all’accesso agli agenti patogeni isolati nei Paesi; l’accesso ai prodotti pandemici, come i vaccini prodotti a partire dalle sequenze genetiche di quei patogeni; la distribuzione equa non solo di test, trattamenti e vaccini contro la pandemia, ma anche dei mezzi per produrli e quindi i finanziamenti. Ma la trattazione di alcuni di quei temi controversi – in particolare le modalità di funzionamento di un nuovo sistema OMS di accesso agli agenti patogeni e ai benefici che ne derivino (Pathogen Access and Benefit-Sharing System, PABS) – viene peraltro rimandata momenti successivi all’approvazione del Trattato (al 2026) (art. 12). Allo stesso modo per la definizione delle modalità operative dell’approccio Una Salute (One Health) si rimanda alla elaborazione di uno strumento che si colleghi alle prescrizioni dei RSI e dovrebbe divenire operativo nel 2026 (art. 5).

Per allontanare i dubbi, sollevati da più parti, circa la possibilità che il Trattato avesse lo scopo di sottrarre sovranità sanitaria agli Stati per conferirla alla OMS i negoziatori si sono premurati di inserire nel testo la frase: “Nessuna disposizione dell’Accordo OMS sulle pandemie deve essere interpretata nel senso di conferire al Segretariato dell’OMS, compreso il Direttore Generale dell’OMS, l’autorità di dirigere, ordinare, modificare o prescrivere in altro modo le leggi o le politiche nazionali e/o domestiche, a seconda dei casi, di qualsiasi Parte, o di imporre alle Parti l’obbligo di intraprendere azioni specifiche, come ad esempio vietare o accettare i viaggiatori, imporre mandati di vaccinazione o misure terapeutiche o diagnostiche o attuare misure di lock down.” (art. 24).

In realtà, invece di rafforzare l’OMS – che invece mantiene la responsabilità dell’attuazione dei RSI –  il Trattato aumenterebbe la frammentazione dell’azione di preparazione e risposta alle pandemie, in un quadro di governance globale della sanità già di per sé estremamente  frammentato.

Gli emendamenti ai RSI 2005

Ma veniamo alle ragioni per cui anche l’attuale proposta di emendamenti ai RSI 2005 dovrebbe essere rigettata. Il primo motivo è ancora l’ingiustificabile fretta per approvare uno strumento ancora in discussione, e la già ricordata intenzione di presentarlo mediante un sotterfugio in violazione della già citata norma di quegli stessi Regolamenti che ne prevede la presentazione con quattro mesi di anticipo (art.55).

Anche in questo caso i passaggi che avevano destato maggiore preoccupazione sono stati rimossi o modificati con la probabile intenzione di renderli più digeribili agli osservatori più critici. Ad esempio è stato rimosso l’emendamento che cassando il “non vincolanti” voleva rendere obbligatoria l’esecuzione delle raccomandazioni dell’OMS (una contraddizione in termini, peraltro) (art. 1). Allo stesso modo è stato cancellato quell’oltraggioso emendamento che pretendeva di cassare nei principi il riferimento al “pieno rispetto della dignità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali delle persone” aggiungendo piuttosto il richiamo ad un condivisibile dovere di “equità e solidarietà tra gli Stati” (art. 3). Vale la pena ricordare che per la Repubblica Italiana la solidarietà è un “inderogabile dovere” (art. 2 della Costituzione).

Tra le nostre osservazioni alla vecchia bozza sottolineavamo il pericolo della sostituzione di “organizzazioni intergovernative” tra i destinatari delle informazioni dell’OMS con un più generico “organizzazioni internazionali”, motivando la nostra obiezione con la genericità del termine che potrebbe includere organizzazioni private (filantropie globali, ONG internazionali, organizzazioni pubblico-private), che non sono firmatarie, né direttamente soggette ai RSI. Purtroppo la preoccupazione rimane: “organizzazioni intergovernative” è stata sostituita con “enti internazionali”, che si presta ugualmente a varie interpretazioni, sempre nell’ottica di quel deleterio multistakeholderismo che si vorrebbe come nuova forma di governance globale.

Anche gli emendamenti all’art 13 che prevedevano più stringenti condizioni di cessione di sovranità degli Stati membri, sono stati in gran parte eliminati. Però quello che era un “dovrebbero” (should)  rimane comunque emendato in un “devono” (shall) e quindi nell’obbligo degli Stati Membri di fornire, su richiesta dell’OMS “supporto alle attività di risposta coordinate dall’OMS” e ciò “nella massima misura possibile nell’ambito dei mezzi e delle risorse a loro disposizione” (par. 5, art.13). Aspetto che viene ripreso poco più avanti (par.7, art. 13)  dove si richiama il “dovere” degli Stati Parte, su richiesta di altri Stati Parte o dell’OMS, di “collaborare tra loro e sostenere le attività di risposta coordinate dall’OMS” “nella maggior misura possibile, in base alle leggi nazionali e alle risorse disponibili.

Molto attenuati, ma non scomparsi (sistemati nell’Annesso 1) i richiami alla necessità di rafforzare a diversi livelli (nazionale, intermedio e locale) le capacità degli Stati Parte ivi incluso per “contrastare la cattiva informazione e la disinformazione”.

La facilitazione dell’accesso ai “prodotti sanitari” (nel Trattato si parla di prodotti “pandemici”, ma i RSI sono nati per far fronte a ogni tipo di emergenza sanitaria – anche, per esempio, derivante da conflitti o disastri nucleari – e quindi il termine usato è necessariamente più inclusivo) si ritrova inserito in più punti della proposta di emendamenti. Tale accesso – che poi significa favorire lo sviluppo, acquisto e distribuzione dei prodotti – dovrebbe prevedere meccanismi coordinati dall’OMS (art. 44). Ma sappiamo, dall’esperienza della pandemia Covid 19, come quel ruolo sia stato del tutto secondario, con meccanismi (per esempio COVAX) diretti da organizzazioni pubblico-private come l’Alleanza GAVI e la CEPI, a loro volta fortemente influenzate dal settore commerciale e dai soliti filantrocapitalisti.

Per quanto riguarda infine il sostegno finanziario alle attività di preparazione e risposta alle emergenze sanitarie, un articolato emendamento indica il dovere degli stati Parte di mobilitare risorse anche attraverso “i meccanismi di finanziamento bilaterali, subregionali, regionali e multilaterali esistenti e futuri”; in particolare “attraverso meccanismi di coordinamento e/o di finanziamento che potranno essere stabiliti in futuri Accordi Internazionali relativi alla prevenzione, alla preparazione e alla risposta alle pandemie” (art.44). Si tratta di fatto del collegamento con il Trattato pandemico, e a meccanismi finanziari la cui definizione è stata rimandata a momenti successivi all’approvazione del Trattato.

Perché dunque tanta fretta? Meglio fermarsi a riflettere. D’altra parte non sono gli strumenti vincolanti già a disposizione – in particolare i RSI 2005 – che non hanno funzionato nel far fronte alla pandemia Covid 19. Piuttosto è mancato il rispetto delle regole che i RSI sanciscono e sono prevalse le regole degli interessi geopolitici e quelli privati a tutti i livelli del sistema globale.

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Dialogo sullo scautismo. Pedagogia e organizzazione

Con Dominique Bénard, possiamo annunciare con orgoglio la pubblicazione del nostro libro “Dialoghi sullo scoutismo” ora anche in italiano! (seguiranno oltre alla versione elettronica, anche le versioni in lingua francese e spagnolo).

L’idea del libro è nata durante un’escursione nelle Alpi dello Chablais, vicino a dove Dominique vive nelle Alpi francesi. Abbiamo discusso dei pochi riferimenti al Metodo Scout nei libri di pedagogia e della relativa mancanza di conoscenza e interazione con altri metodi pedagogici nello scautismo. Partendo da questa conversazione e da ulteriori riflessioni sul contesto organizzativo dello scautismo e su come le organizzazioni possano servire meglio la loro missione e i valori su cui sono state fondate, abbiamo intrapreso un dialogo scritto sulla nostra esperienza scout e sul suo impatto sul nostro sviluppo personale e professionale. In seguito abbiamo deciso di organizzare queste riflessioni in un libro.

Potete ordinare il libro qui

Attendiamo i vostri commenti e speriamo in una vivace discussione in molti gruppi Scout e Associazioni Scout nazionali.

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La Convenzione Quadro sul Controllo del Tabacco (FCTC) a confronto con i negoziati per un Accordo Pandemico e gli emendamenti ai Regolamenti Sanitari Internazionali

Il 13 febbraio 1954 il governo britannico  annunciava la relazione causale tra il fumo di tabacco e il cancro. Con i loro studi, i ricercatori Doll e Hill avevano già provato la causalità due anni prima.

(Immagine: “Everyone Waiting On Me” by ipressthis)

L’industria del tabacco però reagì con ogni mezzo per non perdere i crescenti profitti di quel mercato. Con la “Dichiarazione di Frank ai fumatori di sigarette”, le aziende statunitensi del tabacco negavano il legame con il cancro: “Crediamo che i prodotti che produciamo non siano dannosi per la salute”. “Non c’è alcuna prova che il fumo di sigaretta sia una delle cause”. Tuttavia, le aziende produttrici di tabacco sapevano già dalla metà degli anni ’50 che i loro prodotti erano collegati al cancro e creavano dipendenza. Ancora nel 1964 l’industria continuava  a negare pubblicamente i danni delle sigarette. La posizione di Philip Morris nel 1964 era: “Non accettiamo l’idea che il tabacco contenga agenti nocivi”.

Quando all’inizio degli anni 2000 l’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) lanciò i negoziati per giungere all’accordo internazionale conosciuto come Convenzione Quadro sul Controllo del Tabacco (FCTC) l’industria transnazionale del tabacco fece di tutto per impedirne l’approvazione. Finalmente nel maggio del 2003 la FCTC fu approvata dall’Assemblea Mondiale della Sanità, grazie ad una vasta alleanza tra OMS e organizzazioni della società civile e molti paesi del Sud del mondo. La Convenzione entrò in vigore nel febbraio 2005 quando venne raggiunto il numero previsto di 40 ratifiche da parte degli Stati membri. A tutt’oggi gli Stati Uniti sono tra i pochissimi paesi che non hanno ratificato l’accordo.

La FCTC rimane per il momento l’unico esempio di accordo internazionale in applicazione degli articoli 19 e 20  della Costituzione dell’OMS.

Come è noto però presso l’OMS si sta negoziando un nuovo Trattato internazionale cui per il momento ci si riferisce come “Accordo Pandemico” e dovrebbe essere presentato in maggio alla prossima Assemblea mondiale della Sanità. Per essere approvato sarà necessaria una maggioranza qualificata di 2/3 dei voti dei 194 Stati membri. In seguito ad un eventuale approvazione anche quell’accordo potrà entrare in vigore solo una volta raggiunto un numero sufficiente di ratifiche e sarà vincolante solo per gli Stati che l’avranno ratificato (approvato dai rispettivi organi legislativi). Ha ragione dunque il Direttore generale dell’OMS, Tedros Ghebreiesus, quando dice che l’accordo pandemico non porterà ad alcuna cessione di sovranità all’OMS da parte degli Stati e che quella tesi è solo il frutto di una “litania di bugie e teorie cospirative”?  

Si, ha ragione affermando che sono gli Stati che stanno negoziando e che dovranno approvare l’accordo; sono gli Stati che se vorranno lo ratificheranno. Ma, i giochi non sono ancora conclusi, e sono gli Stati che potrebbero ancora decidere di trasferire maggiori responsabilità all’OMS. Sotto la pressione di potenti lobby, infatti, molti Stati sembrano rispondere al desiderio di controllo globale del capitalismo neoliberale in nome della biosicurezza che, guarda caso, si assicurerebbe con la produzione di biotecnologie innovative (li chiamano prodotti pandemici). Quei prodotti che dovranno essere resi accessibili universalmente – in nome dell’equità –  comprandoli a caro prezzo, a pagamento anticipato, e in quantità superiori alle quantità considerate necessarie  (come abbiamo già visto durante la pandemia di Covid-19) da quelle stesse industrie che sugli Stati esercitano pressioni, ma nei contratti si assicurano l’immunità di fronte ad ogni possibile conseguenza della loro somministrazione. Poche parole invece, e per lo più di convenienza, sulla necessità di rafforzare i servizi sanitari, che grazie a quelle stesse forze del capitalismo neoliberale sono stati progressivamente definanziati e privatizzati a beneficio dei soliti noti, e la cui debolezza è stata una delle principali cause della elevata mortalità da Covid-19.

Quel che è certo è che non c’è un vuoto giuridico da colmare che giustifichi un nuovo trattato. Infatti, esistono i Regolamenti Sanitari Internazionali 2005 (RSI 2005), uno strumento vincolante al pari di un Trattato. Prima di impegnarsi in un nuovo strumento legale o nella modifica di quello esistente, che fornisca all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nuove o più ampie responsabilità e agli Stati membri nuovi obblighi, dovrebbe essere analizzata attraverso un’indagine internazionale e indipendente l’intera gestione della pandemia dell’OMS (2020-2023) che presenta molti lati oscuri, per non parlare di quella di altre istituzioni internazionali o sovranazionali, come quella della Commissione in nome e per conto dell’Unione Europea.

È altresì certo che, oltre ad essere inutile, un nuovo Trattato introdurrebbe ulteriori processi e burocrazia, come la Conferenza delle Parti, il Segretariato, i sottocomitati, le reti o partenariati, ecc. e i relativi costi e oneri per la/e istituzione/i internazionale/i che fungerebbero da Segretariato (il testo attuale fa riferimento solo all’OMS, in precedenti bozze si ipotizzava il coinvolgimento di altre agenzie delle Nazioni Unite, es. FAO e UNEP).

Ma tornando a Tedros, forse è lui che non dice come stanno davvero le cose. Facendo per lo più riferimento al solo Accordo pandemico, evita di menzionare il negoziato che ancor più segretamente va avanti in parallelo: quello riguardante gli emendamenti ai Regolamenti Sanitari Internazionali (RSI 2005) che potrebbero essere approvati in sordina dall’Assemblea Mondiale della Sanità (AMS), con una maggioranza semplice e possibilmente senza nemmeno ricorrere alla votazione se si giungesse a procedere per consenso, come à abituale nel sistema delle Nazioni Unite. Una volta approvati dall’AMS, quegli emendamenti diverrebbero vincolanti per tutti gli Stati Membri ad eccezione di quelli che formalmente li rigettino entro 10 mesi dall’approvazione. Anche qui tutto procede in estrema segretezza.

Come si può vedere, una bella differenza con il processo che 20 anni fa portò al varo dell’FCTC, l’accordo internazionale contro il tabacco e gli interessi di quell’industria. Questa volta invece di promuovere un ampio coinvolgimento della società civile, i negoziati si svolgono per lo più in segreto. I resoconti delle riunioni non riportano con precisione gli accordi raggiunti su ciascun articolo degli strumenti in discussione. È stato persino trovato un escamotage evitare di trasmettere ai governi il testo finale con l’anticipo di quattro mesi previsti dall’articolo 55 dei RSI 2005 (vigenti).

L’OMS un tempo affidabile e in alcune occasioni – come per esempio sotto la direzione di Hafdan Mahler – anche capace di contrastare le pressioni degli Stati membri più potenti, che da sempre ne hanno determinato le sorti, oggi cede non solo agli Stati più influenti, ma alle poderose forze del Mercato dai cui contributi in buona parte dipende ed è altrimenti catturata.

Dal multilateralismo che, con tutti i possibili difetti, consentiva un confronto tra governi più o meno rappresentativi dei loro popoli, siamo giunto alla sfrenata e costante riproposizione del multistakeholderismo, ovvero della legitimazione del coinvolgimneto nella governance globale delle società transnazionali, l’affermazione di quel capitalismo multistakeholder tanto caro al patron di Davos e del Foro Economico Mondiale.

Il rischio non è la cessione di sovranità alla OMS, ma la cessione dei diritti umani fondamentali al settore privato. Ecco perché si temono le voci libere. Ecco perché fin dall’inizio della pandemia di Covid-19 l’OMS ha collaborato con aziende di ricerca e media come Facebook, Google, Pinterest, Tencent, Twitter, TikTok, YouTube e altri per contrastare la diffusione di informazioni non allineate.

Dichiarazione universale dei diritti umani – Articolo 19

Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.

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La “cattura” dell’OMS: l’uso dei fondi. L’attenzione alla sicurezza sanitaria contrasta con il carico globale di malattia

di Eduardo Missoni

In marzo illustrai i contenuti noti dei negoziati in corso in merito a un Accordo Pandemico e emendamenti ai Regolamenti di Sanità Internazionale (2005) e la possibilità che conducano ad un significativo trasferimento di poteri ad una Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) da tempo “catturata” da interessi politici ed economici certamente diversi da quelli della salute pubblica. Più recentemente, ho cercato di chiarire come viene finanziata l’OMS utilizzando i dati più recenti (novembre 2023) pubblicati da quell’organizzazione.

Ora sul portale del bilancio della OMS i dati sono stati aggiornati al dicembre 2023, ed è quindi possibile avere un’idea complessiva del bilancio consuntivo del biennio (2022-2023) che dovrà essere approvato dall’Assemblea Mondiale a maggio. Però non tornerò sull’analisi dei contributi obbligatori e volontari e il peso dei contribuenti pubblici e privati, perché in sostanza i dati dell’ultimo mese non hanno modificato la situazione.  Mi ero ripromesso invece di analizzare più da vicino come vengono utilizzati i fondi dell’OMS, in particolare la rilevanza delle destinazione rispetto al panorama epidemiologico globale e quello che viene definito “carico globale di malattia”, ovvero le principali cause di malattia e mortalità nel mondo. Questo è l’obbiettivo di questo nuovo scritto.

Considerando che i bienni 2020-2021 e 2022-2023 sono stati fortemente condizionati dall’evento eccezionale della pandemia Covid-19 e che la struttura del bilancio dell’OMS è stata modificata (nel 2020) non consentendo un’agile collegamento tra uso dei fondi e condizioni patologiche, credo sia conveniente dedicare maggiore attenzione al biennio immediatamente precedente e quindi dai dati di morbosità e mortalità disponibili nel 2019 e alla destinazione dei fondi  OMS nel biennio corrispondente. Per i primi mi affido studio sul “carico globale di malattia” che conduce da diversi anni una rete internazionale di ricercatori che collabora con il canadese Institute of Health Metrics and Evaluation (IHME). Riproduco qui sotto il grafico costruito sulla base di quelle informazioni e pubblicato da Our World in Data.

A livello mondiale il 74% delle cause di morte sono dovute a malattie croniche non trasmissibili, il 14% a malattie infettive, appena più del 4% a mortalità neonatale e materna, nonché alla denutrizione, e il restante 7,4 % a morti violente (Fig.1).

Fig. 1 – Cause di morte a livello globale nel 2019 (Fonte: Our World in Data e IHME)

Ora vediamo (Fig. 2) come in quello stesso periodo (biennio 2018-2019) vennero utilizzati i fondi dell’OMS (la fascia in grigio rappresenta la differenza tra il bilancio preventivo e quello consuntivo). Come possiamo notare, alle malattie prima causa di morte “Non communicable diseases” veniva destinata la parte minore dei fondi (5%) (escludendo i due programmi speciali – 2,3% – per la ricerca sulle malatttie tropicali e la ricerca in salute riproduttiva). Alle malattie infettive il 15,5% dei fondi, addirittura superando l’ammontare preventivato e senza contare un altro 18,6% dei fondi spesi destinati alla campagna di eradicazione della polio (finanziata in maggior parte dalla Fondazione Gates). Una corretta attenzione alla salute suggerirebbe anche di investire di più nella promozione della salute e nel funzionamento dei sistemi sanitari, cui invece venivano destinati rispettivamente il 5,5% e il 10,6% dei fondi spesi, oltre a un 33% dedicato alle emergenze e in generale ai piani di risposta umanitaria, per lo più rivolti a rischi epidemici.

Fig. 2 – Uso dei fondi OMS per temi programmatici, bilancio 2018-2019 (Fonte: OMS)

Se poi consideriamo che nella voce genericamente indicata come malattie non trasmissibili, sono compresi tra gli altri temi legati alla nutrizione e alla sicurezza alimentare, nonché le cause di morte violenta (Fig. 3) la ridotta attenzione verso questa componente del bilancio diventa davvero preoccupante.

Fig. 3 – Distribuzione percentuale delle risorse destinate dall’OMS al capitolo di bilancio “malattie non trasmissibili”, bilancio 2018-2019 (Fonte: OMS)

Viene spontaneo chiedersi quali siano le ragioni di questa disattenzione. Visto che sono soprattutto i contributi volontari (pubblici e privati) a definire le priorità di spesa e che, come abbiamo visto la spesa non segue i bisogni (anche se espressi in modo piuttosto semplicistico in base alla principali cause di morte) è lecito ipotizzare che altre siano le ragioni che spingono i contribuenti a  privilegiare malattie infettive e emergenze. Da tempo si osserva la cosiddetta “securitization” della salute globale, ovvero la tendenza ad orientare le politiche sanitarie alla sicurezza sanitaria globale, intesa principalmente come controllo del rischio da agenti biologici (diffusi per cause naturali, accidentali o come parte dello sviluppo di armi biologiche). Questo approccio promuove soluzioni biomediche (vaccini e farmaci) mentre trascura il carico globale di malattie e i determinanti politici, economici, sociali e ambientali  della crisi sanitaria globale. L’approccio biomedico e riduzionista è preferito dai grandi influencer della salute globale e maggiori contribuenti dell’OMS,  in primis la Gates Foundation, che oltre ad essere convinti della soluzione tecnologica per ogni problema sanitario, hanno investito in biotecnologie e vogliono inconfessabili ritorni da quel settore.

Qualcuno potrebbe obiettare che gli interessi di BigPharma sono enormi anche nei trattamenti per le malattie non trasmissibili – non certo nella prevenzione primaria – un mercato globale in rapidissima e preoccupante crescita che la società del consumo e dell’inquinamento sostiene, e che l’industria farmaceutica ha tutto l’interesse a coltivare con farmaci da assumere anche da sani, il più a lungo possibile e possibilmente per tutta la vita. Dunque, se l’OMS prevede un aumento dei casi di cancro di un pauroso 77% entro il 2050, altri annunciano “vaccini” anche contro il cancro che, a parte quelli sviluppati contro agenti infettivi associati a neoplasie,  vaccini non sono, ma – come i prodotti biologici usati contro il Covi19 – terapie geniche.

La prevenzione delle malattie croniche implica invece cambiamenti radicali concernenti i citati determinanti: controllo del sistema alimentare, riduzione delle industrie inquinanti, riduzione dei consumi. Temi che è meglio non toccare se non si vuole disturbare il manovratore, ovvero le grandi lobby alimentari, dell’agrobusiness, della chimica, molte della quali, guarda caso vedono tra il loro grandi azionisti quegli stessi influencer.

Meglio allora dedicare tutta l’attenzione a piani pandemici, magari coinvolgendo nei negoziati Big Pharma, l’industria del digitale e della comunicazione, e diversi altri attori del business transnazionale, secondo la pervasiva visione di un futuro prossimo capitalismo multistakeholder purché non si tocchino la proprietà intellettuale e i profitti certi delle imprese transnazionali e dei fondi di investimento che le controllano.

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Regolamenti sanitari internazionali, Accordo pandemico e “cattura” dell’OMS: lo strumento finanziario

di Eduardo Missoni

Fin qui è passato per lo più sotto silenzio quello che sta avvenendo nelle stanze dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) a Ginevra. Alla prossima Assemblea Mondiale della Sanità i 194 Stati membri dell’OMS saranno chiamati ad esprimersi su due risoluzioni: una per approvare gli emendamenti agli attuali Regolamenti Sanitari Internazionali RSI (2005); l’altra per adottare un Accordo pandemico. Entrambi se approvati nelle versioni attualmente note, conferirebbero nuovi poteri all’OMS con una sostanziale cessione della sovranità nazionale degli Stati membri in tema di salute.

Purtroppo da tempo l’OMS non è più un’organizzazione governata dai suoi Stati membri in una dinamica multilaterale classica. Di fatto l’Assemblea mondiale della sanità, massimo organo decisionale dell’OMS, non assicura più la funzione di “indirizzo e coordinamento delle attività di sanità internazionali” come previsto dalla Costituzione dell’OMS. Benché ancora finanziata principalmente dagli Stati membri, l’OMS è oggi fortemente assoggettata a poteri e interessi privati e anche nella governance sanitaria globale gioca un ruolo ormai in gran parte di pura facciata. Altri sono gli attori che dirigono i giochi. È per questa ragione che alle attuali condizioni un’ulteriore cessione di sovranità alla OMS va fermamente rigettata in quanto rappresenterebbe in realtà non un migliore e più efficace coordinamento dell’azione internazionale di prevenzione e controllo delle pandemia, ma la dipendenza delle scelte nazionali in tema di sanità da decisioni vincolate a poteri e interessi privati transnazionali, in una drammatica “cattura del regolatore e del decisore politico”. Questa “cattura” avviene attraverso una molteplicità di meccanismi (vedi grafico). Dopo una breve presentazione dello stato di avanzamento dei citati negoziati, analizzerò brevemente lo strumento finanziario come meccanismo di controllo, rimandando a future riflessioni l’approfondimento degli altri meccanismi.

I negoziati in corso

Presso l’OMS sono in corso negoziati riguardanti il futuro della preparazione e la risposta alle emergenze pandemiche. Si tratta di due processi in parallelo e con momenti di confronto tra i due gruppi negoziali. Il primo, di cui si parla di più, riguarda un eventuale “Convenzione, Accordo o altro strumento internazionale sulla prevenzione, la preparazione e la risposta alle pandemie” sotto l’egida dell’OMS, più noto come “Trattato o accordo pandemico”. Il secondo negoziato riguarda la revisione degli attuali Regolamenti di Sanità Internazionale (RSI 2005). L’avvio di tale processo fu deciso dagli Stati membri dell’OMS con la decisione dell’Assemblea Mondiale della Sanità WHA75(9) (2022). Entrambi i processi nascono da una sola considerazione: l’attuale architettura globale di risposta alle emergenze sanitarie – i RSI (2005), appunto – non è stata sufficiente per un’adeguata gestione della pandemia di Covid-19. Senza peraltro una valutazione indipendente e approfondita della gestione della pandemia da parte dell’OMS, né uno studio che indichi il vuoto giuridico che motivi un nuovo Trattato o accordo internazionale.

Come già scrivevo il 31 di marzo del 2023, nonostante alcuni incontri di coordinamento tra l’organo intergovernativo (Intergovernmental Negotiating Body, INB) che sta negoziando il “Trattato/accordo pandemico” e il gruppo di lavoro che discute gli emendamenti ai RSI  (Working Group on International Health Regulations, WGIHR) è ancor poco chiaro come, se adottati, i due strumenti in discussione entreranno in sintonia.  L’obiettivo per l’approvazione di entrambi rimane l’Assemblea Mondiale della Sanità che si riunirà nel maggio 2024.

Purtroppo entrambi i processi vengo portati avanti in modo estremamente riservato, senza rendere pubbliche le nuove versioni dei documenti in discussione via via che vengono raggiunti accordi su singole parti di essi. Quindi, senza permettere un dibattito pubblico e tantomeno un’analisi parlamentare su ciò che bolle in pentola. Ciò evidentemente non può che accrescere i dubbi circa i contenuti e i sospetti circa le ragioni di tanta segretezza. Per quanto riguarda gli emendamenti ai RSI (2005) il testo a disposizione porta ancora la data di febbraio 2023, lasciando invariate tutte le perplessità già espresse; mentre per quanto riguarda l’Accordo pandemico l’ultima versione disponibile risale a ottobre 2023. Lasciando comunque senza risposta molti degli interrogativi e le preoccupazioni sollevate da più parti. Se quegli strumenti fossero adottati dall’Assemblea mondiale della sanità, nelle versioni ad oggi pubblicate, le decisioni dell’OMS diventerebbero vincolanti salvo per gli Stati che non rigettino formalmente e nei tempi previsti (entro 10 mesi) gli emendamenti ai RSI o non ratifichino il Trattato pandemico. È evidente che 10 mesi rappresentano  un tempo estremamente ristretto anche per l’analisi e decisione sul testo approvato; decisione peraltro interamente affidata al Governo, non essendo previsto un passaggio parlamentare, indispensabile invece per la ratifica dell’Accordo pandemico da parte dei Paesi membri per la quale sono previsti 18 mesi. Se anche solo uno dei due strumenti normativi venisse approvato senza sostanziali cambiamenti rispetto ai testi noti, importanti decisioni  di politica sanitaria e con impatto su molteplici aspetti personali e sociali della vita dei cittadini italiani (si veda l’analisi del 31 marzo) verrebbero conferite ad un’OMS da tempo “catturata” da interessi politici ed economici certamente diversi da quelli della salute pubblica.

L’OMS catturata. Il peso dei finanziamenti

Benché l’OMS sia formalmente controllata dai 194 Stati membri, riuniti nell’Assemblea mondiale della sanità, e dai 34 membri del Consiglio esecutivo periodicamente eletti tra quelli,  cui il Direttore generale deve render conto, altri meccanismi di “cattura del policy-maker” concorrono all’assoggettamento dell’OMS ai “poteri forti” (finanziamento della ricerca, porte girevoli, lobbismo, controllo dell’informazione) (vedi Fig. 1). Qui mi soffermerò solo sui finanziamenti diretti all’OMS. 

Figura 1- Meccanismi di cattura del policy maker da parte degli attori globali privati.
Fonte: Matteucci, N., Missoni, E., Strategie di cattura e governance multistakeholder: il caso OMS. In: Lello, L. e Bertuzzi N. (a cura di) Dissenso Informato. Pandemiail dibattito mancato e le alternative possibili, Castelvecchi, Roma, 2022, pp. 151-166.: Modificato

Come già ricordato qui nei gruppi e nelle reti sociali più attenti ai processi in corso, si sente spesso dire che l’OMS è una “organizzazione privata” o che “è finanziata in maggior parte dai privati” o analoghe affermazioni inesatte. Per comprendere i meccanismi di finanziamento e del controllo formale dell’OMS, rimando ancora una volta a quanto già scritto.

Sulla base dei dati relativi al biennio 2022-2023 (aggiornati a novembre 2023) i contributi obbligatori degli Stati Membri costituiscono l’11% del totale delle risorse a disposizione dell’OMS nel biennio (poco più di 9 miliardi di dollari US). I contributi volontari degli Stati membri costituiscono poi un altro 43% del bilancio totale. Quindi complessivamente gli Stati membri contribuiscono a circa il 54% del bilancio dell’OMS. Di quei contributi volontari una piccola parte è detta “core” (base) in quanto non vincolata a priorità dello Stato donatore e quindi, come i contributi obbligatori,  soggetta solo alle indicazioni strategiche dell’Assemblea mondiale della sanità, quindi alle risoluzioni adottate dagli Stati membri. Il fatto che i contributi obbligatori “core” non siano finalizzati a priorità e progetti del donatore, non significa che quei contributi non “pesino” sulle strategie dell’OMS e le decisioni prese dall’Assemblea. In effetti sono un buona misura del “peso politico” del donatore, cui l’Organizzazione tenderà a prestare maggiore attenzione. La scelta del Regno Unito di destinare la parte più grande (56%) del proprio contributo complessivo a contributi volontari “core”, (scelta seguita in minor misura della Germania) può in questo senso essere considerata una scelta strategica di politica estera.

Tra i fondi non assoggettati a priorità indicate dal donatore rientrano infine i cosiddetti “costi di supporto al programma” (6% del bilancio totale); si tratta di una percentuale destinata alle spese generali dell’OMS applicata a tutti i progetti e le iniziative finanziate da donatori pubblici e privati. Questi ultimi, insieme ai fondi “core” e quelli derivanti da contributi obbligatori, costituiscono circa il 20% non vincolato del bilancio totale.

Il restante 80% circa del bilancio è dunque costituito da contributi volontari vincolati alle priorità o a progetti definiti dai donatori. Questi come abbiamo visto sono Stati membri (50% circa) e organizzazioni intergovernative (ulteriori fondi pubblici) (16,5%, pari al 13% del bilancio totale), nonché una varietà di organizzazioni private e partenariati pubblico-privati. Tra le prime figurano le fondazioni che si autodefiniscono “filantropiche” – di cui la Fondazione Gates fa la parte del leone (13% dei contributi volontari, pari al 10% del bilancio totale) – molteplici ONG (complessivamente 4,7% dei CV e 4% del bilancio totale) e il settore privato dell’industria transnazionale, compresa quella farmaceutica (2% dei CV, 1,9% del bilancio). Tra i partenariati pubblico-privati emerge l’Alleanza GAVI, per le vaccinazioni, iniziata (nel 2000) e fortemente controllata dalla Fondazione Gates e dal settore privato. GAVI apporta 7,8% dei CV e circa il 6% del bilancio totale, cui concorre per un sesto la stessa Fondazione Gates  (vedi Fig. 2).

Figura 2 – Ripartizione del bilancio dell’OMS – elaborazione dell’autore su dati OMS

In sintesi, considerando i soli finanziamenti dell’OMS non possiamo dire che il settore privato è il principale finanziatore dell’Organizzazione. Non è però trascurabile che l’80% circa del bilancio sia vincolato alle priorità dei donatori e quindi non possa rispondere con la flessibilità dovuta alle necessità e agli obiettivi individuati dall’Assemblea mondiale della sanità.

Se i privati rispondono a propri interessi, anche commerciali – seppure indiretti – anche gli Stati membri spingono l’uso dei fondi sulla base delle loro priorità geopolitiche o settoriali, influenzati a loro volta da potenti lobby economiche. Quindi può essere interessante analizzare a cosa vengono destinati i fondi dei contributi volontari finalizzati o tematici, prendendo ad esempio solo i primi quattro contribuenti dell’OMS.

La Fondazione Gates (secondo finanziatore dell’OMS) destina più dell’80% dei suoi contributi diretti all’OMS alla campagna antipolio, alla risposta a epidemie, pandemie e altre emergenze sanitarie, a farmaci e vaccini, ricerca e innovazione. Ciò senza contare il ruolo che gioca nell’Alleanza GAVI (quarto finanziatore) che ovviamente finalizza ai vaccini il suo contributo all’OMS.

Gli Stati Uniti d’America che dell’OMS che sono il primo finanziatore e da sempre il paese che più di ogni altro ha segnato le sorti dell’OMS, sembra avere le stesse priorità destinando il 63% dei contributi alle emergenze sanitarie, ivi incluse epidemie e pandemie, e il 15% al programma antipolio. La Germania, terzo finanziatore dopo gli Stati Uniti e la Fondazione Gates, sembra avere le stesse priorità (77% per varie configurazioni di emergenze e pandemie, e 8% per la Polio).

Certo, stiamo analizzando un biennio fortemente influenzato dalla pandemia di Covid-19, ma sapendo che almeno il 74% della mortalità a livello mondiale è causata da malattie croniche non trasmissibili (malattie cardiocircolatorie e respiratorie, cancro, neurodegenerative), sorprende scoprire quanti pochi fondi sono destinati al controllo di quelle malattie e ai loro determinanti.

Figura 3 – Principali finanziatori dell’OMS nel biennio 2022/2023 al novembre 2023.
Elaborazione dell’autore su dat OMS

Allora sorge il sospetto, non del tutto infondato, che epidemie e pandemie stuzzichino gli interessi della grande industria farmaceutica (BigPharma), che come è noto ricorre a qualsiasi mezzo affinché i Paesi s’impegnino nell’acquisto di farmaci e vaccini. Al contrario è noto che la prevenzione  e il controllo delle malattie croniche si scontra con gli interessi dell’industria transnazionale alimentare (Big Food), dell’agrobusiness, dell’industria del tabacco, dell’industria estrattiva e delle molteplici altre industrie altamente contaminanti.

Dunque, per comprendere la dipendenza dell’OMS dai suoi donatori è importante capire il peso specifico di ciascuno di essi, ma conoscere la fruibilità di quei fondi e a quali attività sono destinati è altrettanto illuminante. Sarà interessante seguire ulteriormente questa pista.

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Le nuove frontiere dell’intelligenza artificiale e la salute

Un articolo che ho scritto per il numero di gennaio 2024 della rivista diretta da Alex Zanotelli.

La sfida più grande di fronte all’IA è tornare ad interrogarci sulle molteplici dimensioni dell’intelligenza umana.

L’intelligenza artificiale (IA) intesa come tecnologia in grado di svolgere compiti che si pensava richiedessero necessariamente l’intelligenza umana, è da tempo già presente direttamente o indirettamente nella vita di tutti i giorni della stragrande maggioranza della popolazione mondiale, attraverso algoritmi che ne monitorano le attività e ne regolano i consumi e altre scelte.

Si pensi semplicemente alla costante rilevazione e rielaborazione, il più delle volte a fini commerciali, ma anche di controllo sociale, di dati e informazioni – spesso molto sensibili – che scaturiscono dalle nostre comunicazioni, dai nostri spostamenti, dalle nostre preferenze e dalle molte altre attività, che trasmettiamo anche inconsciamente attraverso il telefono cellulare e altri dispositivi che di fatto indossiamo quotidianamente.

Ad oggi l’IA in uso è per lo più progettata per applicazioni e compiti specifici (IA debole). Il raggiungimento di una vera IA generale con la capacità di ragionare, comprendere il linguaggio naturale, imparare dall’esperienza ed eseguire qualsiasi compito intellettuale che un essere umano può svolgere (IA forte) rimane invece oggetto della ricerca in corso, ma costituisce probabilmente la più grande sfida in questo campo sul piano etico e sociale. In altre parole, anche i sistemi più avanzati, seppure capaci di apprendimento automatico (machine learning) e “profondo” basato su strati multipli di reti neuronali artificiali (deep-learning), operano ancora esclusivamente sulla base di dati e modelli statistici appresi durante l’addestramento.

L’impatto dell’IA sulla salute umana è senza dubbio uno dei più significativi. Con l’avanzare della tecnologia, si aprono nuove frontiere che promettono diagnosi più accurate, maggiore precisione e efficacia dei trattamenti medici e una gestione più efficace delle risorse sanitarie. Tuttavia, sorgono interrogativi tecnici, etici, legali e sociali su come garantire i diritti dei malati, l’uso appropriato delle informazioni acquisite e l’equo accesso alle cure in un contesto in cui l’IA gioca un ruolo sempre più centrale in sanità. Deve preoccupare anche l’impatto sulla salute che avrà l’IA attraverso il suo uso in una molteplicità di altri settori e determinanti della salute, quali informazione e comunicazione, educazione, alimentazione o ambiente.

Una delle principali promesse dell’IA in medicina riguarda la capacità di effettuare diagnosi precoci e personalizzate. I sistemi di apprendimento automatico possono analizzare i dati clinici del singolo individuo, ivi inclusi quelli di laboratorio e della diagnostica per immagini, e confrontandoli con enormi basi di dati e con le informazioni derivate dalla letteratura scientifica,  identificare parametri e correlazioni difficilmente rilevabili anche dai professionisti più esperti, e comunque in tempi enormemente più brevi. In questo senso, analizzando algoritmi avanzati l’IA può facilitare la diagnosi differenziale tra diverse patologie, può permettere diagnosi più precoci di malattie, può consentire un approccio personalizzato alla terapia migliorandone l’efficacia, riducendo gli effetti collaterali e migliorando eventualmente anche la prognosi.

In chirurgia l’IA permette l’accurata pianificazione degli interventi tramite l’analisi delle immagini diagnostiche, come tomografie computerizzate e risonanze magnetiche, e la resa in 3D delle strutture anatomiche, mentre sistemi di chirurgia robotica supportati dall’IA consentono ai chirurghi di eseguire procedure complesse in modo più preciso anche a distanza.

L’IA ha permesso la migliore integrazione sociale di persone con gravi disabilità grazie a tecnologie di riconoscimento e sintesi vocale e visiva, comunicazione aumentata e alternativa, visione computerizzata e interazione con protesi robotiche, solo per fare alcuni esempi.

Nell’assistenza sanitaria di base l’IA permette sistemi di monitoraggio continuo e assistenza remota. Dispositivi intelligenti possono raccogliere dati in tempo reale sui pazienti e generare risposte adattate in tempo reale alle situazioni emergenti, dalla dosificazione e somministrazione automatizzata di farmaci al controllo e l’intervento a distanza. Un approccio che si ritiene possa ridurre il ricorso alle cure ospedaliere e migliorare la qualità della vita dei pazienti cronici.

Nella gestione dei servizi sanitari IA può aiutare nell’esecuzione di compiti amministrativi e nel prendere decisioni basata sull’analisi dei dati prodotti ai diversi livelli del sistema sei servizi (territorio, ospedali, etc.). L’IA permette anche di analizzare grandi moli di dati epidemiologici da fonti molto diverse tra loro e trarne indicazioni di politica e indirizzo sanitario, spostando

l’attenzione dalla terapia alla prevenzione.

Anche la scoperta di nuovi farmaci può trarre vantaggio dall’IA, per esempio suggerendo composti potenziali attraverso l’analisi di database molecolari e la previsione dell’attività biologica. Allo stesso modo, mediante l’IA la ricerca e la generazione di informazione scientifica può avvalersi di vaste e complesse analisi clinico-statistiche quantitative che combinano i dati di studi condotti su di uno stesso argomento (meta-analisi) usando pressoché la totalità delle informazioni presenti in rete.

Tuttavia, a fronte delle capacità attuali dei sistemi di IA e quelle potenziali derivanti dal loro sempre più rapido sviluppo – legata alla capacità “generativa” dell’IA – emergono nuove sfide tecniche, etiche, legali e sociali.

Nell’immediato vanno ancora affrontate sfide tecniche relative alla quantità, qualità e interpretabilità dei dati. Per la sua proprietà generativa l’IA può arrivare a produrre dati verosimili, ma non reali; come se fossero sintetizzati in laboratorio, inducendo poi decisioni errate o, ad analoghe deviazioni, che potrebbe essere molto difficile verificare o controllare. Comprendere come e perché un modello prende determinate decisioni è cruciale, specialmente in applicazioni critiche come la sanità. Assicurare che l’IA sia affidabile anche in presenza di dati “rumorosi” o malfunzionamenti è fondamentale, particolarmente quando gli errori possono avere conseguenze drammatiche come in medicina. Anche nella sola raccolta dei dati l’IA può introdurre deviazioni portando a decisioni non equilibrate o discriminatorie, compromettendo l’equità della risposta. Infatti, l’IA viene addestrata su grandi insiemi di dati e molti di questi possono essere stati creati sulla base di sottoinsiemi della popolazione, escludendo le popolazioni emarginate o quelle di gruppi etnici o linguistici minoritari. Inoltre, se per l’addestramento si fa riferimento a particolari norme sociali, ignorando i pregiudizi sottostanti gli algoritmi risultanti possono essere distorti e discriminatori.

La diffusa interazione dinamica tra la popolazione e i sistemi di IA attraverso chatbots e assistenti virtuali sempre più sofisticati e interfacce umanizzate, nel linguaggio, nella vocalizzazione e nell’immagine, porta a nuove problematiche sociali. Da un lato alla tendenza all’automedicazione senza il filtro critico della conoscenza e la sensibilità del professionista, dall’altro anche al potenziale isolamento sociale della persona sofferente, privando le persone della connessione umana e della comprensione empatica che i professionisti della salute e i rapporti interpersonali dovrebbero offrire e che, di per sé terapeutiche, sono da secoli un elemento fondamentale del processo di cura.

La sostenibilità economica delle nuove tecnologie introduce la sfida dell’accessibilità. È facile immaginare infatti che le persone e le comunità svantaggiate ne saranno escluse, incrementando le disparità di accesso all’assistenza e alle cure, in particolare nel contesto della crescente privatizzazione e commercializzazione dei sistemi sanitari, con un mercato dell’IA in sanità che Research and Market prevede che passi da 6,9 miliardi di dollari del 2021 a 67,4 miliardi di dollari ne 2027.

Parlando di sostenibilità non possiamo non considerare le conseguenze sulla salute dell’impatto ambientale legato allo sviluppo, la manutenzione e lo smaltimento delle tecnologie di IA. Il solo addestramento di un modello di IA, utilizzando le attuali fonti energetiche, produce emissioni di CO2 circa sei volte superiore a quelle legate alla produzione e al consumo di un’automobile durante la vita media del veicolo. I rifiuti elettronici prodotti dalla tecnologia AI rappresentano un’ulteriore sfida ambientale e per la salute umana. I rifiuti elettronici contengono sostanze chimiche pericolose, tra cui piombo, mercurio e cadmio, che possono contaminare il suolo e le riserve idriche e mettere in pericolo la salute umana e l’ambiente.

La gestione di informazioni e dati sensibili come quelli bio-medici e comportamentali solleva questioni riguardo alla riservatezza e alla sicurezza dei dati personali, ivi inclusi dati genetici, biometrici e sensibili informazioni sanitarie. In particolare in considerazione del fatto che gli investimenti sull’IA provengono dalle grandi industrie tecnologiche e dal settore privato e rispondono ai loro obiettivi commerciali e di controllo del Mercato, diviene essenziale controllare le finalità e la trasparenza dei processi decisionali attuati sulla base di algoritmi. Più in generale, l’industria digitale controlla l’informazione che circola nelle reti sociali, esercitando la censura delle informazioni che non considera convenienti, come avvenuto su larga scala durante la recente pandemia. Per altri versi, regimi autoritari possono usare l’IA per un pervasivo controllo sociale.

Il consenso informato è un elemento critico per garantire che i pazienti siano consapevoli e d’accordo con l’impiego di tecnologie avanzate nel proprio percorso di cura. I principi del consenso informato si basano generalmente su un approccio lineare alla raccolta, all’accesso e all’uso dei dati, in cui esiste una mappatura trasparente tra l’uso dei dati e dove e come sono stati raccolti. Data l’espansione esponenziale dell’IA e la sua incursione in usi imprevisti, un consenso realmente informato è quasi impossibile da raggiungere.

Il crescente utilizzo di IA in medicina rischia di disumanizzare l’assistenza, aumentando la già elevata meccanicizzazione e spersonalizzazione delle cure determinate dall’iperspecializzazione e l’approccio tecnocratico alla salute. In questo senso si apre anche un’enorme questione etica circa la responsabilità delle decisioni prese dai sistemi di IA. Chi risponde degli errori “algoritmici” di diagnosi o trattamento?

Dal punto di vista legale si apre anche un nuovo fronte in relazione alla proprietà intellettuale e al controllo degli algoritmi, delle tecnologie e dei prodotti dell’IA, temi che necessariamente si riversano sui costi e quindi sull’accesso alle cure mediate da quei prodotti. 

Ad oggi manca un regolamentazione dei temi descritti. Un primo passo in questa direzione è rappresentato dall’accordo raggiunto in seno alle Istituzioni dell’UE il 9 dicembre 2023, su di un  progetto di regolamento in tema di intelligenza artificiale (IA), che mira a garantire che i sistemi di IA utilizzati nell’UE siano sicuri e rispettino i diritti fondamentali e i valori dell’UE. Ma la strada da percorrere è ancora molto lunga e soprattutto l’evoluzione dei sistemi di IA è talmente rapida che qualsiasi regolamento rischia di nascere obsoleto.

Possiamo solo immaginare la trasformazione epocale e le sfide che potrebbero derivare dallo sviluppo di sistemi di IA generale o “forte”, capace di interpretare il contesto, di sviluppare ragionamento e pensiero astratto, di affrontare questioni e prendere decisioni su base etica o di avere consapevolezza di sé. Giungerà il momento in cui la macchina sarà capace di intelligenza artificiale emotiva e di interagire con le emozioni e le sensibilità umane fino ad essere integrata nel divenire umano? E saremo in grado come società globalizzata di stabilire, anche per la sperimentazione, un limite invalicabile della natura “umana”? O dovremo invocare da “apprendisti stregoni” l’intervento salvifico del Maestro? Ben al di là della fin troppo celebrata manipolazione dei meccanismi biologici e fisiopatologici che producono la malattia, più o meno mediata da applicativi dell’IA, lavorare per la salute è riscoprirne la componente sociale, la collocazione dell’Umano nel più ampio contesto della Natura, dell’ecosistema di cui siamo divenuti componente predatoria e autodistruttiva. Lavorare per la salute è impegnarsi nell’incontro, nella solidarietà, nella comprensione e nel dono di sé, sia nella comunità che nella relazione tra terapeuta e persona sofferente, sviluppando persino la capacità di sintonia nella dimensione trascendentale, spirituale. Forse la sfida più grande di fronte all’IA è proprio questa, tornare ad interrogarci sulle molteplici dimensioni dell’intelligenza umana.

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Gaza: La vita nel cuore della morte: Una serie sulle esperienze dei professionisti della salute mentale sotto attacco – Storia 8

Una delle notti del terrore:
In ogni famiglia con molti fratelli, c’è sempre un bambino che ruba il cuore con il suo spirito leggero, la sua arguzia e la sua presenza adorabile che sembra piacere a tutti. Questo rappresenta una sfida per un padre, per evitare di provocare rivalità negli altri fratelli, ma senza successo! Gli occhi parlano e ti smascherano. Si cerca di salvare la faccia e di dire “vi voglio bene”… e credo, in base alla mia limitata esperienza di vita, che questo faccia parte della lotta della maggior parte dei padri e delle madri.
Questa mia figlia minore… il primo giorno in cui è nata, il mio cuore ha avuto un sussulto che non ho mai provato con i suoi fratelli. Sentivo un legame unico con lei che non riuscivo a spiegare. Fin dal primo momento mi sono innamorata dei suoi lineamenti, sono stata conquistata dal suo sorriso e ho capito che era lei a occupare la mia vita… perché lei è “la pupilla dei miei occhi”, come si dice in gergo. Condividiamo un segreto: “sei la mia bambina preferita”! Un segreto che mi sussurrava all’orecchio ogni volta che si sentiva gelosa dei suoi fratelli: “Papà, non dimenticare che sono la tua figlia preferita”… Oh, quanto la amo e quanto temo per lei e quanto divento debole davanti ai suoi occhi scintillanti!
In quella notte che abbiamo chiamato “notte della morte”, improvvisamente tutte le connessioni e le comunicazioni sono state interrotte e le radio hanno dichiarato Gaza oscura e isolata, con tutte le terribili implicazioni che questa dichiarazione comporta. Non si poteva nemmeno controllare la propria famiglia e i propri parenti a Gaza.
Pochi minuti dopo, i bombardamenti sono esplosi da tutte le direzioni. All’improvviso, i cieli si sono illuminati con i colori del fuoco e poi si sono spenti, le cinture di fuoco qua e là, le case bombardate sopra le teste dei loro occupanti, i suoni della gente che urlava intorno a noi… i nostri cuori si sono quasi fermati. Un’idea terrificante si impadronì delle nostre menti: “Questa è la nostra ultima notte”. Ho sentito mio fratello pronunciare la shahada (la lode a Dio prima di morire); mio padre, settantacinquenne, congelato e paralizzato dall’orrore; le mie cognate urlare a ogni esplosione; i loro figli tremare. Mia moglie prese in braccio i ragazzi e io le ragazze.
Mia figlia maggiore era terrorizzata, ma mise la testa tra la mia spalla e il mio collo e si strinse a me così forte che sembrava fossimo un corpo solo. Questo significava anche che sentiva di più la mia paura e i battiti accelerati del cuore. Per quanto riguarda la mia figlia più piccola, ogni centimetro di lei tremava, il viso giallo, le labbra pallide e secche, le estremità fredde, il corpo tremante, le dita nelle orecchie, urlava e piangeva a ogni colpo… e c’era un colpo ogni minuto. Da quel giorno non è più riuscita a dormire se non in braccio a me, con le dita nelle orecchie.
La situazione è rimasta così per circa 5 ore di morte e distruzione. Potete immaginare come sia stata l’alba per noi, quando ci siamo resi conto di essere ancora vivi e di respirare.
Sì, tali sono diventate le nostre routine quotidiane, le nostre notti, i nostri ricordi, e tali sono i nostri figli.
Non abbiamo che Dio e Lui è il nostro protettore.

Roo7 – Professionista della salute mentale anonimo (per paura di essere preso di mira)
30 Ottobre 2023

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Gaza: La vita nel cuore della morte: Una serie sulle esperienze dei professionisti della salute mentale sotto attacco – Storia 7

Qui Yasmine… miracolosamente risparmiata dall’angelo della morte dopo i bombardamenti dei giorni scorsi, come non avevamo mai visto prima.

Vi avevo già parlato del mio rifugio “sotto le scale” e vorrei aggiornarvi in merito. Ho lasciato il mio rifugio 3 giorni fa perché non è più sicuro. Una casa di fronte a noi è stata presa di mira e il bombardamento ha danneggiato gravemente la nostra casa. Ringraziamo Dio che stiamo respirando!

Oggi Mohammad, mio marito, è andato a controllare la casa e i danni subiti nell’ultimo bombardamento. Per prima cosa è entrato nella stanza della nostra amata bambina Sofia, l’uccellino del mio cuore. Ho conservato i suoi giocattoli e i suoi vestiti, i suoi concentratori di ossigeno che mi hanno dato qualche mese di vita in più… e il libro dei ricordi che avevo iniziato per lei fin dal primo giorno in cui ha vissuto dentro di me! Ho insistito per andare a controllarli ogni giorno e sentire il suo odore. Oggi Mohammad è andato e non ha trovato nulla al suo posto! Una finestra in frantumi. Sporcizia e sabbia che riempivano il posto. Quando siamo fuggiti dalla casa, non ho potuto portare con me nulla, tranne il suo giocattolo preferito. Quel giocattolo è sempre con me, anche nei giorni normali, inseparabile da me.

Ho sentito il mio cuore affondare quando mio marito mi ha mandato la foto della stanza! L’odore di polvere e polvere da sparo oscurava l’odore di Sofia in quel posto… i suoi giocattoli sparsi qua e là… e il libro dei ricordi pieno di sporco e polvere da sparo! Mi manca tanto. Mi manca visitarla e parlare con lei. Piango ogni giorno per il suo desiderio.

Il pensiero della morte mi terrorizzava, ma ora non più, perché forse potrò incontrare il mio unico rifugio e il mio amore eterno, Sofia, senza paura né dolore…

Yasmine Ayoub
MHP a UPA – Gaza, Palestina 29 ottobre 2023
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Gaza: La vita nel cuore della morte: Una serie sulle esperienze dei professionisti della salute mentale sotto attacco – Storia 6

La notte dell’ospedale:

Una sola notte trascorsa in ospedale è stata sufficiente per capire che morire sotto le macerie della nostra casa era molto più facile che rimanere solo per qualche ora in ospedale. Il piano era di andare all’ospedale a piedi come prima tappa, in modo da poter trovare qualche macchina che ci portasse verso il sud, che si supponeva sicuro.

Ho radunato tutti i miei 19 familiari in uno dei corridoi dell’ospedale, in modo da poter andare a cercare delle auto che ci portassero al sud, presumibilmente sicuro, senza dovermi preoccupare di lasciarli per strada. Non sapevo che avremmo trascorso la notte in quel minuscolo corridoio progettato come passaggio pedonale in cui ci si può a malapena sedere.

Ho lasciato l’ospedale per cercare due o tre macchine. Che idiota! Anche chi trova un’auto sarebbe fortunato, eppure io ne stavo cercando tre.

Dopo tanta agitazione e una ricerca estenuante e continua sotto il sole cocente, con sete e stanchezza, ho trovato un’auto piccola che contiene il conducente e tre passeggeri. L’ho pregato di portarci a sud. Mi ha detto che ci avrebbe lasciato solo come passeggeri, senza bagagli, al prezzo di 100 shekel per passeggero.

Sono rimasto in totale stato di shock.

Poi ho affermato: “La corsa è di 6 shekel a persona, come mai ora è diventata di 100? Cos’è questo sfruttamento? Non è già abbastanza che siamo stati ricoperti di pezzi di morte? Anche voi? Cosa c’è di sbagliato in te?”.

Disse: “Fratello, ho una famiglia come te e questa macchina è la mia unica fonte di reddito. Se ti prendo, userò questi soldi per comprare beni di prima necessità per la mia famiglia, perché non so cosa mi aspetta nel sud o se tornerò vivo. Non consideratelo sfruttamento, ma sopravvivenza per me e la mia famiglia”.

Lo guardai con perdono e compassione e rimasi senza parole.

Alla fine ho detto: “Che Dio ti benedica e sia con te”.

Sono tornato dalla mia famiglia all’ospedale, sentendomi completamente impotente per la mia incapacità di procurarmi delle auto per portarci alla cosiddetta sicurezza. Quando mia moglie, mio padre, mio fratello e le mie cognate mi videro così, mi rassicurarono e mi fecero notare che forse Dio non voleva che andassimo a sud, dopo tutto. Mia moglie mi ha tenuto la mano e mi ha detto: “Stai tranquillo. Non sei l’unico responsabile della nostra sicurezza qui. Siamo tutti coinvolti in questa situazione. Riposati ora, amore mio, e Dio ci mostrerà la strada”.

Abbiamo deciso di passare la notte in questo corridoio. Questo corridoio è a malapena percorribile; non ci si può nemmeno sedere, figuriamoci dormire. Ci siamo attaccati alle pareti per permettere alle persone di passare. Quella notte abbiamo visto tutti i tipi di vittime ferite, che hanno perso gambe e braccia, con la testa sanguinante e molte altre tragedie e dolori. Se io stessa non riuscivo a tollerare queste scene, come potevo aspettarmi che lo facessero i nostri figli?! Come posso proteggere i miei figli dall’esposizione a tutta questa follia? L’impatto di questa particolare notte rimarrà per sempre nella memoria dei nostri figli e io, psicologa del trauma, non so come gestirlo se siamo destinati a sopravvivere a questa brutale aggressione. Per ora devo trovare un modo per aumentare le nostre possibilità di sopravvivenza. Ma come?

Mi sono affacciata alla finestra che dà sul banco di registrazione dell’ospedale, alla ricerca di un po’ d’aria fresca. L’edificio era così affollato che l’aria era inquinata dagli odori e dai respiri delle persone: il loro sudore, il cibo, i bagni sporchi… Tutti questi odori e altri ancora nell’edificio in cui ci siamo rifugiati. Non avevamo altro posto che questo corridoio. Dove potremmo andare?

Quando ho guardato fuori dalla finestra, gli aggressori avevano commesso un nuovo massacro vicino all’ospedale, distruggendo una casa e i suoi abitanti. Ho visto i martiri stesi sul pavimento dell’area di registrazione, pronti per essere trasportati nella tenda dei morti, uno spazio che si può a malapena chiamare tenda! Ho visto parti umane e sangue. Ho visto gambe mozzate e corpi decapitati. Ho visto tutto questo con i miei occhi. Ho pianto e pianto e pianto fino a non avere più fiato. Sentire tutti i cattivi odori all’interno dell’ospedale era molto più facile che guardare fuori da questa finestra.

Non ricordo come sia finita questa notte, né voglio saperlo. È finita e non andremo più in ospedale.

Alle prime luci del secondo giorno, mia moglie mi disse: “Dai, andiamo a casa nostra, non ce la facciamo più”. Poi tutta la famiglia chiese di tornare a casa e di averne abbastanza.

Siamo tornati a casa sapendo bene che stavamo tornando alla morte. Ma questa volta siamo contenti di ciò che ci accadrà e lasciamo il nostro destino a Dio, perché Lui è il nostro salvatore e protettore. Troviamo conforto nel sapere che abbiamo fatto tutto il possibile per rimanere fuori dalla casa, ma tutto invano.

Ora siamo a casa nostra e non ce ne andremo. All’alba di ogni nuovo giorno, preghiamo Dio per il dono di essere vivi.

Roo7 – Professionista della salute mentale anonimo (per paura di essere preso di mira, anche se non so se è ancora vivo visto che ieri sono state interrotte tutte le comunicazioni)
28 ottobre 2023
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